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Jackson Teller non è mai stato bravo con gli addii. Ha visto il suo amico fraterno morire sotto i propri occhi senza poter muovere un dito. Ha perso l’amore della sua vita nell’unico momento in cui ha osato mettere in discussione il loro rapporto. Ha ucciso la madre mettendo in scena il punto più alto di questa enorme tragedia shakespeariana che è Sons of Anarchy. Un’altra cosa che ha in comune con John Teller, che ha vigliaccamente deciso di scaricare sui figli le responsabilità e il fardello del cambiamento, condizionandone in maniera irreversibile la loro esistenza. Il suo ultimo atto non può prescindere dal cambiamento. Perché “change is good” e perché c’è un peccato originale da estirpare. Per lui, però, è troppo tardi.

E allora il cambiamento implica prima di tutto mettere in scena un addio giusto. Un addio pianificato, concepito fin nei minimi dettagli, ma non per questo artefatto, non per questo facile da affrontare o realizzare. Giusto il tempo di un sospiro, di dare un bacio ai figli e godersi per l’ultima volta questa tenera routine familiare e poi si parte. Non è ancora salito sulla moto del padre, sulla statale, inseguito da tutte le volanti della contea di Son Joaquin Valley, ma il suo ultimo viaggio è già iniziato.

“Well Daddy worked his whole life for nothing but the pain. Now he walks these empty rooms looking for something to blame” -Bruce Springsteen (Adam Raised a Cain)

Sons of Anarchy 7×13 – Jax “parla” a suo padre

La vita di John Teller è stata onere e dolore. Padre e figlio si sono tramandati una catena di morte e sofferenza senza essere in grado di controllarla. “Erediti i peccati, erediti le fiammecanta Springsteen nell’intro dell’ultimo episodio di Sons of Anarchy. D’altra parte, non c’è hybris in lui. Jax non gioca a fare Dio, semmai è in balia totale del destino, senza capacità di opporvi resistenza. Come JT prima di lui e, soprattutto, come l’Amleto di Shakespeare a cui è manifestatamente ispirato il personaggio.

Se però l’assassinio di Gemma rappresenta l’ultimo atto di uno spettacolo teatrale, il finale di Sons of Anarchy è quello a cui assistiamo dopo che il sipario cala. Jax comincia a determinare. Decide di cambiare il corso degli eventi e a tracciare un nuovo futuro per i suoi figli, rimediando a quel peccato originale paterno di cui sopra. Ma “figlio” in senso nemmeno troppo lato, è anche il club, anch’esso bisognoso di una nuova direzione.

Come Rossella O’Hara quando lascia la città natia, Tara, e vi fa ritorno trovando campi incolti e proprietà di famiglia occupate, anche Jax, persa la “sua Tara” smarrisce le sue certezze e conosce il degrado della sua anima in un viaggio di sola andata. Come la protagonista di Via Col Vento, però, fa quello che avrebbe sempre dovuto fare: il capofamiglia.

“Credo di aver capito quello che avevi capito anche tu. Un buon padre non può essere anche un buon fuorilegge. Sorry JT, era troppo tardi per me”

Sons of Anarchy 7×13 – Il passaggio di consegne tra Jax e Chibs

Non è ancora salito sulla moto di JT, per l’ultimo viaggio sulla statale, con dietro tutte le sirene spiegate di San Joaquin Valley, ma Jax ha già cominciato il suo percorso di purificazione dell’anima. Il difficile non è fare tabula rasa degli ultimi nemici rimasti, da Barosky a Marks, non ha più niente da perdere, ormai. La parte complicata è lasciare andare i propri figli senza vacillare nel suo piano così ben congegnato, senza voltarsi indietro.

Se per lui è troppo tardi per la redenzione, delinea come nuovi padri per i suoi figli figure che invece conoscono molto bene questo concetto. Chibs e Tig si prenderanno cura del club, cercando di tenerlo al sicuro da quella escalation di sangue e violenza che ne hanno contraddistinto l’esistenza. Nero, un uomo estraneo alla famiglia, per estirpare fino all’ultima goccia il sangue impuro dei Teller, e Wendy si occuperanno di Abel e Thomas

Sulle note di Can’t Help Falling in Love, Jax, insieme agli altri Sons of Anarchy Motorcycle Club Redwood Original, insegue un trafficante di armi irlandese e fa slalom in mezzo ad alcuni mezzi pesanti. Probabilmente è in quel momento che deve aver deciso come andarsene, di una fine struggente, ineluttabile, catartica e anarchica.

“…in realtà ogni opposizione sociale e individuale al disordine esistente delle cose, è illuminato dalla luce spirituale dell’Anarchia” -Emma Goldman

La fine di Jax e di Sons of Anarchy

Anarchia, infatti, è liberazione della mente umana dal controllo della religione; Jax prende il manoscritto di John Teller e lo brucia, impedendo che quella visione possa mietere altri uomini valorosi. E, soprattutto, svincolando egli stesso da una concezione di vita utopica e, pertanto, irrealizzabile e incontrollabile. Adesso l’ha finalmente capito.

Anarchia è, inoltre, la liberazione del corpo umano dal controllo della proprietà; Jax compie sceglie una condizione di “nudità spirituale”, trovando il coraggio di andare oltre gli anelli, oltre i ricordi, oltre la patch, il casco e gli occhiali. Oltre il Club. Ripudiando persino, in un atto d’amore estremo, il suo essere genitore (“I need my sons to grow up hating the thought of me”)

Ma Anarchia, è anche la liberazione dalle catene e dalle restrizioni del governo. La confessione e conseguente reclusione non sarebbero bastate. Jax conserva il seme maligno dei Teller, la qual colpa travalica le azioni del singolo individuo. Soltanto facendosi capro espiatorio di tutto il male – portandoselo via con sè – può purificare se stesso e gli altri.

Dei corvi trovano un pezzo di pane sulla statale. Domani è un altro giorno per i SAMCRO, ma fondamentalmente è soltanto un altro giorno più vicino alla fine. Domani è un altro giorno, ma nella forma uguale a quelli precedenti se non recidi col passato una volta per tutte. Domani è un altro giorno, ma Jackie Boy, francamente, se ne infischia. La fine è qui e ora. E allora, via col vento, Jax.