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La terza generazione di Skins UK è davvero così pessima?

Pensando alla gloriosa Skins UK, le prime immagini che saltano alla mente dei più nostalgici giovani cuori, formati da quel misto di tossicità e drammaticità che fanno del teen drama britannico un titolo di culto per il genere, sono sicuramente relative alle prime quattro stagioni. Storie caratterizzate dalla fragile e stralunata Cassie, dallo sfortunato e tormentato Sid, dallo sregolato Chris, dalla magnetica e misteriosa Effy, dallo scapestrato Cook, e i loro compagni di disavventure.
Skins è una serie tv britannica andata in onda sul canale E4 tra il 2007 e il 2013 e segnata da una risonanza mediatica che ancora si riflette sullo scenario audiovisivo, soprattutto relativo al genere di riferimento, quello dei teen drama. In un contesto all’epoca composto da show per teenager fatti di giovani scintillanti dalle vite apparentemente piene, lussuose, perfette, con corpi mozzafiato e avventure da veri adulti (si pensi a The OC, Dawson’s Creek, Beverly Hills 90210), si colloca una storia controversa e oscura. Skins demistifica un panorama televisivo idealizzato e surreale per proporre una narrazione con attori dell’età che portano in scena, fatta da giovani e per giovani, coi problemi e i drammi dell’adolescenza di molti. Un’adolescenza irrequieta e travagliata che affligge ragazzi incompresi e impotenti che cercano indipendenza e una forma di evasione della grigia Bristol (Inghilterra) che li fa continuamente sentire inadeguati e angosciati. I giovani sono finalmente rappresentati per quello che realmente sono: talmente imperfetti da esser attraenti e organici, dotati di più strati e dimensioni. Pur con gli eccessi e le esagerazioni del caso e della narrativa britannica, i protagonisti tentano di sopravvivere nell’ecosistema scolastico e a una realtà fatta di adulti incapaci e altrettanto disagiati. Sostenendosi e fronteggiandosi costantemente, vengono seguiti in un ambiente tossico e scomodo, scoprendo nuove verità e immergendosi pienamente nelle prime esperienze in cui molti si cimentano in quei ruggenti anni.

Con un cast rinnovato ogni due anni, nella sua versione britannica Skins si compone di sette stagioni, le prime sei sono divise in gruppi di due in cui le vicende vertono attorno a una specifica e scombussolata cricca di amici che vive nella cittadina inglese; mentre l’ultima produzione ci proietta nel futuro, mostrandoci la realtà in cui alcuni dei celebri protagonisti vivono a distanza di tempo. Ebbene, la storia di Skins si divide in tre generazioni con tre cast diversi di ragazzi alla ricerca di un posto nel mondo e alle prese con le prime sregolate uscite. Le prime due generazioni di protagonisti si compongono di personaggi iconici e di racconti che hanno segnato un’intera fascia di spettatori e e influenzato una realtà televisiva che non è più stata la stessa. Con gli atipici prodotti adolescenziali che hanno caratterizzato la seconda metà degli anni Duemila (come anche Gossip Girl e My Mad Fat Diary) il panorama dei teen drama è stato marchiato da un punto di non ritorno.

Nonostante le prime quattro stagioni di Skins siano state attraversate da storie accattivanti di personaggi e interpreti memorabili, con la terza generazione la serie tv non ha riscosso il medesimo successo, tanto da esser generalmente etichettata come la peggiore delle tre.

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A distanza di ormai dieci anni dalla messa in onda della quinta stagione è opportuno domandarsi che cosa non abbia effettivamente funzionato nella terza generazione di Skins e se valga comunque la pena recuperarla o meno.

A seguito dell’incredibile esito ottenuto dalla prima generazione e poi consolidato e rafforzato dall’ancora più apprezzata seconda, le successive due stagioni (quinta e sesta) non hanno soddisfatto le attese di un pubblico estremamente affezionato. Seppur vero che le vicende degli eredi di Tony, Sid, Cassie, Effy, Cook, Freddie e co. si denotino per delle dinamiche meno crude e tragicamente tossiche, Skins rimane pregno della narrazione con cui si è fatto conoscere e riconoscere. Lo show si è distinto per il coraggio e la sfrontatezza con la quale ha esplorato tematiche scottanti, come abuso di sostanze stupefacenti, disordini alimentari, lutto e morte, sessualità, malattie mentali e disturbi della personalità, e via dicendo. La storia di un gruppo di ragazzini tra i sedici e i diciotto anni ripresi negli ultimi anni del liceo era divenuta col tempo sempre più oscura e spigolosa, fino a giungere alla innecessaria e immotivata morte del tenebroso Freddie per mano dello psicologo dell’amata Effy. Ai più è generalmente sembrato che l’anima della sua storia fosse quindi alterata con la quinta e sesta stagione.

Parliamoci chiaro, Skins non è perfetto e mai lo è stato. Si è presentato sin dal principio come un teen drama con storyline controverse che fa scontrare e incontrare tragedia e commedia, fatto di estrema drammaticità e cruda ironia nelle esagerazioni delle vicende giovanili, a tratti surreali. Con il terzo nuovo cast, lo show sembra inizialmente tornare alla spensierata sregolatezza delle prime due stagioni, bilanciando maggiormente l’amara vita senza freni e regole con una leggerezza più tipicamente adolescenziale. Ciò nonostante, il conquistato equilibrio ha vita breve e non è nemmeno capace di soddisfare gli affezionati fan. Molti ne sono usciti delusi. Pur essendo ancora proposti i tipici party fuori controllo e gli stili di vita caotici e disordinati che di Skins sono stati un marchio di fabbrica, le grandi aspettative del pubblico non sono state raggiunte con la quinta stagione, per poi affossare definitivamente lo show nella sesta che opera un cambio di rotta. Ma quali sono gli elementi che meno hanno funzionato e che hanno reso la terza generazione la pecora nera dell’universo di Skins UK?

Ma perché la quinta e la sesta stagione vengono quasi sempre sconsigliate suggerendo di saltarle a piedi pari?

A differenza dei primi due gruppi di protagonisti, il terzo non presenta alcun elemento di continuità con quanto avvenuto in precedenza. Nonostante non sia un fattore tra i più determinanti, le prime stagioni sembrano legate insieme e allo show stesso dalla figura di Effy Stonem (Kaya Scodelario), ponte e portale che garantisce un contatto tra le due generazioni. Con la quinta stagione, Skins riparte da zero e lo fa con uno dei personaggi più interessanti che lo show abbia proposto nella sua travagliata esistenza. Franky Fitzgerald (Dakota Blue Richards) è un soggetto nuovo, anomalo e inedito nel mondo amaro della serie tv. Si tratta di una giovane outsider, dallo stile androgino, e con casi di bullismo alle spalle. E’ presentata come l’apparente lead character della nuova coppia di stagioni e sembra avere un ottimo potenziale da apripista per le vicende che costelleranno la narrazione. Franky è diversa da tutto ciò su cui Skins si era focalizzato fino a quel momento: è difficile da decifrare, introduce un nuovo tipo di vulnerabilità per lo show, e sembra essere un personaggio genderqueer pronto ad aprire un nuovo capitolo per la serie. Ponendo le basi tra l’altro di un evidente tensione sessuale con l’apparentemente perfetta e popolare Mini McGuinness.

No, I’m not anything

So you are bisexual?

No, I’m into people.

Dopo una discreta stagione introduttiva, quello di Franky è il primo vero omicidio avvenuto nella terza generazione di Skins, la giovane introversa e disorientata si presenta sullo schermo all’inizio della sesta produzione totalmente cambiata, sia per stile che per personalità. E’ irriconoscibile: di colpo, in un’estate è privata della propria essenza per omologarsi agli altri prototipi di personaggio già visti nello show. Non presenta più l’intrigante iniziale caratterizzazione, ora è solo schietta, caparbia e imprevedibile in ogni scelta e azione che compie. E anche il look sembra sempre di più ricordare gli iconici abiti e smokey eye che impreziosivano i grandi occhi azzurri di Effy.

Con l’eccezione di Franky (e il suo conseguente successivo annientamento), la pecca più evidente della terza generazione è la lenta costruzione dei personaggi. Insieme alla sopracitata, in questo caso i principali sono, Mini, Grace, Liv, Nick, Matty, Rich e Alo. La quinta stagione presenta dei protagonisti che, tutto sommato, non sono male e che si strutturano come originali per le dinamiche che lo show ha in precedenza esplorato. Ciò nonostante, questi sono conosciuti con dei tempi più lunghi, per poi, per l’appunto, cambiare connotazione al passaggio di produzione. Ci mettiamo di più per immergerci nel nuovo contesto, i giovani per i primi episodi risultano poco caratterizzati e superficialmente scritti; mentre, a confronto, nella 01×01 abbiamo i primi dieci minuti dedicati a ciascuno dei membri del gruppo, chiamati uno alla volta dal leader Tony e presentati ognuno nel proprio habitat quotidiano.
La scrittura confusionaria dei personaggi accompagna la ritrovata leggerezza che un po’ mancava nella più seria e macabra seconda generazione. Ma ecco che, nella nebulosità della struttura dei suoi protagonisti, la sesta stagione cambia ancora una volta direzione e torna a essere ruvida e spietata, un’abbozzo della quarta, di cui non giovano gli adolescenti stessi, vittime di una quasi totale assenza di progresso. A partire dall’esagerata e innecessaria morte della dolce Grace a inizio stagione, fino al cambio radicale di Franky paradossalmente resa più vicina all’iconica Effy.

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Ebbene, dopo un tentativo poco apprezzato di tornare alle spensierate ed estreme scorribande della prima generazione, la terza fa retromarcia e ricerca la toccante e crudele narrazione tipica della seconda che tanto è aveva superato in popolarità l’originale.

Nelle stagioni dedicate alla terza generazione di ragazzi, le vicende divengono più surreali e caotiche di quanto non fossero già in passato. Nonostante l’assenza di un pieno happy ending, le produzioni precedenti sono soddisfacenti e apprezzabili nella loro interezza, sono complete seppur dotate di esiti dolceamari. La terza generazione ha un nuovo linguaggio e stile, proprio e personale. Ha una storia disordinata che introduce situazioni e personaggi per poi focalizzarsi costantemente su dinamiche ulteriori (si pensi all’inserimento di Alex nelle vicende della sesta stagione), proponendo articolazioni poco coerenti con la caratterizzazione delle figure portanti (come il triangolo tra Nick, Matty e Franky).

Nonostante qui siano state portate all’attenzione soltanto le imperfezioni, il discorso è ben più ampio. In sostanza, la terza e ultima generazione di tossici e disagiati giovani si era presentata con una buona base di partenza nella quinta stagione. Con un concept rinnovato ma coerente con le storie precedenti, animato dalle irregolari e conflittuali dinamiche, effrazioni e feste che di Skins sono l’essenza, lo show sembrava intenzionato a mantenere la propria buona reputazione di teen drama impegnato ma eccentrico. Eppure, la necessita di risolvere una trama poco apprezzata e di ritrovare la chiave che ne aveva reso un prodotto mediatico di culto hanno condotto a un cambio di rotta che non ha giovato alla narrazione, comportando aperture instabili e chiusure accelerate. La quinta stagione aveva e conserva un buon potenziale per cui non riceve ancora sufficiente credito. Non è un contenuto pessimo, ma diverso da quanto atteso: va approcciato con la giusta mentalità di chi è consapevole che, al netto di quattro produzioni vincenti, è corretto ricercare una nuova prospettiva e non tentare di riproporre sempre lo stesso prodotto che altrimenti sarebbe l’ennesima ridondante copia. Che senso avrebbe vedere ulteriormente la seconda generazione ma con un cast diverso? Perché perdere del tempo con una copia carbone? La terza generazione di Skins Uk merita la visione e un qualche credito non ancora riconosciuto dalla generalità degli spettatori. Nonostante il calo e cupo risvolto della sesta stagione, la quinta è godibile e si fa portabandiera della capacità dello show di mutare, rinnovarsi e mantenere la sua eccentrica identità. I protagonisti, in particolare, sono promettenti ma non sviluppati a pieno; ad esempio, Rich, Alo e Grace sono alcuni dei personaggi dell’universo di Skins con cui è più facile empatizzare. L’anima della serie sono proprio i tormentati adolescenti che in essa si muovono e, seppur orientati da scelte autoriali non sempre allo stesso modo brillanti, il modo che Skins ha di raccontarceli crea una connessione difficilmente riscontrabile in altri prodotti televisivi.

Le tre generazioni sono differenti, proponendo pur sempre una storia scomoda di conflitto ed empatia. Skins UK ha decisamente rivoluzionato il panorama televisivo, soprattutto in relazione alla rappresentazione dell’universo giovanile, tramite una nuova prospettiva, eccentrica, oscura e drammatica. L’impatto che lo show ha avuto sullo scenario narrativo e popolare è indubbio e per poterne cogliere pienamente l’essenza merita la visione completa, indipendentemente da ciò che venga etichettato come migliore e/o peggiore. La terza generazione, seppur non sia un prodotto impeccabile, nella sua imperfezione non ha nulla da invidiare a titoli analoghi rilasciati oggigiorno. Con una storia che tenta di esplorare territori nuovi per la sua precedente costruzione, le due stagioni in questione offrono un contenuto differente ma coerente, che cerca dopo un successo smisurato di mantenere i piedi per terra e non farsi condizionare dalle circostanze. Pur non riuscendoci a pieno, quello di Franky e i suoi compagni di sventure è un racconto toccante, confortante e ruvido di resilienza e amicizia che culmina con l’ennesima prova di amore, perdita e guarigione a cui Skins UK ci ha col tempo allenato. La realtà della condizione umana non è semplice ed è spesso spietata, lo show ce lo ricorda costantemente con l’onesta franchezza con cui ci propone situazioni amare e crudeli.

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