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Diciamoci la verità: Skins non ha eredi

I teen drama sono sicuramente il progetto più utilizzato e gettonato da ogni casa di produzione, intente ad attirare l’attenzione di tutti quei giovani che vogliono evadere dalla propria realtà e osservarla dall’esterno; un legame invisibile porta lo spettatore a ritrovarsi in quelle stesse dinamiche, ma allo stesso tempo ha la possibilità di scrutarle in modo distaccato, dalla sua comoda postazione. Dagli anni Novanta ad oggi c’è stata un’evoluzione del genere seriale non indifferente, partendo proprio dai primi progetti (impossibile non menzionare Gilmore Girls, The OC o One Tree Hill) per arrivare ai giorni nostri. Senza dubbio, una delle prime serie televisive che ci salta in mente quando si pensa a questa vasta categoria di prodotti appartiene al primo decennio degli anni Duemila ed è la seguente: Skins UK. Il termine deriva niente di meno che dallo slang giovanile britannico, si riferisce a quella che è la carta sottile utilizzata per fare le sigarette; un primo indizio a quell’attenzione nei confronti delle nuove generazioni che ritroveremo nel corso della storia. Ideata da Bryan Elsey e Jamie Brittain, la serie è stata prodotta dalla Company Pictures e mandata in onda per la prima volta il 25 gennaio 2007, sul canale satellitare E4; conclusa il 5 agosto 2013, dopo due anni verrà distribuita da Netflix nella sua interezza, a livello globale.

Skins (640×360)

Fin dalla sua primissima messa in onda sono stati mossi pareri eterogenei, dalle aspre critiche agli elogi più elaborati, ma solo grazie allo scorrere degli anni e il crescere degli spettatori è avvenuta la definitiva consacrazione: la serie britannica è stata coinvolta in un vero e proprio successo, postumo rispetto alla sua iniziale origine, per merito dell’aiuto dei social media e di un solido fandom (tutt’ora attivo e di grande supporto). Quest’ultimo non vede partecipi soltanto adolescenti presenti e passati, bensì anche adulti intenti a entrare nel trascorso mondo dell’adolescenza: un qualcosa che si conosce per esperienza personale, ma da cui non si smette mai di imparare e di cogliere nuove geniali sfumature. Ogni episodio si concentra su un singolo personaggio del gruppo di amici e porta sul piccolo schermo le sue fragilità, gli ingenui sogni giovanili, le deboli aspirazioni future, la carenza di sostegni familiari e la costante presenza di incomprensioni sentimentali: tutto viene definito, senza lasciar niente all’immaginazione.

Riguardando indietro ci duole rimpiangere gli anni passati, soprattutto perché ad oggi Skins UK non ci ha lasciato eredi degni del suo nome, rimanendo unica nel suo genere.

Parliamoci chiaro, di serie televisive di formazione e adolescenziali ne sono state prodotte in grandi quantità nel corso dell’ultimo decennio, per citarne qualcuna: Ginny & Georgia (Netflix), Rebelde (Netflix), Heartbreak High (Netflix), On My Block (Netflix), Dare Me (USA Network), Sex Education (Netflix), My Mad Fat Diary (E4), Get Even (BBC), Skam Norvegia (NRK) ed Euphoria (HBO); eppure nessuna ha mai raggiunto l’asticella imposta dalla madre dei teen drama. I più grandi nemici che hanno ostacolato l’emulazione sono la superficialità, l’artificiosità e la poca credibilità non solo degli sviluppi caratteriali inerenti ai vari personaggi presentati, ma anche delle ambientazioni e delle sotto-trame.

Skins (640×360)

Nessuna delle serie elencate ha raggiunto gli obiettivi che Skins UK si era posta ai suoi albori, nel concept basilare: l’onestà e la veridicità, nuda e cruda. Neppure il remake statunitense Skins US (MTV), del 2011, è riuscito nell’intento, peccando di banalità e cadendo vittima di una scadente qualità scenica, oltre che recitativa. La serie originale fin da subito si mostra a noi per quello che è, senza maschere o inganni: genuina e complice degli intrighi appartenenti a diverse generazioni di adolescenti nella mai monotona Bristol, in Gran Bretagna. Le prime sei stagioni vedono coinvolti tre diversi gruppi di ragazzini in continuo contrasto (esterno e interno) verso la società del loro tempo e la stessa vita, pregna di problematiche proprie dei protagonisti, ma allo stesso tempo universali, tristemente attuali: partendo dalla ricerca della propria sessualità, per poi passare a delle gravidanze precoci, relazioni tossiche, figure genitoriali abusive o assenti, disturbi del comportamento alimentare e della personalità, come la depressione, per concludere alle comuni dipendenze da droghe e alcool. Il tutto viene sempre raccontato in maniera semplice e, allo stesso tempo, viscerale.

La sua credibilità è data non solo dalla sceneggiatura, bensì dagli interpreti, dei veri adolescenti che interpretano degli alter ego di loro stessi, una caratteristica per nulla scontata e che oggi pare solo un’utopia; quante volte ci siamo ritrovati, sia un lungometraggi che in serie televisive, a vedere dei trentenni a interpretare dei sedicenni? Molte, anzi troppe. Da un lato abbiamo una certa maestranza della propria tecnica recitativa, vista l’età avanzata, ma resta il fatto che quest’incongruenza porta lo spettatore a non credere fino in fondo alla narrazione. In Skins UK, questo non accade. L’età dei personaggi va dai sedici ai diciotto anni, e di pari passo così è per l’età degli interpreti; nella maggior parte dei casi addirittura vennero assunti attraverso provini itineranti. Tutti gli attori ingaggiati erano alla loro prima grande esperienza recitativa e la serie è stata un trampolino di lancio verso il mondo televisivo, per i più capaci e versatili: in prima linea troviamo Kaya Scodelario (Spinning Out), Hannah Murray (Game of Thrones), Nicholas Hoult (The Great), Jack O’Connell (Godless) e Jessica Sula (Panic). Attraverso il loro lavoro abbiamo assistito alla maturazione dei loro personaggi, soprattutto nell’ultima stagione, ovvero la settima: l’adolescenza è finita e i nostri amati protagonisti devono sopravvivere in quello che è l’instabile mondo degli adulti, fatto di lavoro e sacrifici. Cambia lo scenario, ma non le modalità di raccontare la storia.

Non abbiamo una bipartizione tra il bianco e il nero, bensì immense zone di grigio, composte da momenti belli e rasserenanti, quanto brutti e sconsolanti; la serie ci presenta un’unica prospettiva, quella dell’imprevedibilità della vita e le sue tante sfaccettature.

Skins UK è stata, e forse sarà sempre, l’unica serie ad aver cercato di scardinare sul piano seriale ogni angolazione dell’esistenza adolescenziale e a interpretarla secondo criteri impersonali, cinici e distaccati, al fine di donare allo spettatore un’universalità mai vista prima. Questi passaggi, uniti alla credibilità degli attori nelle loro vesti, la quotidiana banalità del contesto urbano, la leggera complessità delle sotto-trame in cui sono coinvolti i protagonisti e il continuo grigiore dell’ottica di vita, l’hanno portata a consacrarsi come l’irraggiungibile apice delle serie televisive adolescenziali; un primato che mai le verrà sottratto.