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Six Feet Under mi ha resa immune ai finali

Nel mondo esistono due tipologie di persone: quelle che hanno visto piangendo e singhiozzando il finale di Six Feet Under, e quelle che non lo hanno mai visto. Sto parlando della meravigliosa serie tv targata HBO che porta la firma di Alan Ball, andata in onda dal 2001 al 2005. 6 piedi sono circa 1,83 metri ed è la profondità a cui viene sotterrata una bara. La morte è una presenza importante nella serie, alcuni potranno addirittura pensare che la morte sia la protagonista di Six Feet Under, ma la verità è esattamente l’opposto di questo assunto.

La morte è un contorno, un pretesto per raccontarci la vita come nessun’altra serie tv è mai riuscita a fare. In sè l’intera serie tv è un vero e proprio trattato di filosofia che andrebbe studiato nelle università. Questo vale anche e soprattutto per il finale, che merita un discorso a sè stante.

Il finale di Six Feet Under mi ha resa immune a tutti gli altri finali

Six Feet Under Finale (640×360)

Eppure di finali belli ne ho visti tanti, penso a I Soprano, Sons of Anarchy, Breaking Bad, Mad Men ecc. ma nessuno mi ha fatto lo stesso effetto di Six Feet Under. Non si tratta solo delle lacrime versate mentre ci scorrono davanti le vite dei personaggi che abbiamo imparato a conoscere nel corso delle cinque stagioni, ma della perfezione intrinseca di questo episodio.

Certo, la sequenza finale con Sia che canta Breathe Me è qualcosa di eccezionale. Anche io, che mi cullo nell’idea di essere brava con le parole, fatico a trovarne di adatte. Sarà che in questo preciso istante della mia vita mi sento molto più simile a Claire Fisher di quanto potessi immaginare, ma il finale di Six Feet Under riesce a scavare nella mia anima raggiungendo una profondità inaudita.

Improvvisamente sentiamo il peso del lutto, come rivivere la perdita di un caro o sentire l’odore nauseabondo di troppi fiori rinchiusi in una stanza funeraria. Ma sentiamo anche il profumo della vita, di chi in un modo o nell’altro ha scelto di slacciarsi e vivere.

Una delle scene più intense di Six Feet Under riguarda la conversazione tra Ruth e Claire e il loro abbraccio. La prima annega nell’apatia, si trafigge con il lutto e sceglie consapevolmente di non superarlo. Ruth ha dato la vita per la sua famiglia e si ritrova sola in una casa troppo grande. Vorrebbe che i suoi figli ritornassero bambini, in modo da poter avere un ruolo rilevante, da poterli accudire come solo lei sa fare.

Ruth ha conosciuto la solitudine e quasi ci si è abituata. Ha affrontato il parto e tutto ciò che ne consegue senza proferir parola, riversando tutta se stessa in quel ruolo di madre casalinga. Ma Ruth è molto di più. Ruth è bella e libera ed è meraviglioso vederla rifiorire come uno dei suoi colorati bouquet di rose. La vediamo con i capelli al vento e il sorriso ad arricciarle nuovamente il volto.

Ruth ritorna alla vita quando si rende conto che sua figlia sarebbe disposta a rinunciare alla sua libertà per lei. In quel momento capisce di non meritare quella solitudine con cui si è vestita per tutti questi anni, quasi per abitudine. La madre vorrebbe tenere la figlia con sè, proteggerla in quell’abbraccio sicuro per sempre, ma sa che non può farlo.

In Six Feet Under hanno scritto l’imperfezione della vita e il sacrificio dell’amore

six feet under
Six Feet Under Finale (640×360)

Dall’altro lato di quell’abbraccio pieno di lacrime c’è Claire Fisher, la più piccola della famiglia. Claire deve scegliere cosa diventare nella vita, sente la pressione sociale del dover diventare qualcosa. Si sente come in un negozio pieno di vetrine, in ognuna di queste c’è esposta un’etichetta diversa. Qualcuno prima di lei ha stampato e plastificato quelle etichette e tutti si aspettano che lei ne scelga una.

Invece Claire Fisher si mette al collo la sua macchina fotografica e decide di uscire dal locale. Claire va verso il futuro a muso duro, anche se non sa cosa ci sarà ad aspettarla dall’altro lato dell’incrocio. Noi lo scopriamo poco dopo, mentre i suoi occhi si chiudono di fronte a una parete piena di arte e piena di vita. Un mosaico di persone si ricongiunge nel suo sguardo mentre affronta il viaggio più bello, quello che nella sua famiglia hanno sempre abbellito con completi neri e frasi di circostanza.

Per la morte ci vuole rispetto, ma prima di tutto ci vuole rispetto per la vita, soprattutto la nostra. Dobbiamo rispettare il flusso imprevedibile dell’esistenza, e talvolta lasciarci cullare da quest’ultimo.

Oscar Wilde nella Prefazione a Il Ritratto di Dorian Gray scriveva “It is the spectator, and not life, that art really mirrors”. L’Arte rispecchia lo spettatore e non la vita. In Six Feet Under Adam Ball è riuscito a fare un’eccezione.

Non abbiate paura della vita, non vi sentirete mai pronti a vivere se non quando vivrete davvero. Sentite il vento nei capelli come Ruth, guidate senza meta come Claire, abbiate il coraggio di essere voi stessi come Daniel e prendete fiato. Perché la vita è fatta di momenti densi, e nessuno riesce davvero a catturarli, neanche una fotografia.

You can’t take a picture of it, it is already gone.