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Storia delle parolacce ci insegna l’arte del turpiloquio

Secondo l’ipotesi formulata all’inizio del Novecento dai linguisti Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf lo sviluppo cognitivo di ogni essere umano dipende strettamente dalla lingua che apprende e parla con regolarità. Questa apparentemente semplice teoria ha delle conseguenze importanti nella nostra modalità di esprimerci e nella possibilità di far evolvere il linguaggio di pari passo con la società in cui viviamo. Storia delle parolacce è un documentario il cui obiettivo è semplice: analizzare, riflettere e portare alla luce l’importanza delle ingurie, parole molto spesso disdegnate e censurate per via della loro volgarità e capacità di offendere.

Nella prima puntata della serie – uscita recentemente su Neflix – un bizzarro Nicolas Cage introduce il concept della serie citando delle frasi tratte da film americani molto famosi. Cos’hanno in comunque queste battute? L’utilizzo della parola inglese “f*ck”. La serietà con cui questa breve scena si presenta agli occhi dello spettatore imposta subito il tono di tutte e sei le puntate.

storia delle parolacce

L’idea è apparentemente geniale: illustrare un tema così bizzarro come quello del turpiloquio trattandolo con la serietà e l’oggettività tipiche di un documentario. Il contrasto è già di per sè esilarante. Aggiungete a questo mix interventi disparati di comici, alcune clip tratte da film importanti e avrete sicuramente un prodotto originale e capace di attrarre l’attenzione.

Cosa fare però con questa attenzione? I creatori di Storia delle parolacce hanno voluto utilizzare questo momento di luce per informare il proprio pubblico: nonostante i tabù e il rifiuto di questo tipo di linguaggio, il turpiloquio fa parte della realtà di ognuno di noi e, in quanto tale, ha una propria storia e una propria dignità. È per questo che la serie accosta a interventi basati sull’intrattenimento anche interviste fatte a linguisti, lessicologi, scienziati e storici.

Se questo tipo di parole fossero inutili per esprimere messaggi, informazioni e sentimenti d’altronde sarebbero sparite dal linguaggio comune. Eppure viviamo in un’epoca molto più libera in cui gli studi ci mostrano che dire le parolacce aiuta sia psicologicamente che fisicamente. Come viene detto anche in Storia delle parolacce, dire determinate parole aiuta il nostro cervello a rilasciare adrenalina. Tramite questo rilascio aumentano i battiti del nostro cuore e la circolazione rende le nostre mani sudate. A cosa serve questa reazione fisica? Ci permette di tollerare più dolore, ci rende più forti e permette di sfogare frustrazione e stress.

Molte di queste parole infatti non sono sempre state viste come espressioni negative e da censurare: agli albori invece rappresentavano termini comuni per comunicare avvenimenti o azioni come, per esempio, la parola “sh*t”.

history of swaer words

Il segreto per cui Storia delle parolacce risulta funzionare così bene risiede sicuramente nei messaggi che cerca di trasmettere e nelle riflessioni che vuole comunicare allo spettatore. La nostra società considera vietate determinate parole: la serie si chiede il perchè di questa caratteristica e la risposta, molto spesso, risiede in posizioni di bigottismo, razzismo, classismo e censura. Per esempio, è ancora comune pensare che le parolacce non siano adatte al linguaggio di una donna, eppure sono innumerevoli le volgarità create e usate appositamente per denigrare e insultare il sesso femminile (come le parole b***h e p***y presentate nella serie). O ancora, la società tende erroneamente a individuare una corrispondenza tra l’utilizzo del turpiloquio e la mancanza di istruzione ed educazione di una persona.

Ecco perchè è così coinvolgente stimolante e liberatorio vedere come questa messa in discussione delle regole del linguaggio permetta di illustrare con immediatezza l’idea che ciò che non viene accettato e capito viene automaticamente bandito.

Utilizzare poi un attore del calibro di Nicolas Cage è una scelta interessante e originale. La sua interpretazione nell’arco della serie è magnetica e viaggia sui limiti del geniale e del grottesco: l’assoluta serietà con cui l’attore sciorina queste parolacce dona un pizzico di legittimazione a un’idea che, altrimenti, risulterebbe ai più scettici un’assoluta idiozia. I suoi molteplici ruoli hanno sicuramente illustrato la sua versatilità e capacità di dedizione e impegno, motivo per cui ogni volta che compare sullo schermo veniamo inevitabilmente attratti dal suo modo schietto di parlare, istillando in noi curiosità e piacere.

I comici che intervengono poi nelle varie puntate sono un’altra azzeccatissima idea: da Nick Offerman a Sarah Silverman, i loro interventi permettono di esplorare con più humor la storia e le esperienze che ognuno di noi può aver vissuto nell’ambito delle parolacce. Sono molti anche i riferimenti al mondo del cinema, della musica, della televisione: da film classici come Via col vento a sketch comici come Dick In a Box, la serie illustra con metodo la storia di queste parole e, di riflesso, le conseguenze che questa rappresentazione ha sugli spettatori. Dalla prima volta in cui ne abbiamo sentita una alla prima volta in cui l’abbiamo usata, Storia delle Parolacce ci conferma il bisogno – tutto umano – di esprimerci senza troppi pregiudizi.

storia delle parolacce

Ci sono però alcuni limiti che non permettono a questa serie di esprimere a pieno le proprie potenzialità. La prima sicuramente riguarda l’ambito culturale da cui si parte.

Storia delle parolacce è un documentario pensato con una mentalità prettamente americana e parla quasi esclusivamente di avvenimenti e riferimenti che provengono dagli Stati Uniti (esempi spesso politicamente scorretti). L’originalità dell’idea infatti risulta ancora più potente nel momento in cui si riflette sul rapporto che la società americana ha con le ingiurie: come viene specificato anche nel documentario, ad esempio, nei film targati PG 13 si può utilizzare soltanto una volta la parola “f*ck”. O nella storia americana è famoso il dibattito – e le conseguenti battaglie legali – per introdurre sui cd e le canzoni il “parental advisory for explicit content” ovvero un’etichetta che informasse i consumatori della presenza di contenuti profani e ingiurie.

Per questo la serie può risultare difficile da inquadrare nel nostro modo di vedere e di pensare le parolacce: è consigliata la visione della serie in lingua originale poiché nella traduzione si perde molto dell’immediatezza e dei molteplici significati che queste parole hanno nella lingua inglese. Ad esempio la traduzione di b***h è solitamente la parola s*****a, ma nell’etimologia del termine inglese richiamata nella serie è evidente che il primo significato di b***h si riferisce a un esemplare femmina di cane. Questa spiegazione risulta assolutamente inconciliabile con l’etimologia della controparte italiana, motivo per cui tradurre una serie del genere in altre lingue trasforma e limita in modo inevitabile la riuscita del risultato finale.

Altro limite di Storia delle parolacce è la durata delle singole puntate: se è vero che in venti minuti sono molti in punti di vista illustrati, è anche palese che l’argomento riesce a essere trattato soltanto in maniera superficiale e non risulta quindi sufficientemente esaustivo. Chiunque sia davvero interessato alla storia delle parolacce dovrà dunque sopperire in maniera autonoma alle mancanze della serie, potendo però partire dagli spunti dati nei singoli episodi.

Tuttavia è chiaro che Storia delle parolacce è un prodotto leggero, d’intrattenimento e divertente che sa come utilizzare la comicità per reclamare il diritto di utilizzare più liberamente tutti i tipi di linguaggio, sdoganando i tabù legati a queste parole. La serie ci sfida apertamente nel rimettere in considerazione tutto ciò che crediamo di sapere sulle parolacce e ci dimostra, con una simpatia disarmante, che non c’è nulla di male nell’esprimere i nostri sentimenti e le nostre emozioni – positive o negative che siano – tramite una sana e liberatoria ingiuria.

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