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Le Serie Tv rispondono alle esigenze di una realtà ipermoderna

Serie tv come Mindhunter o Romanzo Criminale rispondono a un’esigenza ormai comune: conoscere la realtà. È un dato di fatto, siamo stati travolti dall’impeto di quelle generazioni che dagli anni Sessanta combattono contro l’angoscia e il timore di ridurre il mondo all’ennesima favola mistica. Siamo la generazione smaniosa di opporsi alla falsificazione del presente, pur essendo coscienti del fatto che esso sia comunque e costantemente deformato dall’azione dei media, che esorcizzano il timore di una realtà decadente e maligna dipingendola come qualcosa di lontano, nutrendo la debole idea di poterci proteggere in un sempre disponibile locus amoenus. 

Il nuovo desiderio di raccontare il presente, anche nei suoi aspetti più crudi, ha dunque condotto gli sceneggiatori di oggi sul sentiero della storiografia critica, che sfrutta le costruzioni culturali per indagare e scovare la verità nella finzione. Insomma, l’ipermoderno è quello che lo stesso Raffaele Donnarumma ha definito come il realismo che sa che la realtà è mediata dalle immagini, ma cerca comunque di opporsi alla falsificazione integrale.

Cosa tutto questo abbia a che fare con il mondo del cinema e delle serie tv italiane, e anche straniere, è ben chiaro.

Mindhunter

Le serie tv e i film che si propongono di raggiungere il pubblico con il vero diventano l’equivalente di quei non-fiction novel che hanno come padre indiscusso Truman Capote. Dunque, anche la televisione e il cinema dimostrano di poter essere i nuovi mezzi attraverso cui questi autori contemporanei rivendicano il loro titolo di intellettuali militanti, impegnati nel compito sociale e culturale di narrare la realtà a un pubblico di telespettatori. Si tratta di autori-testimoni che pongono l’accento sul concetto di io c’ero, avendo vissuto l’evento in prima persona o collaborando con coloro che l’hanno vissuto. Uno dei casi eclatanti di questo impegno soggettivo è la serie Netflix When They See Us, ideata da Ava Duvernay. Lo scopo della miniserie è quello di fare chiarezza sulle dinamiche legali vissute dai ragazzi coinvolti nel processo per l’aggressione subita da Trisha Meili, verificatasi la notte del 19 aprile 1989 a Central Park.

La Duvernay pone sullo schermo la crudeltà dell’aggressione, l’ingiustizia e il razzismo di cui sono stati vittime i ragazzi, la corruzione e la malvagità delle forze dell’ordine. La sceneggiatrice lo fa realizzando un prodotto televisivo dalla perfetta regia ma il cui nucleo vero e proprio risiede nella sceneggiatura, che attinge a piene mani dai documenti, dalle registrazioni degli interrogatori e dalle testimonianze dirette dei ragazzi coinvolti e delle loro famiglie. Commovente è anche il finale della serie, che irrompe sempre più nel mondo reale mostrando i volti degli uomini protagonisti della vicenda, uomini privati della serenità dell’adolescenza e della prima età adulta.

Ma l’attendibilità non elimina la finzione, ingrediente ben dosato ma necessario nel tacito patto tra autore e spettatore. Lo dimostra Mindhunter.

mindhunter

La serie Netflix, prova del talento di Jonathan Groff, si basa interamente sugli studi e sui casi affrontati da John Douglas, ex agente e criminal profiler dell’FBI. Egli pubblicò numerosi saggi e romanzi sulla psicologia criminale sfruttando registrazioni e interviste con alcuni dei serial killer del XX secolo. Infatti, le vicende narrate in Mindhunter sono tratte dall’omonimo libro: Mindhunter: La storia vera del primo cacciatore di serial killer americano, pubblicato nel 1995. Lo stesso Holden Ford, protagonista della miniserie, è stato scritto con l’idea di ricalcare perfettamente la personalità e il carattere di Douglas.

In questo modo la letteratura e il cinema d’inchiesta si inseriscono nella televisione di tutti i giorni, sapendo bene di poter fare pressione sulla curiosità più macabra dello spettatore.

Mindhunter è solo uno dei molti prodotti che raccontano il desiderio di crudo realismo, fulcro dell’ipermodernità.

In Italia, cartina di tornasole di questa condizione storico-culturale è Gomorra – La Serie, ideata da Roberto Saviano, autore dell’omonimo romanzo, in collaborazione con Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini. Le figure di Ciro Di Marzio o di Genny Savastano e l’intero sistema su cui si basano le dinamiche della Camorra, che entrambi devono vivere, sono la rappresentazione di tutte le testimonianze giornalistiche a cui l’autore ha attinto, ma che sono state celate, forse troppo, tutte dietro volti fittizi.

Mindhunter

Consapevoli di questo nuovo modo di raccontare la storia si palesa ciò che lo sceneggiatore chiede al suo telespettatore: cercare di guardare oltre il meccanico susseguirsi delle scene per carpire attraverso le parole dei personaggi e attraverso la regia la verità racchiusa nella menzognaMa, anche prima di questa serieintraprende il medesimo sentiero Romanzo Criminale, in cui anche la fotografia si sposa con la nudità con cui i fatti vengono raccontati. La serie è tratta dall’omonimo libro del giudice Giancarlo De Cataldi, e i protagonisti e gli eventi sono ispirati ai componenti e alle vicende della Banda della Magliana. Ecco dunque che i nuovi intellettuali si accingono a raccogliere questa aureola un tempo sporca di fango grazie a dei prodotti che tentano, a volte riuscendo, di soddisfare il desiderio masochista di conoscere il mondo senza filtri.

Ciononostante, al di là di Mindhunter e di Romanzo Criminale, talvolta si commettono solo errori e orrori.

È il caso di Baby, serie diretta da Andrea De Sica, Anna Negri e Letizia Lamartire, che risponde a quella inutile necessità di realizzare un’Italia americana anche nel fare cronaca. Baby decide di accantonare la verità in favore di un drama alla The O.C. o alla Gossip Girl, creduti più suscettibili al successo. Infatti la serie Netflix sfrutta poco o niente la documentazione e le prove raccolte durante le indagini e allontana l’attendibilità della narrazione optando per un’atmosfera surreale, solo in apparenza lontana. Il triste risultato è che, come si nota specialmente dalla prima stagione, le ragazzine di quattordici anni coinvolte e rappresentate da Chiara e Ludovica diventano delle femme fatale consapevoli, quando in realtà sono solo delle bambine raggirate e manipolate dagli adulti e dallo schifo che questi hanno dentro.

Si ha quindi una visione distorta della vittima che finisce per essere additata come causa principale del suo stesso male. Così il carnefice resta ai margini, nell’ombra, scomparendo facilmente con la verità. Ma la realtà sarà forse un’altra? Magari Baby nel suo essere uno show approssimativo diventa un’intelligente, ma chiaramente inconsapevole, metafora di come le informazioni vengano gestite oggi in Italia.

Le serie citate sono tuttavia anche la prova del successo e del fallimento di questo viaggio improntato alla ricerca del vero, che diventa sempre più chiaro in un’epoca in cui i sentieri percorribili – in arte, in storia, in letteratura – sono talmente numerosi da annullare ogni certezza e idea in un mescolarsi di tutto. Ecco perché ognuna di queste serie insieme a molte altre, italiane e non, costituisce un percorso nitido, perché è con questa nuova idea di prodotto televisivo e cinematografico che vediamo rappresentata la modernità liquida difficile da definire o da afferrare, ma che si percepisce in ogni ambito. 

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