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10 Serial Killer (non realmente esistiti) che hanno catalizzato l’attenzione nel mondo delle Serie Tv

Si definisce serial killer quell’individuo che uccide compulsivamente un numero indefinito di persone con un modus operandi ben preciso. Presentata così sembra nient’altro che una definizione asettica, ma la verità è che la figura dei serial killer è stata per anni e rimane tutt’ora uno dei topic più popolari nelle serie tv e nel cinema. Ci sono prodotti come Mindhunter e American Horror Story che, con metodologie e approcci diversi, esplorano le vite di assassini seriali realmente esistiti; ci sono i documentari, le serie true crime, pellicole più o meno ispirate a veri casi di cronaca. Insomma, ci troviamo davanti a un oceano di contenuti papabili, perfetti per raccontare storie intense, traumatizzanti, veritiere. Storie che spesso desiderano educare il pubblico più di quanto vogliano turbarlo, utilizzando materiali presi dalla nostra storia più o meno recente e, all’occasione, creando figure puramente fittizie. Uomini e donne criminali, perversi, colpevoli, tutti uniti da un obiettivo comune: la volontà di raccontare il crimine attraverso il confortante tocco della finzione. Dexter Morgan, Joe Goldberg, Norman Bates: vediamo i 10 serial killer (non realmente esistiti) che hanno catalizzato l’attenzione nel mondo delle serie tv.

1) Hannibal

Dexter
Hannibal (640×360)

Quanto può essere sottile la linea che divide la follia pura dalla realtà percepibile? Quanto può sopportare la nostra mente di fronte all’orrore prima di crollare e sfaldarsi come un frutto marcio? E’ a questa domanda a cui ha tentato di rispondere Hannibal, serie tv andata in onda dal 2013 al 2016 basata sui romanzi di Thomas Harris. Un geniale profiler dell’FBI con un perverso e disturbante talento nell’immedesimazione da un lato, un celebre serial killer antropofago dall’altro e la voglia di raccontare la storia di Hannibal Lecter come mai prima. Hannibal altro non è che una lacerante e dolorosa partita a scacchi tra il bene e il male, la sanità e la malvagità pura, ciò che vorremmo essere in quanto uomini e il nostro istinto animale sempre dietro l’angolo pronto a affondare gli artigli dentro di noi. Mads Mikkelsen ha fatto un lavoro egregio nel raccontare la storia di un uomo geniale e perverso, una figura che (ai suoi tempi) ha fatto guadagnare ad Antony Hopkins l’oscar come migliore attore in soli 24 minuti di film. L’Hannibal di Mads Mikkelsen è tanto affascinante quanto disturbante, e chi ha visto la serie sa bene di cosa stiamo parlando.

2) Joe Carroll

Dexter
Joe Carroll (640×388)

I serial killer spesso sono caratterizzati da menti isolate, chiuse nel loro essere totalmente agli antipodi rispetto ai canoni che caratterizzano l’uomo “normale”. Il cervello di un assassino seriale sembra impenetrabile, e quelle serie tv che hanno provato ad analizzarlo (come You o Dexter) si sono spesso trovate davanti ad una dura realtà: è quasi impossibile spiegare la follia. Cosa succede, però, quando questa follia non solo viene accettata ma finisce per essere compresa, onorata, seguita al pari di una religione? E’ questo che fa Joe Carroll in The Following ed è questo che Ryan Hardy, l’eterno antagonista di Joe (e protagonista ‘buono’, ma maledetto, della serie) interpretato da Kevin Bacon, tenta di combattere per tre difficili stagioni: l’accettazione dell’inaccettabile. Carroll è un serial killer sui generis, che sfrutta i social media (e la letteratura) come terreno fertile per alimentare una sorta di culto della sua persona; un tema complesso e decisamente attuale, soprattutto nella nostra epoca dove si è diventati sempre più abili a presentare un’altra faccia di noi stessi su Internet. Un volto che attira, corrompe e irretisce; anche davanti al male, quello più puro.

3) Dexter Morgan

Dexter
Dexter Morgan (640×360)

Arriviamo forse al più bizzarro individuo di questa lista, colui che è riuscito a rivoluzionare in maniera indelebile la figura dell’assassino seriale nel mondo della serialità televisiva. Dexter Morgan, protagonista assoluto della serie Dexter (andata in onda per otto stagioni e conclusasi nel 2013 con uno dei finali più controversi del genere, salvo poi tornare due anni fa con un revival), è un serial killer a dir poco anomalo: è spietato e feroce come tutti gli altri, ma agisce secondo un preciso codice morale dal quale fa di tutto per non discostarsi. Le vittime di Dexter, infatti, sono a loro volta criminali della peggior specie, tutti coloro che sono sfuggiti alla giustizia e che, nella mente dell’uomo, meritano la morte. Ed è proprio qui che si apre l’universo di discussione e interpretazione che ha reso Dexter una delle serie più innovative degli ultimi vent’anni. Chi siamo noi, alla fine, per decidere sul destino di qualcun altro? Ha senso sentirsi come una sorta di Dio sceso in terra quando, sotto sotto, stiamo semplicemente togliendo la vita ad un’altra persona? E’ al costante rapporto tra uomo e Dio che Dexter pone le domande giuste, che pungono e fanno male come dovrebbero; perché in Dexter è difficile prendere delle parti, anche quando sembra che non ci sia scelta.

4) Norman Bates

Norman Bates, interpretato da Freddie Highmore (640×360)

Norman Bates è uno dei serial killer fittizi più famosi, analizzato e affrontato in svariate pellicole nella storia del cinema (davanti a tutti i romanzi Psycho di Robert Bloch, poi trasposti nell’omonimo cult del 1960 diretto da Alfred Hitchcock). Ed è forse proprio a causa di questa fama con la quale è difficile confrontarsi che Bates Motel, serie tv con protagonisti Vera Farmiga e Freddie Highmore, ha deciso di prendere una strada completamente diversa, forse più dissestata ma sicuramente originale. Norman Bates diventa qui un adolescente come tanti altri, costretto a trasferirsi con la madre Norma in un motel con casa annessa nell’Oregon dopo la morte del padre. Ancora una volta è il tentativo di umanizzare una figura con cui è impossibile empatizzare, o piuttosto di analizzare ciò che si cela nei meandri della sua psiche, a rendere Bates Motel una serie tv diversa, innovativa nel suo totale disinteresse per l’orrore puro contrapposto invece al desiderio di esplorare un male sottile, silenzioso e letale. Bates Motel più che spaventare insegna, e ricorda a tutti noi una triste verità: i giovani sono come cera, malleabili fino al midollo. E pagheranno sempre le colpe di chi li ha cresciuti.

5) Errol Childress

Errol Childress, True Detective (640×320)

Non c’è niente di simile a True Detective. L’atmosfera cupa, la filosofia pessimista e l’analisi nietzschiana di un mondo che sembra prossimo alla distruzione sono tra i pilastri che hanno reso la serie creata da Nic Pizzolatto tra le più apprezzate dalla critica e dal pubblico negli ultimi anni. Concepita come antologia, True Detective vede ogni stagione incentrata su un crimine diverso e sulla ricerca del colpevole da parte delle autorità. In particolare è la prima stagione ad avere segnato in maniera indelebile il mondo del crime: i detective Rust Cohle e Marty Hart si ritrovano a collaborare in una caccia ad un serial killer in Louisiana durata ben diciassette anni, una corsa contro il tempo che è al tempo stesso un’analisi metodica nel tentativo di comprendere chi si celi dietro alla mistica figura del Re giallo. Errol Childress, proprio come la serie che lo vede protagonista, è un assassino seriale macabro, sfuggente e silenzioso, protagonista di una storia che da la nausea e rimane attaccata all’animo di chi guarda ben oltre il termine della visione.

6) Villanelle

Villanelle (640×360)

Un’altra storia che parla di ossessione, una vicenda che (sul filone di Hannibal) finisce per raccontare più della parte apparentemente sana, piuttosto che di quella perversa, celata in ciascuno di noi. Killing Eve, meravigliosa dramedy britannica condita con un tocco di black humor, vede come protagonista Sandra Oh, tornata alla ribalta dopo il successo di Grey’s Anatomy, nei panni di una funzionaria dell’MI-5 incaricata di catturare la spietata e sociopatica serial killer Villanelle (interpretata da una straordinaria Jodie Comer). A Killing Eve, e soprattutto alla figura di Villanelle, va dato il merito assoluto di essere riuscita a raccontare la storia di una donna, ancor prima che di una criminale, mai banalizzata o intrappolata in tutti quegli stereotipi nei quali sarebbe stato fin troppo facile cadere. Grazie ad una scrittura complessa e coerente, Villanelle emerge come serial killer in un racconto che ha del bizzarro senza mai risultare ridicolo e che vede due donne impegnate in una continua ricerca, dell’altra e di se stesse. Due figure che si sfiorano senza toccarsi mai e che danno vita ad una danza magica e morbosamente accattivante.

7) Sam Fortner

Sam Fortner, The Patient (640×360)

Una seduta psichiatrica, un segreto inconfessabile, la volontà di redimersi. Sono questi gli ingredienti principali di The Patient, miniserie televisiva andata in onda su Hulu nel 2022 con protagonisti Steve Carell e Domhnall Gleeson nei panni rispettivamente di terapeuta e paziente. Alan è uno psicologo che fatica a venire a patti con la morte della moglie, Sam è un ragazzo schivo e problematico, abile nel nascondersi dietro un paio di lenti scure per evitare il contatto visivo con il suo terapeuta. Un pretesto banale, forse un po’ pesante ma comunque digeribile. Eppure The Patient ha ben poco di normale, e anche quello che desidera affrontare in maniera canonica diventa nient’altro che uno strumento per raccontare qualcos’altro. Sam in realtà è un serial killer, e Alan lo sfortunato ostaggio incaricato di curare quella che il ragazzo stesso percepisce come una perversione. Dieci episodi serrati e profondi, usati magistralmente per raccontare la malattia (e ancor di più la consapevolezza di essa) vista dagli occhi di colui che dovrebbe essere un mostro. E che, al contrario, si rivela spaventosamente umano.

8) Joe Goldberg

Joe in You (640×360)

Si è detto tanto di You, fenomeno di Netflix con protagonista un altro serial killer sui generis, e ancor di più su Joe Goldberg, lo sfortunato partecipante di una storia che suona molto simile ad una tragedia shakespeariana. Quale che sia la patologia che caratterizza l’assassino seriale interpretato da Penn Badgley, una cosa rimane indubbia: Joe è clinicamente, inevitabilmente, indissolubilmente legato alla morte. Stalker, omicida, serial killer: in qualsiasi modo lo si voglia caratterizzare, il protagonista di You appare intrappolato all’interno della sua stessa mente, incapace di rapportarsi a se stesso ancor prima che al mondo interno. Joe, al pari di Dexter, fatica ad accettare chi è veramente e tenta di sfuggire ad un destino che appare già scritto e, soprattutto, senza lieto fine. Ma la cosa più destabilizzante che riguarda il personaggio di You è lo straordinario seguito, per non dire amore, che la sua figura ha raccolto nel corso degli anni. Joe è compreso più che odiato, capito più che condannato, e per questo è forse più pericoloso di tutti gli altri serial killer fittizi presenti in questo articolo.

9) John Beecham

John Beecham (640×361)

Non c’è niente che spezza più il cuore dell’omicidio di un bambino. Ancor di più se questa morte è premeditata, ricercata, e pianificata fino ai minimi dettagli. La narrazione di The Alienist, serie tv statunitense disponibile su Netflix con protagonisti Luke Evans e Daniel Brühl, parte proprio da qui: nella New York del 1896 in piena rivoluzione industriale l’analista e dottore Laszlo Kreizler deve collaborare con la polizia per risolvere una serie di terribili omicidi che hanno come vittime dei giovani ragazzi. La serie non è perfettamente riuscita ed è stata cancellata dopo solo due stagioni, eppure riesce a fare un lavoro da manuale nell’affrontare due tra le tematiche più interessanti e prorompenti quando si parla di serial killer: l’analisi della mente dell’assassino e la sua caratterizzazione psicologica. John Beecham, il killer seriale che si cela dietro i brutali delitti, è analizzato con un’attenzione invidiabile, con l’obiettivo di rendere comprensibile a pubblico e critica la follia e la violenza che lo caratterizzano.

10) John il Rosso

John il Rosso (640×360)

Chiudiamo con un’icona, un serial killer che è diventato così tanto un tutt’uno con ciò che rappresenta da essere ricordato più per un disegno, che per il suo vero volto. John il Rosso è stato per sei stagioni l’acerrimo nemico di Patrick Jane, mentalista e collaboratore al California Bureau of Investigation nell’universo della serie televisiva The Mentalist. Ispirato al criminale Keith Jesperson, John il Rosso ha un modus operandi molto specifico (quello di firmare le scene del delitto dipingendo con il sangue della vittima una faccina sorridente) ed è responsabile della morte della moglie e figlia di Patrick. Per il mentalista John il Rosso è un’ossessione, un tarlo impossibile da estirpare, ed è deciso a scoprire l’identità del killer per poter finalmente vendicare la sua famiglia. Un assassino seriale iconico, un’impronta indelebile per i fan della serie che ha accompagnato con una narrazione al cardiopalma The Mentalist (quasi) fino alla fine.

Ted Bundy diceva che i serial killer sono ovunque. Sono i nostri padri, i nostri figli, i nostri vicini di casa. Forse il primo vero passo è imparare a conoscerli davvero.

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