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“Story Matters Here“. Qualcosa come: “Qui le storie hanno un valore”. Il motto della AMC, storico network via cavo statunitense, è sempre stato un chiaro manifesto d’intenti. Qui le storie contano, eccome. Da Mad Men a Breaking Bad, passando per The Walking Dead e la più recente Better Call Saul, la AMC ha costruito le sue fortune con un solo obiettivo: massimizzare i risultati con poche serie tv, fatte bene. Ma non solo fatte bene: capolavori assoluti, cardini imprescindibili della golden age televisiva che fu e di una storia, quella del piccolo schermo, che da fratello minore si è trasformato in alternativa credibile per il cinema.
Oggi, però, tutto è cambiato: la transizione dal cavo allo streaming, unito alla crisi d’identità di un network che oggi si è buttato a piene mani sul mercato delle IP Series (ci arriveremo) senza avere una direzione davvero decisa e consolidata, hanno portato la AMC a perdere la centralità che aveva avuto fino a pochi anni fa. Cosa è successo? Com’è possibile che la casa di capolavori del genere, trasmessi in gran parte negli stessi anni, sia oggi relegata alla periferia del piccolo schermo? E soprattutto: è un processo irreversibile? Visto che le storie contano, oggi vi raccontiamo la loro.
La AMC: dai grandi classici ai capolavori contemporanei

Nata nel 1984, la AMC si era posizionata inizialmente sul mercato con finalità molto diverse da quelle che l’hanno poi resa celebre: AMC, infatti, sta semplicemente per American Movie Classics. Come suggerisce il nome, la programmazione dei primi anni era improntata principalmente sulla trasmissione di vecchi classici del cinema americano, spesso anteriori al 1950.
La specialità erano le maratone dei fratelli Marx, ma il palinsesto era variegato e ideale per la platea di nostalgici alla ricerca di un brivido in bianco e nero. Il primo vero spartiacque della sua storia, tuttavia, arriverà nel 1996, quando fu trasmessa la prima serie tv originale: Remember WENN, ambientata in una stazione radiofonica degli anni Trenta, combinava la linea editoriale originaria con un approccio coraggioso al piccolo schermo. Approccio che la porterà, negli anni successivi, a switchare progressivamente sulla serialità coi risultati che conosciamo: i capolavori distribuiti furono figli di un audace affidamento delle produzioni ad autori visionari (Matthew Weiner e Vince Gilligan su tutti, nella golden age), nonché a un intelligente posizionamento sul mercato.
I competitor, d’altronde, erano agguerriti e con risorse molto più ampie.
Stando al cavo senza prendere in esame la tv lineare, abbiamo parlato nelle scorse settimane della HBO e di FX, due colossi coi quali il network si è confrontato con una visione mirata all’ottimizzazione. Potremmo citare inoltre, in tal senso, anche Showtime, altro player con budget nettamente superiori. Scommise su autori e storie che altri avevano scartato – Mad Men era stata bocciata dalla stessa HBO, mentre Breaking Bad era stata giudicata troppo “dark” da altre reti – budget contenuti ma gestiti con intelligenza, set minimalisti e cura maniacale per i dettagli. Nessuna ossessione per gli ascolti immediati: la AMC puntava sulla crescita nel tempo, e a posteriori si può dire che abbia avuto ragione. Ottima anche la sinergia con lo streaming: la cooperazione con Netflix ha contribuito significativamente ai successi straordinari di Breaking Bad e del suo sequel, Better Call Saul.
La linea editoriale presenta tutti i crismi della prestige tv alla quale c’eravamo abituati soprattutto tra i primi anni Duemila e il 2015 circa: no ai prodotti di massa, no alla comfort tv, sì a storie importanti, disturbanti e memorabili. E ancora:
- Libertà creativa agli autori.
- Anti-eroi fortemente caratterizzati.
- Scelte estetiche e narrative non convenzionali.
- Generi rischiosi e non “mainstream”.
- Poche serie tv, tutte ad altissima densità narrativa.
- Posizionamento culturale forte: “non siamo la tv di tutti”
Le stagioni, inoltre, si accorciarono (10–13 episodi, invece dei classici 22 delle generaliste), i pilot non venivano testati dal pubblico e c’era una grande cura estetica e registica, assimilabile a quella del cinema indipendente.
Insomma, gran parte degli elementi che hanno trasformato la tv in quella cosa che il pubblico di massa conosce oggi sono figli di esperienze pionieristiche come quella affrontata dalla AMC. E i risultati ottenuti sono evidenti: la rete ci ha regalato alcune tra le migliori serie tv di sempre, e non è un caso che abbia toccato il suo apice nel 2013, quando risultava uno dei canali via cavo più popolari negli Stati Uniti. In quel momento, era ricevibile da oltre l’85% delle famiglie statunitensi: se si pensa ai budget, fu qualcosa di simile a un miracolo televisivo. Una volta che si sono concluse Breaking Bad e Mad Men, tuttavia, qualcosa si è spezzato. Il declino, inizialmente silenzioso e coperto dagli ultimi grandi successi, si è accentuato nel tempo, fino ad arrivare allo scenario attuale.
LA AMC: ok Better Call Saul, ma poi? Quanti spin-off di The Walking Dead volete tirare fuori? Sì

Cosa è successo? La AMC ha lasciato l’era della golden age e si è fiondata direttamente in quella delle IP Tv. Ne abbiamo parlato ampiamente nell’articolo dedicato al declino della peak tv – il modello di sovraproduzione di serie tv della prima fase dello streaming – sottolineando come oggi siamo dentro un periodo storico nel quale hanno assunto una centralità assoluta le IP, ovvero le Intellectual Property. Le proprietà intellettuali, ovvero i franchise. E allora: reboot, revival, adattamenti di vario tipo e, soprattutto spin-off. Spin-off dei quali la AMC ha usufruito ampiamente, finendo per esagerare.
Una volta che si sono concluse le tre serie tv storiche della piattaforma, le già citate Breaking Bad, Mad Men e The Walking Dead, si è arrestata la linea creativa di successo che l’aveva portata in alto. E l’unica risposta è stata la valorizzazione più o meno riuscita dei vecchi universi narrativi con svariati prodotti derivati.
Per una Better Call Saul che ha ottenuto dei risultati rimarchevoli sia in termini di pubblico che – soprattutto – di critica, c’è il franchise di The Walking Dead che è stato sfruttato in ogni modo possibile e immaginabile, spesso e volentieri con risultati deludenti.
Per intenderci: nel momento in cui vi scriviamo, l’universo narrativo tratto dai fumetti di Robert Kirkman ha generato la bellezza di sei spin-off. Sei, in pochissimi anni. Dimenticabili, in gran parte dei casi. E arrivati tra l’agonia e la mesta fine della serie madre, giunta stremata al traguardo finale dell’undicesima stagione. A quanto pare, è solo l’inizio: di recente, Scott M. Gimple, produttore della serie, ha affermato che il franchise di The Walking Dead potrebbe andare avanti fino al 2040. Pur evitando una scontata associazione all’idea di un morto che cammina in qualche modo, è evidente che la AMC stia ampiamente esagerando in tal senso.
Quello che era nato come un rischio – una serie horror post-apocalittica in prima serata – si è trasformato in una prigione commerciale. The Walking Dead ha finito per soffocare la creatività del canale. Più che un mondo narrativo, è diventato un parco a tema che replica se stesso senza rinnovarsi. E il pubblico, inevitabilmente, si è allontanato.
Insomma, il declino continua. E non è tutto.
Nel tentativo di aggiornarsi, la rete ha lanciato AMC+, una piattaforma streaming che avrebbe dovuto traghettare il marchio verso il futuro. In realtà, si è rivelata un’operazione debole, mal comunicata e scarsamente competitiva. A differenza di HBO Max, Paramount+ o Disney+, AMC+ non ha né un catalogo ricco né produzioni esclusive capaci di trainare abbonamenti. Alcune serie originali sono addirittura sparite dopo poche settimane, vittime di strategie inefficaci e bug sistemici di vario tipo. L’effetto? Il pubblico non sa più dove trovare le serie AMC, né perché dovrebbe cercarle. Sono poche, infatti, le produzioni di livello degli ultimi anni: molte le cancellazioni repentine, rare le sorprese positive e mai lontanamente all’altezza delle storiche regine del network. Potremmo parlare, per esempio, di Interview with the Vampire o Dark Winds: interessanti, per alcuni belle, ma quanti le ricorderanno anche solo tra cinque anni? Pochi, pochissimi.
E allora? Dove si va da qui? La AMC è destinata a sparire nell’anonimato definitivamente?

No, a patto che ritrovi una visione chiara e un’identità che la distingua dalle altre. Le lezioni che lei stessa ha portato nell’era della golden age sono ancora valide oggi: poche serie tv, ma fatte bene. Scommettere su autori coraggiosi e visionari, prodotti audaci e scritti con cura, idee nuove e, possibilmente, una serie spartiacque che sappia conquistare le massime platee e trainare sulle spalle le altre produzioni. Perché no, continuare a scommettere sui franchise, ma farlo senza più ancorarsi a certezze ormai ataviche.
Si parla da anni, per esempio, di un prequel incentrato su Gus Fring. Molti lo vorrebbero e, al di là dello scetticismo che troverebbe in parte del pubblico, avrebbe le potenzialità per espandere credibilmente l’universo di Breaking Bad come già aveva fatto con straordinari esiti Better Call Saul. La stessa The Walking Dead potrebbe ancora avere qualcosa di eccezionale da raccontare, a patto che lo faccia con una prospettiva davvero rinnovata e non più stanca. Insomma, non sarà facile, ma la AMC ha ancora tutte le carte in regola per scrivere alcuni capitoli fortunati della sua importante saga. Avremo sempre bisogno, d’altronde, di case che sappiano dare valore alle grandi storie.
Antonio Casu