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River: un detective tra sangue, solitudine e verità

Ma forse il motivo principale per vedere River è che non esistono aggettivi per descrivere quello che Stellan Skarsgård è stato capace di rendere sullo schermo.

Il personaggio di John River fagocita, per classe, carisma, intensità non solo tutti quelli che vengono a contatto con lui nella Serie, ma anche e soprattutto lo spettatore, che si trova a immedesimarsi e quasi a tifare per un uomo che in un attimo passa dalla più rigorosa lucidità al prendere a pugni le sue “manifestazioni”, un ispettore la cui fama è talmente grande che non ha bisogno di usare la forza o alzare la voce per farsi obbedire, adorare, per essere il punto di riferimento ad esempio del suo nuovo partner, Ira King, uno che ha “la striscia di Gaza dentro di sè”, essendo metà israeliano e metà palestinese. Sulle sue spalle pesano tutti i possibili difetti che un prodotto come River rischia di avere, dai possibili buchi alle estreme lentezze del ritmo, all’eccessivo predominio di una storia sugli altri filoni.

Ebbene Stellan Skarsgård, (un attore dal curriculum infinito, tra i preferiti di registi del calibro di Von Trier, Fincher e Branagh) sfodera quella che è stata unanimemente definita come la sua migliore prova d’attore e ci regala un personaggio talmente vero e talmente straniante da inserirsi nel lato oscuro di ognuno di noi per far emergere le nostre “manifestazioni”. 

Un’empatia clamorosa e assolutamente unica: la bipolarità di River diventa quasi la nostra e tutto ciò che lui vede è reale anche per noi. La Serie inganna lo spettatore, giocando tra luci e ombre, pieni e vuoti, punti di vista completi o limitati, fino alla svolta finale, con (quasi) tutte le domande che trovano una loro naturale risposta.

Ma River è un personaggio indimenticabile perchè tutta la Serie riesce a renderlo tale: luci, fotografia, montaggio (con le manifestazioni di River che scompaiono e riappaiono nella stessa frazione di secondo), regia, inquadrature, tutto è a un livello estremo, per arrivare agli occhi del serial-addicted più appassionato degli aspetti tecnici, come agli occhi del semplice spettatore, che uscirà dalla visione della miniserie con il cuore inebriato di bellezza ma con un solo pensiero nella testa

I love to love

But my baby just loves to dance

He wants do dance, he loves to dance

E senza rendercene conto, guardando River avremo scavato dentro di noi e dentro i più grandi mali del nostro tempo: la marginalità, l’isolamento, la paura della verità, la solitudine, l’instabilità, l’incapacità di un sentimento sincero, la fragilità. Il tutto in una storia che pone un’enorme attenzione alle relazioni umane e utilizza una delicatezza davvero rara da trovare in altre serie. Per chiudere il cerchio abbiamo non solo delle citazioni eccellenti (il monologo del Romeo e Giulietta di Shakespeare) ma dei dialoghi rari e magistrali, secchi e taglienti come una Londra “senza un po’ di verde” e “posto perfetto per chi non sa dove andare”, in cui tutti sembrano potersi mescolare perchè tutti sembrano stranieri, soprattutto a se stessi.

L’uscita di River in Inghilterra è stata una vera e propria folgorazione, tanto da prendere il massimo dei voti da pubblico e critica; Netflix l’ha acquisita ma ha incredibilmente deciso di farla passare in sordina. Ebbene, lettori, non fatevi fregare. Aprite Netflix e cliccate su uno dei “Play” più meritati di tutta la vostra vita seriale.

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