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Ma vi ricordate Relic Hunter?

Molto prima che Alberto Angela diventasse l’emblema del fascino della conoscenza (ergendosi a modello di uomo perfetto sul quale far confluire tutti i desideri voluttuosi dei sapiosessuali italiani) c’era solo un essere umano capace di rendere sexy e coinvolgente la storia: Sydney Fox, l’eroina di Relic Hunter.

La trama era pressappoco la seguente: Sydney Fox (Tia Carrere) è archeologa e professoressa di storia in un fantomatico Trinity College statunitense e Nigel Bailey (Christien Anholt) è il suo assistente. Come Sherlock Holmes e Watson investigano i misteri più neri della psiche umana, i due protagonisti di Relic Hunter indagano quelli della Storia. Una versione seriale di Indiana Jones, praticamente.

Accademici e mercenari sono veri e propri “cacciatori di reliquie” e Sydney e Nigel sono dei campioni in questo. Già la sigla ci regala un assaggio di quanto vedremo: si susseguono, su una musica tipica della serialità di inizio anni 2000, immagini di interesse antropologico, seppur talvolta grottesche.

Per darvi un’idea un filo più precisa di cosa si trattasse o farvi tornare alla memoria le avventure dei due protagonisti vi cito i titoli di alcuni episodi. Ai profani servirà per capire di cosa stiamo parlando, per gli estimatori queste parole saranno le madeleine di proustiana memoria capaci di ricondurci nel mondo magico dei pomeriggi della nostra infanzia e della nostra preadolescenza:

Buddha’s Bowl (La ciotola di Buddha), The Headless Nun (La suora decapitata), Thank You Very Much (La chitarra di Elvis), Transformation (La formula dell’oro).

Già i titoli ci fanno capire come Relic Hunter sia il perfetto mix di storia e trash. Partiamo dal pilot. Quel che abbiamo visto accadere sotto i nostri occhi è pressappoco questo: Nigel, da poco laureato, inizia a lavorare al Trinity al fianco di Sydney, rinomata insegnante e “cacciatrice di reliquie”. Già nella prima puntata i due si trovano catapultati in un’avventura in cui fantastico e storia si fondono: devono ritrovare la “ciotola di Buddha”, un manufatto che ha il potere di far apparire ciò di cui la persona che lo possiede ha maggiormente bisogno. Chiaramente i nostri eroi non sono i soli a cercare l’antica e preziosa opera, anche un ricco magnate desidera metterci addosso le mani per salvare l’azienda di famiglia.

E questo non è nemmeno il “meglio” che possiamo trovare valutando l’intero arco narrativo di Relic Hunter.

Pensiamo a La suora decapitata. Sydney precipita da un aereo e, ospitata da un gruppo di suore, viene ingaggiata da queste ultime per scoprire dove sia finito il corpo di sorella Eveline, decapitata quattrocento anni prima.

Andata in onda dal 2001 al 2003 su Italia 1, Relic Hunter ha stuzzicato i sogni di un esercito di attuali trentenni che hanno visto naufragare i propri desideri di gloria e Carbonio 14  per un molto meno avvincente precariato. Eppure, seppur con la fugacità delle comete, questa serie ha lasciato alla nostra generazione, già figlia di Indiana Jones e Jurassic Park, due cose fondamentali: quel gusto estetico un po’ trash e una passione, per qualcuno manifesta per qualcuno recondita, per la storia.

Della scarsa attendibilità ce ne freghiamo. Noi volevamo solo immaginare di poter fare il lavoro più avventuroso e sexy di sempre.

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