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Non ti dimenticherò – La Recensione della nuova commovente serie di Netflix ambientata in Taiwan

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Sono una convinta sostenitrice dell’importanza dei prodotti di intrattenimento per il racconto della realtà. Non parlo solo dei documentari, che della narrazione del reale sono la più alta rappresentazione. Parlo anche del cinema e della serialità di finzione, che hanno la possibilità – e forse anche la responsabilità – di portare sulla scena il bello e il brutto della vita vera, anche attraverso storie inventate di sana pianta, perché sotto sotto nessuna lo è davvero. Ecco, oggi sono qui per parlarvi di una serie che questa possibilità la sfrutta al massimo delle sue potenzialità: Forget You Not, distribuita in Italia con il titolo Non ti dimenticherò.

Arrivata di recente su Netflix – gli otto episodi sono stati distribuiti tutti insieme venerdì 23 maggio -, questa serie prodotta e ambientata a Taiwan (qui le 5 migliori serie tv asiatiche), più precisamente nella sua capitale de facto Taipei, è uno spaccato del rapporto tra un padre e una figlia quando il tempo ribalta i ruoli, vale a dire quando la figlia adulta comincia a essere la responsabile del padre ormai anziano. Una fase inevitabile quando la vita fa il suo corso più naturale. Eppure non per questo una fase meno difficile da affrontare. Non ti dimenticherò la racconta contemporaneamente con ironia e disillusione, con gioia e tristezza. Con tutte quelle sensazioni che sono, per l’appunto, parte della vita vera. E che della vita vera sono il bello e il brutto, che non vivrebbero l’uno senza l’altro.

Non ti dimenticherò: la trama

Una scena di Non ti dimenticherò
Credits: Netflix

Prima di tutte le riflessioni del caso, entriamo un attimo nella storia di Non ti dimenticherò. Siamo a Taipei nell’epoca contemporanea. Le-le è una donna sulla quarantina divorziata dal marito, avvocato in uno studio legale di successo. Si barcamena nelle sue giornate tra due diversi lavori: fa la commessa in un minimarket di giorno e la comica in un cabaret di sera, cosa che non le permette di avere poi così tanto tempo libero. La sua vita scorre tra una cosa da fare e l’altra, con la sicurezza però di avere dei rapporti ben saldi alle spalle. Le sue due migliori amiche – il cossiddetto Club del ciclo perché, per l’appunto, sono così vicine da avere anche il ciclo sincronizzato – sono praticamente sorelle nate da famiglie diverse, e si vogliono quel tipo di bene che supera ogni cosa, anche le crisi e i non detti.

E poi c’è lui, Kuang-chi, il padre di Le-le, un uomo ormai anziano che ha cresciuto la figlia da solo dopo l’abbandono della madre. Un uomo buono, divertente, dall’ironia spiccata anche se sui generis, perché da qualche parte sua figlia l’appeal da stand-up comedian avrà pur dovuto ereditarlo. Un uomo che ha sempre vissuto e continua a vivere con le sue regole, in un mondo tutto suo. A fare capolino in questo mondo arriva però la demenza, dapprima in una forma lieve che ben si nasconde tra le classiche dimenticanze che la vecchiaia spesso porta con sé, poi sempre più grave e invalidante. Un po’ di confusione comincia a trasformarsi nell’inconsapevolezza della morte dei suoi amici, dell’età di sua figlia e del fatto che lei non vada più a scuola da un po’. Fino ad arrivare a dimenticare anche la propria stessa identità.

La demenza del padre cambia radicalmente la vita di Le-le e il suo ruolo di figlia.

Il rapporto padre-figlia che Non ti dimenticherò disegna per forza di cose subisce nel corso della serie parecchi cambiamenti. Nelle prime puntate Le-le, da sempre abituata a badare a se stessa, ha con suo padre una relazione che potremmo definire provocatoria. Gli vuole bene, questo è ovvio, ma non sempre in modo palese. La differenza nel loro modo di affrontare la vita – molto indaffarata lei, sempre perso nei suoi pensieri lui – si traduce in battute ironiche e risposte date con l’affetto di chi sa di voler davvero bene, ma pur sempre taglienti. E anche quanto al tempo, Le-le tende a dare a suo padre uno spazio abbastanza marginale nelle sue giornate, quello dei pranzi o delle cene al volo tra un impegno e l’altro. È una donna adulta, è normale che suo padre non sia la sua priorità.

I protagonisti di Non ti dimenticherò nei ricordi del passato
Credits: Netflix

La situazione ovviamente cambia nel momento in cui a Kuang-chi viene diagnosticata la demenza. Per forza di cose Le-le, figlia unica di un padre solo, deve assumersi la responsabilità di una persona che ama ma che è anche parecchio (e sempre più) difficile da gestire. Una situazione che diventa in poco tempo totalizzante. L’assenza di memoria è solo la punta dell’iceberg: confusione, convinzioni sbagliate e un sempre minor controllo del proprio corpo che lo porta a essere ricoverato in ospedale un giorno sì e l’altro pure lo rendono impossibilitato a stare in casa da solo. In altre parole, Kuang-chi torna bambino. Un bambino verso il quale il portato emotivo è tutt’altro che semplice, tutt’altro che nuovo come quello che si crea con un neonato. E alla responsabilità da parte di sua figlia si unisce una dimensione di dovere, tristezza e riconoscenza che Non ti dimenticherò racconta parecchio bene.

Una profondità dolceamara.

Chi ha detto che per raccontare sensazioni profonde e complesse bisogna mostrarle solo nella loro faccia più tragica? Nessuno, per fortuna, e questo la serialità contemporanea sembra averlo capito piuttosto bene. Diverse serie tv sono riuscite a usare la chiave dell’ironia per entrare in una narrazione a tratti – se non solamente – drammatica, con testimonianze anche di un certo livello. A questo proposito Non ti dimenticherò si pone in una linea già tracciata da (almeno) due illustri predecessori, La fantastica signora Maisel e Baby Reindeer (qui e qui le rispettive recensioni), utilizzando la stand-up comedy come chiave per palesare l’ironia e renderla parte integrante della narrazione. Un’ironia che così diventa non soltanto lo stile narrativo scelto per portare avanti il racconto, ma si fa quasi protagonista del racconto stesso.

Dico quasi per un motivo ben preciso, perché i veri protagonisti sono senza dubbio l’umanità e i rapporti che la caratterizzano. Quello padre-figlia, ovviamente, ma non solo. Focalizzata sulla relazione tra Le-le e suo padre, soprattutto la prima metà della serie lascia in realtà parecchio spazio sia alla presentazione e all’approfondimento di Le-le come persona, sia al delinearsi delle sue relazioni. Si parla della mancanza di una madre assente, dell’amore e dell’indecisione nei confronti di un marito che marito più non è, della sorellanza con due amiche che sono una agli antipodi dell’altra, ma che riescono a completarsi a vicenda. E si parla chiaramente dell’amore più primordiale che ci sia, e di tutte le sensazioni che gli ruotano attorno.

Cosa significa essere figli quando i propri genitori tornano a essere bambini?

Credits: Netflix

È attorno a questa domanda che Non ti dimenticherò struttura buona parte del suo racconto. Una domanda che si fa avanti in tutta la sua profondità puntata dopo puntata, e alla quale dare una risposta è tutt’altro che semplice. Non tanto perché la risposta in sé sia di difficile elaborazione, quanto piuttosto per il dolore che provoca il fatto stesso di porsela, questa domanda. Passiamo tanti anni, praticamente una vita intera, a credere di avere tutto il tempo del mondo, guardando al futuro con impazienza. I genitori sono sempre lì, braccia fondamentali che perdono di quotidianità ma restano un saldo punto di riferimento pronti a reggerci in caso di emergenza. Mentre cresciamo, impazienti di vivere il futuro, ci allontaniamo da loro. Poi a un certo punto crescere comincia a significare invecchiare, e i ruoli cominciano a invertirsi. Sono nostre le braccia che loro devono trovare quando stanno per cadere.

È qui che si fanno i conti con la realtà, con tutte le cose non dette, i gesti non fatti, il tempo perso. È qui che pensiamo a tutte le volte in cui ci siamo ritrovati a dare le persone che ci hanno cresciute per scontate. C’è sempre tempo per dire ai nostri genitori quanto li amiamo, fino a che quel tempo all’improvviso non c’è più. O comunque fino a quando ci sembra davvero troppo poco. E noi non possiamo che fare i conti con il fatto che l’idea di avere tutto il tempo del mondo, l’idea di poter essere figli per sempre, non era altro che una grossa illusione. Un’illusione di cui abbiamo più che mai bisogno proprio quando ci rendiamo conto di quanto sia una bugia.

Non ti dimenticherò queste domande le fa porre a Le-le e per forza di cose anche a noi.

Fa male, io ve lo dico. E per quanto l’ironia riesca a trovare il suo spazio nel racconto, non vi mentirò: le probabilità di piangere sono più che concrete. O almeno io l’ho fatto, più e più volte. Eppure quella che Non ti dimenticherò fa è una riflessione necessaria. Perché tutti siamo – nel bene e nel male, di chi ci ha messo al mondo o di chi abbiamo scelto come guida – figli. Lo è per chi ha la fortuna di avere davvero ancora tempo, di poter costruire ricordi nuovi. Ma lo è anche per chi questa fortuna non la ha più, perché vedere sullo schermo che anche la sofferenza è condivisa può aiutare a sentirsi meno soli. E se ho ragione quando dico che le serie possono e devono raccontare la vita, non c’è niente di più vitale del rapporto con chi la vita ce l’ha data.