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Modì – Tre giorni sulle Ali della Follia – Un film che comincia a 20 minuti dalla fine

Riccardo Scamarcio in una scena di Modì nel film ispirato alla vita di Amedeo Modigliani
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«Ho ben conosciuto Modigliani; l’ho conosciuto affamato, l’ho visto ubriaco e l’ho visto abbastanza ricco. Mai l’ho visto mancare di grandezza… Mai ho sorpreso in lui il minimo sentimento basso… Ora che tutto è imbellettato e azzimato, ora che si crede di potere sorpassare la vita, dove tutto è super, da supertassa a surrealismo, alcune parole perdono il loro vero senso. lo non so più usare le parole “arte”, “artista”. Ma supponiamo per un istante che questa parola riprenda il suo colore, il suo senso, il suo sesso… Allora Modigliani era un grande artista.» Maurice de Vlaminck raccontava così Modì, un pittore e scultore italiano che ha reso presenza l’assenza dei suoi occhi.

Dalla vita sgretolata, sregolata, inquieta e irrequieta, Amedeo Modigliani è rimasto lì dove lo abbiamo lasciato, ricordandoci – con le sue opere – che cosa significhi conoscere davvero l’essere umano che abbiamo di fronte. Quanto condividerci la vita possa non bastare per conoscerlo davvero. Lo avevamo già visto sul grande schermo grazie alla pellicola Modigliani di Mick Davis, un’opera in cui la grandezza di Modigliani viene messa al primo posto insieme al suo tormento di essere, ancora, spiacevolmente sopravvissuto alla tempesta della vita.

Una tempesta che si placa solo di fronte a un pennello. Perché con Amedeo Modigliani niente è scontato. Nulla è ovvio o dovuto. E’ un atto di restituzione. Un do ut des con la vita. La sua esistenza ritorna sul grande schermo grazie a Johnny Depp, regista della pellicola Modì – Tre giorni sulle Ali della Follia con Riccardo Scamarcio e Al Pacino.

Modì – Tre Giorni sulle ali della Follia è un film che sta nel mezzo, non sbilanciandosi mai. Tutto resta tiepido, non restituendo mai davvero la grandezza di Amedeo Modigliani. Fino a quando non arrivano gli ultimi venti minuti, che però non bastano

Luisa Ranieri, Riccardo Scamarcio, Bruno Gouery e Benjamin Lavernhe in una scena di Modì - Tre giorni sulle Ali della Follia
Credits: IN.2 Film

Venti minuti su 114 non possono bastare per promuovere Modì, l’opera in cui Johnny Depp ritorna nel ruolo di regista dopo The Brave, pellicola del 1997. Quella grandezza restituita negli ultimi venti minuti avrebbe dovuto palesarsi prima, non rimanendo silente per più di 80. Fino a quel momento l’apatia, il ritratto stereotipato di un artista che è troppo semplice definire con il solo aiuto di alcolici, case piene di quadri o notti passate in un bar in cui pagare il conto non è possibile. Fino a quei venti minuti, Modì – Tre giorni sulle Ali della Follia resta un film addormentato su se stesso, con scelte registiche decontestualizzate e spesso forzate, come l’omaggio al cinema muto di Chaplin che però appare qui completamente slegato dalla natura del film. Una forzatura, questa, che interrompe la narrazione della pellicola spezzando un’atmosfera che faceva fatica già da sola.

La figura di Modì viene qui raccontata in modo estremamente superficiale, come se altro non fosse che il risultato di una pagina di riassunti. Il che è un peccato, perché Riccardo Scamarcio nel ruolo di Amedeo Modigliani, al netto di qualche sbavatura evidente, funziona. Funziona fisicamente, con un volto macchiato da un’esistenza passata tra l’inferno metaforico di Dante e la dannazione di Baudelaire, e funziona anche quando tutto finalmente prende la piega giusta grazie a un dialogo con un critico (interpretato da Al Pacino) che riempie l’intero film.

E’ da quell’esatto istante che Modì riesce finalmente a funzionare. Da quel dialogo con un critico d’arte che vede soldi e profitto lì dove Modigliani vede solo arte. Da quel momento, Modì – Tre Giorni sulle Ali della Follia riesce a restituire (almeno vagamente) il significato della bellezza secondo Amedeo Modigliani. In quell’istante, l’artista e il critico giocano la partita della vita. Si lanciano in uno scontro tra cosa sia concreto e cosa non lo sia. Che cosa significhi essere un artista, che cosa significhi essere solo un pittore. Attraverso questo dialogo, Johnny Depp riesce finalmente a trovare la chiave giusta con cui affrontare la figura di Amedeo Modigliani, mettendo al centro della scena la sua dannazione, certo, ma anche il modo con cui – anche nel 2024 – Modigliani riesca a essere il riflesso di quel che ci scorre attorno.

Antonia Desplat in una scena di Modì - Tre giorni sulle ali della follia
Credits: IN.2 Film

Riconosciamo davvero Amedeo Modigliani in Modì soltanto da questo momento in poi, dopo che Maurice Gangnat tocca il suo punto debole riducendo la sua arte alla concretezza di una realtà che per il pittore è sempre stata deludente. Caduto in quel vortice in cui nulla è davvero all’altezza di quel dipinge, Modigliani incendia tutto, butta via tutto, vedendolo per la prima volta non necessario, il risultato di qualcosa che non può esimersi dall’avidità di un mondo che davanti alla bellezza chiede solo quanto valga, e non cosa davvero sia. Un paradosso in cui però purtroppo cade anche il regista, non soffermandosi mai davvero sull’arte del pittore.

Al film su Amedeo Modigliani manca la sua arte. La narrazione di cosa si celi dietro a una scelta. Per quale ragione per tutta la durata della sua vita abbia deciso di non ritrarre gli occhi dei suoi soggetti, bloccandoli in un tela senza alcun accenno di anima. Modì era un artista tremendamente in guerra con la mistificazione della realtà. Pur di non disegnare una bugia, era pronto a omettere. E per questo, arrivò a dipingere la maggior parte delle sue opere senza gli occhi. Perché l’anima delle persone non te la puoi inventare neanche se sei Amedeo Modigliani. Cedere al compromesso dell’interpretazione dell’altro non era una cosa da Modì. E così di lui, tra le tante cose, è rimasto quell’ignoto sul prossimo. Il suo rispetto nel non inventarsi l’anima degli altri, lasciandola ai suoi legittimi proprietari. I suoi quadri, i suoi dipinti, avrebbero soltanto raccontato la realtà desolante che gli stava intorno.

Quel senso di niente da cui non poteva esimersi, e che gli costò la solitudine per una vita intera. Tutto questo in Modì non c’è. Esiste solo un accenno, arrivato per giunta alla fine del film, quando oramai era troppo tardi. Modì poteva essere una grande occasione per il cinema, per Johnny Depp, ma è risultato un film incompleto. Un film a cui manca qualcosa per esprimersi davvero, rimanendo sempre in una situazione di stallo. Non è un brutto film. Non è un bel film. Resta nel mezzo, con un’esplosione che arriva soltanto qualche minuto prima dell’arrivo dei titoli di coda. E quelli, si sa, portano via tutto. Ma se un film riesce a dire quel che vorrebbe (come nel caso di questi biopic), alla fine qualcosa resiste sempre anche dopo il loro arrivo. Qui niente è sopravvissuto. Neanche l’arte del grande ed eterno Amedeo Modigliani.

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