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Mindhunter 1×07/1×08 – La bellezza e la fragilità di una grande opera

Siamo ad un passo dalla fine, non troppo lungo ma neanche troppo corto. Stiamo ancora cercando di capire cosa si nasconde dietro l’evoluzione di menti criminali e quello che finora sappiamo ancora non basta. Non basta per essere preso in considerazione dai piani alti dell’FBI, ma basta a Mindhunter per decollare pian piano.
Tench e Ford hanno ormai dato inizio a una conquista fondamentale che cambierà la storia e che non può essere più arrestata.

Finora abbiamo assistito al graduale cambiamento degli eventi e delle persone coinvolte nella ricerca, ma il personaggio forse più interessante e dai risvolti più inaspettati è proprio Holden Ford. Nella settima puntata raggiunge l’apice della sua svolta, deviando completamente dal questionario concordato con l’FBI per l’intervista a Jerry Brudos. Sembra non avere più un percorso da seguire quando per entrare nelle grazie dell’assassino sequenziale gli mostra delle scarpe da donna e varia il suo linguaggio adeguandolo a quello dell’omicida. Non ci sono più freni, e Ford non se ne preoccupa minimamente, neanche quando è costretto a confrontarsi con le politiche del dipartimento.

Holden Ford continua quindi a evolvere, ma in quale direzione? Secondo quale codice morale?

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La sua indifferenza è criptica, la timidezza e riservatezza del suo punto di partenza sono state spazzate via, cancellate, quasi ingiustamente. A volte fanno sentire la loro mancanza, altre volte fanno semplicemente scoprire il genio della sua personalità.
Avere sotto controllo degli assassini, poter sentire la loro presenza, vicinissima, cambia il suo modo di gestire le situazioni, di mentire e di ascoltare i suoi istinti come prima non era mai stato capace di fare. Da allievo di Tench ora è la figura di comando che prende le decisioni e che fa il primo passo nelle interviste.

Siamo di fronte a qualcosa che non può essere misurata né descritta scientificamente, la mente umana che subisce, che resiste e che tortura. Non esiste una scala di crudeltà e il questionario che la professoressa Wendy ha deciso di costruire non funziona sempre, o forse non basta, è troppo generale. Jerry Brudos non fa parte del generale, ha una storia, un contesto in cui deve necessariamente essere inserito, come tutti gli assassini sequenziali. Ford ne è consapevole, usa l’ingegno, e lo fa forse a un caro prezzo.

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L’ufficio nei bassifondi in cui il team lavora è un po’ la metafora di quello che la ricerca sta andando a indagare. Il tipo di isolamento che porta a certi comportamenti considerati devianti. È la metafora fisica del degrado che Tench, Ford e Wendy affrontano, direttamente e indirettamente. Lo ritroviamo nelle interviste agli assassini ma soprattutto nelle loro vite. Nell’esitazione della professoressa all’uscita della sua stanza d’albergo timorosa di poter incontrare qualcuno di sera, forse in uno dei suoi momenti più vulnerabili. Una sorta di ricerca della solitudine che però comincia a cadere nel momento in cui incontra la speranza di conoscere un gatto, una creatura che non ha giudizio né accuse. Simile allo sfogo di Tench con sua moglie Nancy. Tutti riescono a sentire la pesantezza del vivere il male, di incontrarlo o anche solo di ascoltarlo e trascriverlo, eccetto Ford.

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Probabilmente è proprio tutta questa oscurità che ha cancellato la sua riservatezza iniziale e forse comincerà ad accorgersi del suo totale cambiamento solo quando il male prevarrà nell’equilibrio delle forze della personalità.

Eppure questa sua svolta sembra non avere alcun senso quando Holden interviene in una classe di bambini per fare prevenzione rispetto appunto ai crimini più efferati. Sembra quasi essere tornato alle origini, ma è evidentemente solo una temporanea architettura superficiale. La sua sfacciataggine lo porta a continuare le interviste con Brudos, quando invece Tench abbandona, e lo porta anche a utilizzare il suo progetto come tecnica reale da utilizzare nel quotidiano.

Decide di indagare sul preside della scuola in cui fa prevenzione, ed è qui che Mindhunter non è più una descrizione parallela tra una ricerca utile solo per un futuro ideale e la realtà, ma diventa un’esplosione di sfumature cupe, che rompe gli schemi e colora tutto, donando nuova vita. Il progetto non è più solo una teoria, è una soluzione.

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L’innesco dell’esplosione in questo episodio di Mindhunter è Roger Wade. Il preside ha un comportamento non troppo consono nei confronti dei bambini che punisce attraverso il solletico ai piedi.

Parallelamente, Jerry Brudos, proprio come i casi precedenti, si fa spazio nelle nostre menti e con la sua maestria riesce quasi a insinuare in noi il dubbio che la polizia stia veramente cercando di incastrarlo. Parla dell’assassino in terza persona e, come anche Ed Kemper, abbatte i tradizionali pregiudizi sui serial killer. Jerry e Roger Wade potrebbero seguire la stessa linea guida e Ford non ha esitazioni, se non negli ultimi istanti di puntata, quando si rende conto che quello che ha creato comincia a essere concreto e attuabile, non sorride per la vittoria ma quasi ne ha paura.

Mindhunter a un passo dalla fine si rivela, in tutta la sua bellezza e fragilità. Cominciamo a vederne la struttura interna e sentiamo pulsare ritmicamente le vene di questo organismo che pian piano si manifesta davanti a noi.

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