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Il principe cerca figlio, la recensione del sequel di cui “sentivamo proprio il bisogno”

Il nuovo film di Eddie Murphy, Il principe cerca figlio, è finalmente uscito nelle comode sale di casa vostra. Se avete l’abbonamento ad Amazon Prime potete vederlo qui.

Sono passati trent’anni dal matrimonio che concluse il primo film della saga. “Coming to America”, nella versione originale, raccontava di un principe africano che viaggiava dall’immaginario regno di Zamunda fino a New York per trovare la sua sposa. Da qui il titolo tradotto “Il Principe cerca moglie”. Campione di incassi nel lontano 1988, ancora oggi il primo film rimane un classico della commedia americana ed evoca nostalgicamente l’infanzia e l’adolescenza di tutti quelli nati negli anni ’80 e ’90.

Ma non solo rose e fiori.

Il film rappresenta un continente africano, Zamunda, come un palcoscenico teatrale astorico di persone sempliciotte e per lo più arretrate, all’interno di un regno di ostentazione e ricchezza. Errore che viene replicato nel secondo film della saga, senza farsi mancare l’aggiunta di una visione del mondo americano, e afroamericano in particolare, troppo simile e fossilizzato a quegli anni ’80 che hanno reso celebre Il principe cerca moglie.

Scritto da Kenya Barris e diretto da Craig Brewer, questo sequel ribalta la trama del primo film, con il principe Akeem e il fido Semmi che tornano brevemente nel Queens per recuperare il figlio segreto del futuro Re, per poi completare la pellicola quasi in toto a Zamunda.

I difetti dell’attesissimo Il principe cerca figlio sono troppi per essere elencati. 

Ma tutti iniziano e finiscono con la sfortunata ma prevedibile verità che il film semplicemente non aveva bisogno di essere girato. Inondato da stanchi e troppi stereotipi su entrambe le sponde del vasto Atlantico, è difficile cogliere gli obiettivi della trama e tentare di capire attraverso il suo dubbio umorismo quale sia il target di questo sequel. Vi sono abbastanza battute e personaggi che ritornano dal primo film, tra cui la magica band di Randy Watson Sexual Chocolate, il barbiere più amato del Queens, e ovviamente flashback che richiamano alla trama originale. Insomma, i nostalgici degli anni ’80 sono stati adeguatamente soddisfatti e forse sono proprio questi individui ad essere i giusti spettatori per questo film. Gli sceneggiatori erano così sicuri della possibilità di non essere apprezzati da tutti che all’interno della pellicola hanno inserito una battuta autoironica sui sequel sfortunati di grandi successi. Mirembe, la parrucchiera di corte, dice al futuro principe Lavelle di essere appassionata di film americani, ma di non apprezzare i remake che nessuno ha chiesto. “Perché rovinare una storia già stupenda?”, ce lo chiediamo anche noi, non sei sola. Momento di raro divertimento all’interno del film.

Il principe cerca figlio

Se fosse divertente, affascinante e avesse una trama stimolante, potremmo sorvolare su molte problematiche. Tuttavia, da come vi abbiamo già detto, il prodotto che segna il ritorno di Eddie Murphy non ha nessuna di queste qualità. Il film arranca per i primi due terzi della sua durata e poi sviluppa tutta la trama con apparente fretta, confermando ogni cliché sulle commedie: il punto di maggior tranquillità, la caduta e la risalita con happy ending finale.

Ciò che spicca, però, è il modo in cui il film impiega gli stereotipi sia degli africani che dei neri americani nelle loro rappresentazioni.

Da un lato gli Zamundani sono ancora una volta rappresentati come ingenui e ignoranti. L’enfasi sulla loro arretratezza potrebbe persino essere più prevalente nel sequel che nell’originale. A questo bisogna aggiungere un paesaggio culturale che si è semplicemente evoluto. Consentire una rappresentazione così arcaica senza una narrazione divertente nega la possibilità di leggerezza per il pubblico vecchio e nuovo, entrambi plasmati da una comprensione più sfumata della cultura e della rappresentazione di essa. D’altra parte, il ritratto di Lavelle e della sua famiglia, in particolare sua madre, Mary (Leslie Jones), e lo zio, Reem (Tracy Morgan), si impegna anche in una visione arretrata e stereotipata dei neri americani della cosiddetta working class. Uno stereotipo continuo che nulla ha a che vedere con l’evoluzione che la rappresentazione cinematografica ha avuto in questi ultimi trent’anni.

Sono già molte critiche, ma non avete ancora letto la peggiore.

Tra le trasgressioni del film c’è anche una rivelazione scioccante. Dal morente Re Joffy veniamo a sapere della presenza di un figlio “bastardo” di Akeem negli Stati Uniti. Semmi (Arsenio Hall), spinto dal principe a dare spiegazioni sul come fosse stato possibile, rivela che Lavelle (il figlio) sarebbe la conseguenza di un rapporto non consensuale fra Akeem e Mary. Una violenza in piena regola con il principe Akeem drogato e semi cosciente, tanto da ricordarsi la scena come un attacco di un cinghiale, e Mary che sfrutta questa situazione per eludere la volontà del principe. Su questa scena si fonda tutta una linea comica che nel 1988 poteva essere ancora ancora accettata dai più, ma che nel 2021 risulta inspiegabile ed assolutamente inaccettabile.

In un settore che è stato sicuramente rinnovato dal #MeToo meno di tre anni fa, adottare l’umorismo accanto a qualsiasi rappresentazione di violenza sessuale è un rischio enorme. Non è che non possa essere fatto, ma deve servire a un’ambizione più grande e non operare come un semplice punto della trama ed essere trattato come poco più di un evento trascurato.

Il principe cerca figlio

Il principe cerca figlio non riesce sia ad aggiornare la sua sensibilità (nonostante un mezzo tentativo, lungo la strada, con alcune idee pseudo femministe) né a riprodurre le sensazioni fantastiche e divertenti che hanno reso l’originale davvero eccezionale. Nonostante la loro continua presenza, i sequel rimangono una vendita assai difficile per un pubblico che spera di provare un piacere uguale o simile a quello che ha provato la prima volta. Anche se questo sequel fosse stato interessante, sarebbe stato difficile avere successo con tutto il suo pubblico, vecchio e nuovo. Il fatto che sia così spettacolarmente inadeguato, incapace di soddisfare chi lo guarda e di dimostrare la giusta sensibilità per una commedia del 2021, è una testimonianza dell’unica cosa in cui gli sceneggiatori non hanno sbagliato: “Perché rovinare una storia già stupenda?”.

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