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Il finale di Picnic at Hanging Rock ci mostra il vero volto di Hester Appleyard

Battute finali per Picnic at Hanging Rock, che arriva alla conclusione dopo sei puntate una più bella dell’altra.

Hester Appleyard, poco per volta, ha smesso di essere l’irreprensibile donna dai modi e dal portamento quasi nobile. È una popolana, attaccata alla bottiglia ed è in fuga dal marito. Inoltre ha un passato ingombrante: nasconde alcol dentro ai cassetti della propria scrivania e, su Sara, mente.

Come se tutto questo non bastasse, è ossessionata da incubi e allucinazioni che le rendono insostenibili anche le conversazioni più basilari.

La sparizione delle tre studentesse, di cui solo una è stata ritrovata, e dell’insegnante fa sì che il collegio si guadagni una nomea negativa, una maledizione che lo sta velocemente mandando in rovina.

Il collegio Appleyard perde i pezzi, uno dopo l’altro: lasciano le collegiali, lasciano le insegnanti e persino la manodopera.
Ha lasciato anche Sara che, col cuore spezzato, sembra sparita nel nulla. È una bambina fragile, debolissima, che ha subito delle ingiuste e crudeli punizioni.

Non c’è pace tra le mura del collegio piene di segreti, misteri, menzogne e reticenze.

C’è Sara, che sembra svanita nel nulla.
Ci sono le tre ragazze, unite da un’amicizia fortissima e al tempo stesso fragilissima.
C’è la relazione saffica tra Marion e l’insegnante di matematica, che deve essere tenuta all’oscuro perché proibita.

E perfino la direttrice non è chi dice di essere.

In un continuo flashback, veniamo a sapere qualcosa di più sul suo passato: Hester era un’orfana che non aveva conosciuto altro che le privazioni di un orfanotrofio religioso, circondata da uomini che si approfittano di lei.

Una bambina diventata grande troppo in fretta, non pronta, e ora una donna in delirio, spaventata da tutto, allucinata da costanti visioni e ricordi che si mescolano alla realtà.

Hester è una donna a pezzi, il cui mondo sta andando in frantumi.

Basta questo suo passato terribile per giustificare la sua crudeltà? Certo che no, perché dalla prima puntata di Picnic at Hanging Rock Hester si è rivelata un cerbero dal volto bellissimo, una affascinante mela marcia e una persona fondamentalmente crudele.

Caduta in vortice delirante, vaga di stanza in stanza, afflitta da ricordi e paure, come se il fallimento del suo collegio fosse l’ultimo dei suoi problemi. Forse è esattamente così: perché i fantasmi che la tormentano sono molto più forti della sua rovina professionale.

Non è però l’unico personaggio tormentato dai dubbi, perché in molti indagano sul destino delle tre ragazze scomparse.

Sono morte?
Si sono allontanate per loro decisione?
Il fratello di Dora ha fatto loro del male?

Oppure, semplicemente, è Hanging Rock che è maledetto?

Nel finale di stagione, un paio di misteri vengono però svelati.

Scopriamo che Sara non è svanita nel nulla. Non è stata portata via dal suo tutore, ma si è suicidata gettandosi da una delle finestre del collegio. E la Appleyard lo sapeva bene, dato che si era premurata di nascondere la sua valigia sotto il letto.

E la Appleyard non si chiama neppure Appleyard, dato che ha preso in prestito il cognome da una marca di saponi (e Miranda aveva scoperto il suo segreto).

Infine, scopriamo che anche Arthur, il terribile marito di Hester, è morto in seguito alla ferita d’arma da fuoco riportata in Inghilterra.

Tutto il finale di Picnic at Hanging Rock è dedicato a Hester – che fugge dal proprio passato e da un presente che è diventato troppo scomodo – e alle ragazze scomparse, di cui vengono ripercorsi gli ultimi minuti prima di svanire nel nulla.

Vanno tutte incontro al loro destino, che la roccia ha cambiato in un pomeriggio come tanti in modo irreparabile.

La forza di Picnic at Hanging Rock sta principalmente nella dicotomia tra giovinezza spensierata e costrizioni religiose e morali, tra i vestiti sgargianti delle ragazze e quelli rigorosi della Appleyard, negli scenari che diventano da rassicuranti e colorati a inquietanti e minacciosi.

Chi conosce il libro, o ha visto il film di Peter Weir del 1975, sa bene che il grande mistero non viene svelato e che la stessa autrice, l’australiana Joan Lindsay, ha giocato con la credibilità dei fatti raccontati quasi “spacciandoli” per cronaca vera, aumentando l’alone di mistero che aleggia su questa vicenda.

Ma non è importante. In fondo non è questo il succo della storia.

Rimane l’ultima inquadratura sulla grande roccia sferzata dal vento, custode di segreti che non verranno mai svelati.

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