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Il tempo in Narcos: la lunga caduta di Pablo Escobar

La seconda stagione di Narcos si è conclusa e non ha affatto deluso le aspettative: Pablo Escobar (Wagner Moura) ha sparato tutte le sue cartucce e, alla fine, è caduto insieme al suo impero, sgretolandosi giorno per giorno. Una caratteristica su cui è opportuno soffermarsi in questa stagione (che ha ottimamente ripercorso la brillantezza compositiva delle prime dieci puntate) è il tempo impiegato per raccontare un determinato arco cronologico che va dalla fuga da La Cathedral alla morte il 2 dicembre 1993. I mezzi di cui si serve la serie per impiegare, approfondire, analizzare questo tempo sono intriganti e, probabilmente, la chiave del successo.

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Il primo aspetto da considerare è sicuramente il modo attraverso cui viene presentato il rapporto con la famiglia nel momento in cui Pablo riesce a riunirsi con essa. Sulla scia della prima stagione, quando è con la sua famiglia, e per quello che farebbe per la sua famiglia, i momenti rappresentati sono gli unici in cui Escobar è mostrato come umano. Come una cagna con i suoi cuccioli, ringhia se la moglie, la madre e i figli sono minacciati o se sono violati i loro diritti; li coccola e cerca di rassicurarli nei momenti più duri. Da questo punto di vista, la serie ha trovato un bellissimo punto di equilibrio per descrivere Escobar: ovviamente è stato un criminale mostruoso, senza cuore, ma amava la sua famiglia in maniera disinteressata. E Narcos descrive tutte le fasi del costante pericolo che la sua famiglia ha corso (prima in sua compagnia, poi con il viaggio fallimentare in Germania, e infine da sola in albergo), facendo percepire perfettamente lo strapotere, le paure, le incertezze e le sicurezze di Escobar: anche solo attraverso gli sguardi, inchiodati dai primi piani sui volti del Patron, si riusciva a percepire se fosse passato poco o molto tempo dall’ultimo evento pericoloso (nella maggior parte dei casi, la perdita di uomini o la fuga da una casa all’altra). La forza di Tata non era mai abbastanza grande da piegare l’orgoglio del marito, che anche nell’ultima conversazione le annuncia di non voler arrendersi, mai.

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Strettamente legato allo scorrere del tempo attraverso il rapporto tra Pablo e la famiglia, troviamo le difficoltà che Escobar affronta per sopravvivere e cercare di vincere una guerra che non poteva vincere, non più almeno. L’unione della DEA, della polizia colombiana, dei Castanos e dei cartelli di Calì ha decisamente messo alle strette Pablo che, come sottolinea spesso la voce narrante dell’agente Murphy, quando messo in un angolo diventa più pericoloso. Nello specifico, Narcos si preoccupa di far capire quanto tempo passa tra una ‘battaglia’ e l’altra, attraverso l’indicazione di festività, ma soprattutto per mezzo dell’ansia che gradualmente pervade Pablo: più passa il tempo più le sue vittorie si rivelano sterili ma, più precisamente, controproducenti (si pensi all’ultimo attentato che gli costò la fiducia della parte di popolo colombiano che ancora credeva in lui). In un arco di tempo relativamente breve gli succedono e fa succedere tante cose, che gradualmente lo avvicinano alla fine: lo spettatore è cullato (cronologicamente) dai ritmi della guerra, venendogli trasmesso un senso di ordine che si contrappone al caos degli eventi descritti.

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Ultimo ma non per importanza, è sicuramente l’aspetto (molto dettagliato) dedicato alla parte opposta ad Escobar, quello della polizia e della difficoltà incontrata per catturarlo.

Tutti i tentativi miseramente falliti di agguato (a volte portati all’esasperazione, come nell’ultima puntata l’errore nell’individuare la fonte da cui proveniva l’intercettazione) buttano nello sconforto la polizia e il presidente Gaviria, e in parte lo spettatore che si trova molto spesso vicino a credere che la morte di Escobar sia vicina, senza che questo avvenga. Murphy e Pena sono la base di una piramide di sforzi vani che si confronta giornalmente, settimanalmente, mensilmente con il potere non solo economico, ma anche ‘nominale’ che Pablo possedeva (si pensi alle coperture che spesso riceveva dai colombiani stessi). Lo scorrere inesorabile del tempo è indicato proprio da come cambia il modo di affrontare le indagini da parte degli agenti: fiduciosi, rammaricati, nuovamente fiduciosi, quasi definitivamente abbattuti, infine euforici. Si parla di persone che hanno fatto della caccia ad Escobar il lavoro di una vita.

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Narcos è decisamente una serie da vedere tutta d’un fiato, e questo non risulterà una forzatura: le puntate urlano la loro voglia di essere viste e il tempo, proprio come nella serie, vedrete che volerà.