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Mindhunter 1×03 e 1×04 – La compassione che non può esistere

Holden Ford e Bill Tench continuano, nella terza e nella quarta puntata di Mindhunter, la loro inascoltata (per il momento) indagine sui profili comportamentali di una specifica categoria di soggetti, quella che Ford chiama “assassini sequenziali”, espressione che risulta essere l’antenato dell’ormai più noto “assassino seriale“. La sceneggiatura è sempre affidata al creatore Joe Penhall ma in queste due puntate la trasposizione televisiva è segnata dalla collaborazione rispettivamente di Ruby Rae Spiegel per la 1×03 e di Dominic Orlando per la 1×04; la regia, mentre i primi due episodi sono stati diretti da David Fincher, è ad opera di Asif Kapadia.

Avevamo lasciato i due agenti FBI soddisfatti per aver ottenuto una piccola apertura da parte del loro capo Shepard, dopo che persino il riluttante Bill aveva accettato di parlare con Ed Kemper, rimanendo colpito da quanto si potesse effettivamente apprendere dalla mente di un folle criminale come l’assassino delle studentesse. La terza puntata vede dunque l’inizio della collaborazione di Holden e Bill con la dottoressa Wendy Carr, fattore che porta i due agenti a risolvere brillantemente il caso del picchiatore di donne anziane, nonchè sgozzatore dei loro cani.

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Nell’episodio successivo, invece, gli agenti proseguono il loro tour di interviste negli ospedali e nelle carceri in cui sono detenuti criminali pericolosi, imbattendosi in soggetti che hanno in comune l’autocommiserazione. Inoltre, vengono coinvolti nel caso della ragazza Beverly, uccisa e poi mutilata, il cui cadavere viene ritrovato in una discarica. La 1×04 si conclude con la grandiosa notizia che l’operazione portata avanti da Holden, Bill e Wendy verrà finanziata con ingenti somme dalla ricerca e controllata persino dal Congresso.

Elemento comune in queste puntate iniziali di Mindhunter è quello che sembra un filo conduttore per ora rimasto inspiegato ma destinato sicuramente a diventare parte principale della trama; un uomo, che lavora nella ADT Security Services, viene seguito dagli occhi dello spettatore nella fase precedente alla sigla introduttiva, prima al lavoro e poi nell’appartamento di una donna in cui ha installato un allarme, con fare molto sospetto e inquietante. Probabile, dunque, che siamo di fronte a un serial killer che presto arriverà all’attenzione dei nostri protagonisti.

Anche se potrebbe sembrare inconsueto per una serie thriller come questa, un tema che si candida ad essere portante e che emerge con prepotenza in queste due puntate è quello del ruolo delle donne e del peso specifico che hanno nei rapporti con i protagonisti. In particolare, mi riferisco alla moglie di Bill, Nancy,  finora vista solo da lontano ma paradossalmente presente quanto se non più delle altre; alla ragazza di Holden, Debbie; e infine alla professoressa Wendy.

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Queste tre donne si integrano perfettamente nella storia, recitando un ruolo che spinge i loro uomini a provare un timore reverenziale: Debbie perchè è una hippie, molto aperta come mentalità e dunque diversa da Holden; Nancy perchè, come emerge dal clamoroso episodio dell’incidente stradale, Bill ha la premura di non creare condizioni che possano far scoppiare un matrimonio già in grande bilico; e Wendy perchè è colta, è sicura di sè ed è per Holden motivo di grande attrazione. Ci chiediamo, infatti, quale sarà il ruolo recitato dalla professoressa soprattutto per il giovane agente che, in uno scambio, dimostra la sua soggezione pur intenzionato a negarla:

“Non sono intimidito dal fatto che sono circondato da donne più intelligenti di me”

“Gli uomini lo dicono spesso, ma raramente lo credono davvero”.

La tematica che invece fa da padrona nella 1×03 e 1×04 di Mindhunter è un altro elemento inaspettato ma ben orchestrato grazie ad alcuni espedienti tecnici del regista Kapadia: la compassione nei confronti degli assassini intervistati. In particolare, ci concentriamo sui due principali protagonisti di questi interrogatori: Ed Kemper e Monte Rissell. I racconti raccapriccianti dei due killer sono gestiti in un modo insolito; infatti, elemento comune è una posizione vittimistica con cui vengono raccontati gli eventi atroci dagli autori, i quali si presentano come conseguenze naturali di ciò che hanno subito, in particolare dalle figure materne e dalle delusioni delle figure paterne.

Emblematica e notevole è la regia della parte finale del racconto di Rissell: mentre i due agenti ascoltano i dettagli del suo passato con i genitori, parte una musica drammatica con la telecamera che stringe lentamente sul killer, tecnica che generalmente si usa per enfatizzare un momento e creare empatia verso chi sta parlando. Cosa che generalmente funzionerebbe, ma Holden e Bill sono la chiave di lettura della scena: gli agenti, infatti, si scambiano sguardi scettici, che ricordano allo spettatore che colui che parla è un assassino violento, e non esiste niente al mondo che potrà farci guadagnare la compassione nei suoi confronti.

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Se da un lato quindi Kapadia si è esaltato (coaudiuvato dalle eccezionali musiche di Jason Hill) nell’indagare il senso della comunicazione, ha peccato, proprio per la ricerca spasmodica delle emozioni ed espressioni facciali, nell’utilizzo del primo e primissimo piano, che è sembrato troppo rispetto alla media particolarmente bassa di Fincher. Un cambiamento notevole tra una puntata e l’altra, insomma.

Mindhunter è finora una serie che prova a parlare chiaro, anche nei misteri che introduce: per un thriller normale potrebbe non essere proprio ordinario, ma in questo caso non siamo di fronte a un prodotto classico, perciò non possiamo che essere curiosi di capire dove ci porterà.

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