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Leaving Neverland è una docuserie dai due volti

È freschissima la notizia che i Simpson hanno deciso di rimuovere l’episodio con protagonista Michael Jackson, proprio a seguito della messa in onda della docuserie Leaving Neverland, trasmessa ora in Italia da Nove.

Dopo Leaving Neverland, si è anche diffusa la notizia che la figlia di Michael, Paris, avesse tentato il suicidio, non sopportando il peso delle accuse mosse al padre. Paris Jackson ha prontamente smentito: “Ho visto il documentario, con mille riserve”.

La situazione è parecchio controversa, perché Michael è morto da quasi dieci anni e, ormai, non si può più difendere dalle accuse che gli vengono mosse. Questo non è giusto.

Si può processare nel 2019 un uomo morto nel 2009 che non può più dire la sua sulle accuse che gli vengono mosse?

Michael Jackson era, per certi versi, molto strano, ma basta per definirlo inquietante, disturbato e addirittura uno stupratore pedofilo?

Dall’altra parte, c’è il beneficio del dubbio che si può e si deve dare alle persone che denunciano un abuso (altrimenti il movimento #metoo non avrebbe senso). Non importa che siano uomini: ovviamente un abuso sessuale è un abuso sessuale, a prescindere dal sesso o dalla sessualità della persona che lo subisce. Non importa quanto tempo passi tra i fatti accaduti e la denuncia, fossero anche venti o trent’anni: le vittime hanno tutto il diritto di denunciare quando e come meglio credono.

C’è anche un po’ di paura a parlare di un mostro sacro della musica come Michael Jackson, proprio perché, nella sua triste vita di privazioni, sacrifici e sofferenze, quella degli abusi sessuali è un’accusa che non è mai stata davvero risolta fino in fondo con definitiva chiarezza.

Se le accuse sono vere, Michael Jackson è un mostro.

Ma se le testimonianze sono vere, Michael Jackson è l’unico sotto accusa in questo processo post mortem?

Leaving Neverland
Leaving Neverland – Un’icona del pop

Leaving Neverland è una bomba al napalm, perché è ben diverso da tutti i documentari di denuncia, non ultimo R. Kelly: vittime di una popstar.

Per gran parte del primo episodio, diciamo oltre l’ora e un quarto, non viene detto nulla di male su Michael, né dalle vittime, Wade e Jimmy, due bambini che Jackson ha frequentato assiduamente, né dai parenti stretti, anzi. C’è un chiaro senso di ammirazione nei confronti del personaggio famoso, una riverenza e una fascinazione quasi imbambolata. Lasciamo perdere i ragazzi che denunciano, perché erano, all’epoca, bambini quindi ovviamente erano indifesi e manipolabili.

Ma i genitori?

I genitori di questi bambini permettono senza alcun problema a una persona adulta, un uomo fatto e finito, di dormire con i loro figli di sette/otto anni.

È nomale?

Certo che no.

Per gran parte del documentario, da parte dei genitori si percepisce un chiaro senso di inferiorità nei confronti della popstar ricca e famosa. Queste madri sono orgogliose del loro rapporto esclusivo con lui, fanno una vita che, altrimenti, non si sarebbero mai più potute permettere: elettrizzanti fughe dai paparazzi, vacanze esotiche, regali costosi.

Ho perso il senso della realtà e lo stesso è successo a mio marito.

Ecco, sicuramente, tra i mille interrogativi posti da questo documentario, rimane la percezione ambigua che danno i genitori di questi due bambini, che non sono stati in grado di accorgersi di nulla, di voler vedere, di intuire che c’era qualcosa che non andava.

Leaving Neverland
Leaving Neverland – Un’amicizia controversa

Le madri origliano le conversazioni telefoniche e non sentono mai nulla di strano, hanno rapporti stretti col cantante, vengono spedite a dormire lontano dalla camera da letto dove il figlio dorme con Michael e non si pongono il problema, per davvero troppo tempo.

La cosa ancora più assurda è che, mentre i due ragazzi mostrano, a un certo punto, qualche emozione negativa, le madri sembrano ancora rimbambite dal sogno di fantasia e lusso che hanno vissuto: riescono a sorridere al ricordo, fino all’ultimo, pur sapendo ciò che i loro figli dicono.

Sembrava una persona premurosa, gentile e affettuosa, quindi era facile credere che lo fosse davvero.

“Era facile credere”.

Grande risalto viene dato allo sfacelo della famiglia di uno dei due ragazzi: il padre soffre di depressione e attacchi d’ansia e la madre decide di lasciarlo (erano in crisi già da tempo) per seguire la carriera del figlio negli Stati Uniti, su suggerimento, ovviamente, di Michael Jackson.

È colpa di Michael se la famiglia si sfascia?

O della madre che, per ammissione del figlio maggiore, stava solo cercando di trovare un motivo per rifarsi una vita?

Passa il chiaro messaggio che Macaulay Culkin e Brett Barnes abbiano preso il posto di Wade e Jimmy nel cuore di Michael. Sostituiti da bambini più piccoli e più famosi e, dato che Michael Jackson in questo documentario deve essere ritratto come un mostro, più interessanti.

Non ero più speciale.

Non importa che sia Macaulay che Brett abbiano sempre categoricamente smentito qualsiasi rapporto inappropriato con Michael Jackson.

Leaving Neverland – Family portrait

Un’altra cosa spiazzante di Leaving Neverland è l’assoluta mancanza di filtri: i ragazzi che raccontano il loro passato non lasciano niente all’immaginazione, anzi. Si entra nei dettagli più rivoltanti e sconvolgenti: bambini che erano anche fan, abbagliati da un’amicizia importante con il cantante più famoso del mondo, ingannati e circuiti tra promesse e regali.

C’è un momento particolare nel documentario che è molto disturbante: uno dei due ragazzi (ormai due uomini) che denunciano gli abusi mostra i regali ricevuti da Michael, tra cui, addirittura, una fedina utilizzata in un finto matrimonio.

Porno e caramelle, questo è quello che gli piaceva.

Che resta l’esempio più calzante di come Leaving Neverland sia una docuserie dai due volti, con mille controversie da una parte e dall’altra

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