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Re-si-sten-za: Azione che si sforza di resistere a qualcuno o a qualcosa che cerca di contrastarli; opposizione alla volontà altrui; capacità di sopportare condizioni avverse. Lotta contro il nazifascismo in Italia e in Europa; ogni opposizione armata contro un esercito occupante o un regime politico.

“Nulla andrà male, Andrés: noi siamo la Resistenza, no?”

L’intera vita del Professore, l’enigmatico personaggio a capo della banda di rapinatori de La Casa de Papel, ruota intorno all’idea di Resistenza. Non si sa niente di lui, o meglio, si sa solo quello che lui lascia trasparire, o quello che si sforza di raccontare. Per caso ne ascoltiamo il vero nome, Sergio, durante la scena finale: ma siamo talmente elettrizzati da ciò che sta succedendo, che ogni cosa passa in secondo piano. Tutto sta per crollare, come un castello, o una casa, di carte, a cui lo stesso costruttore dà per distrazione una spinta, arrivato proprio alla fine della sua imponente opera. Tutto va in pezzi in un secondo, quando Raquel, come un vero segugio, prende in mano la situazione e, ignara di avere l’uomo che cerca da giorni proprio accanto a lei nel letto, si mette sulle tracce del covo dei rapinatori della Zecca.

E noi stiamo per assistere attoniti a un grandioso sfacelo; come una ripresa al rallentatore, come presi da una forte paura che raddoppia il tempo e duplica i battiti del nostro cuore, ci teniamo forte mentre tutto attorno a noi crolla.

E proprio quando siamo ormai preparati al peggio, torniamo indietro nel tempo, a quella sera prima della rapina che ormai abbiamo visto quasi da ogni punto di vista dei protagonisti de La Casa de Papel, tranne da quello del Professore. Lo immaginavamo forse organizzato, metodico, intento a ripassare ogni riga del suo piano perfetto. Invece beve vino insieme a Berlino, come vecchi amici, mentre la paura inizia a serpeggiare e le voci del dubbio si insinuano nella mente e nel braccio dell’operazione.

 Berlino chiede al Professore di mantenere una promessa: se le cose dovessero mettersi male, lui scapperà, non si lascerà catturare.

Ma anche mentre il Professore cerca di rassicurare il compagno sulla riuscita dell’operazione, noi avvertiamo la sua paura. Una paura che si insinua anche nelle prime, sussurrate, note di Bella Ciao, che canta per farsi coraggio, per dimostrare a Berlino e a se stesso che nessuno può uccidere la Resistenza.

Il Professore sembra quasi sopraffatto dalla sua stessa emozione, dall’idea della morte che spaventa, e quando la paura gli spezza la voce e gli toglie le parole, è il suo stesso grandioso piano a parlare per lui. Ed è il primo, grande, momento di questo finale di stagione. L’idea del Professore si materializza e prende una forma che sfugge anche alle sue fantasie più remote, quando Andrés si alza, forte e spavaldo, cantando quella strofa di Bella Ciao che sembra scritta apposta per lui, mentre il Professore ci appare intimidito, quasi impaurito dalla bellezza e dalla fierezza del suo piano che prende vita e autonomia sotto i suoi occhi.

Un piano che sfugge a ogni suo meticoloso controllo per diventare una bestia libera, incontrollabile, capace anche di mordere e di graffiare se messa all’angolo.

Ora sono più che colleghi, più che compagni di rapina: sono due fratelli che si fanno coraggio e, sopraffatti da un’emozione più grande di loro, trovano conforto nell’intonare un canto sacro, come un rito propiziatorio che, ormai lo sappiamo, li condurrà alla loro fine.

O partigiano, portami via, che mi sento di morir

E se io muoio da partigiano, tu mi devi seppellir.

Il Professore va con Raquel come una bestia al macello, impotente nel contemplare lo sfacelo del suo piano. E mentre le sirene della polizia spazzano via le note di Bella Ciao, anche noi sentiamo che una grande, ardita impresa, spettacolare nella sua magnifica sfacciataggine, sta per essere stroncata dall’arrivo di una forza sterile, noiosa, obbediente, che violenta gli spazi sacri della Resistenza con i suoi guanti bianchi e le sue tute isolanti.

Passato e presente si rincorrono in questa scena straziante e magnifica de La Casa de Papel, che ci mostra come il Potere, quando posa le sue mani fredde su qualcosa, inevitabilmente lo distrugge. E così anche il casolare, abbandonato sì, ma caldo e pieno di vita e di passione nel flashback dell’ultima notte insieme del Professore e di Berlino, diventa improvvisamente freddo, inospitale, una catapecchia gelida e anonima, quando a illuminarlo sono le torce e i laser della polizia.

Il climax che questa scena finale de La Casa de Papel riesce a creare, si spezza con il suggello della fine del Professore e della sua banda, proprio sulle note finali, trionfanti nella loro tragicità, di Bella Ciao.

Viene scoperta per ultima la soffitta e tutti i piani vengono svelati, ammazzando così ogni residua idea di resistenza con il pugno di ferro della legge e dell’ordine. L’abbraccio del Professore e Berlino suggella così l’inizio e insieme la fine della rapina perfetta, mai tentata prima. E ci pare quasi di scorgere una lacrima negli occhi del Professore, durante questo abbraccio, quando il suo sguardo è finalmente distolto da quello dell’amico, del fratello, del compagno di lotta. Una lacrima come di chi sa che potrà fallire, ma deve comunque provarci. Perché lo scopo non è più solo il denaro, la ricchezza, ma è mostrare al mondo che si può essere liberi, che si può essere giusti anche essendo banditi, che si può vivere al di fuori delle regole.

Che si può, e si deve, in una parola, Resistere.

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