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Siamo davvero sicuri che gli Zombie Simpson siano tanto inguardabili?

La TV, il nostro incredibile tubo catodico dallo schermo nero: da lì escono migliaia di film, sit-com e materiale cinematografico di ogni genere. Oggi parleremo de I Simpson, la serie tv animata che ha lasciato un’enorme impronta (gialla) nella nostra cultura. Non solo in quella europea o americana: doppiata in svariate lingue è stata distribuita in ogni angolo del mondo, arrivando pure in Corea del Sud. Appena dieci anni dopo la loro prima apparizione I Simpson, nel 1999, venivano acclamati dalla rivista TIME come migliore serie televisiva del secolo.

I Simpson

Ad oggi, ammettiamolo, I Simpson hanno contribuito a forgiare la nostra generazione. Nessun prodotto d’animazione è riuscito ad avere la stessa comicità tagliente, lo stesso livello di critica sociale profonda ma contemporaneamente spensierata, la stessa qualità di satira affrontando temi così cruciali. Ma come tutte le grandi opere, un livello qualitativo così alto non può essere mantenuto per sempre. E allo stesso modo, è inevitabile che chi possiede un occhio particolarmente critico se ne accorga. Quando il loro declino inizia a manifestarsi, i critici coniano il termine di Zombie Simpson. No, Matt Groening non era impazzito e da una certa stagione in poi non ha trasformato la famiglia giallina in corpi macilenti senza cervello: questo termine viene usato per indicare che da un certo punto in poi la qualità e l’essenza di questa serie iniziano il loro declino, trasformando la satira che la caratterizzava in parodia… quasi di se stessa. Addirittura, c’è chi li compara nelle ultime stagioni ai Griffin, dai quali I Simpson, per natura, si sono sempre molto differenziati.

Ma siamo certi che sia così? Un capolavoro del genere può davvero peggiorare a tal punto da risultare inguardabile?

Facciamo un passo indietro: torniamo al punto in cui qualcosa è cambiato, la puntata in cui, secondo i sostenitori di quest’idea, i Simpson hanno iniziato il loro processo di zombificazione. E’ spiegato chiaramente in un video intitolato: “The Fall of The Simpson: How it Happened”. Siamo alla 9×02, la puntata intitolata “Il direttore e il povero”. In questa puntata viene raccontata la storia della vera identità del preside Skinner: il suo nome non è Seymour Skinner, ma Armin Tamzarian. Ciò si scopre perché il vero Skinner compare, affermandosi come tale, e raccontando come il falso Skinner (Tamzarian, appunto) fosse stato suo compagno d’armi durante la guerra del Vietnam. Credendo Skinner morto, Armin Tamzarian gli aveva rubato l’identità. E non solo: era tornato a casa della madre, la sig.ra Agnes, dicendo di essere suo figlio e aveva vissuto con lei per vent’anni. Storia complessa,vero? Dopo vari dibattiti nella città, Tamzarian se ne va sepolto dalla vergogna e il vero Skinner viene messo al suo posto come preside. Ma tutti sono scontenti di lui, in primis la madre, e alla fine Homer va a prendere Tamzarian per riportarlo a Springfield e reintegrarlo come preside battezzandolo Seymour Skinner. Si ripristina così la situazione iniziale. Tutto è bene quel che finisce bene, e lui addirittura ammette di essere stato troppo duro in passato e di voler migliorare, ma ecco le battute finali:

Skinner: <<Non sono mai stato così felice e fiero di essere Seymour Skinner, ma questi giorni vissuti come quella testa calda di Armin Tamzarian mi hanno insegnato un paio di cosette: sapete, forse sono stato un tantino troppo rigido in passato. Beh, d’ora in poi vedrete un nuovo Seymour Skinner!>>

Sig.ra Agnes: <<Neanche per sogno!>>

Skinner: <<Sì, mamma>>

I Simpson
Seymour Skinner e Armin Tamzarian

E la puntata si conclude così.

E quindi?

Ecco, sappiamo tutti che quando finiamo la puntata di una serie e ci viene da pensare “…e quindi?” significa che qualcosa è andato storto. Perché raccontare una storia così arzigogolata per poi chiuderla così? Qual’è il messaggio che ci rimane? Che il ribattezzato Skinner, nonostante tutto, rimane sottomesso alla “madre”? Quest’ipotesi non convince per niente.

Quando i Simpson ci raccontano una storia, per quanto assurda essa sia, a fine puntata ci trasmettono sempre un messaggio, una morale. Per quanto i personaggi siano più che imperfetti e combinino pasticci, dalle loro avventure ricaviamo sempre un insegnamento. Inoltre, nella comicità delle battute c’è sempre una seconda chiave di lettura: la risata che strappano non è quasi mai fine a se stessa ma fa riflettere. Però qui, nella 9×02, i critici hanno fiutato qualcosa, e hanno individuato questo momento come l’inizio dello sfacelo. Lì, in effetti, qualcosa è successo. Non solo all’atmosfera della comicità della serie. Il cast che aveva originariamente ideato I Simpson era arrivato a ridursi molto e, tra l’ottava e la dodicesima stagione, erano rimasti solo in 2 su un cast originario di 15 persone. E, ovviamente, tutta la serie ne risentì.

I Simpson sono I Simpson per essere una satira, una grandissima satira di tutto e di tutti che però riesce, alla fine, a farti ridere.

Ridi e poi pensi al perché della tua risata, e la risposta è sempre qualcosa di molto serio. Questo è ciò che li ha resi così famosi, così apprezzati e così influenti allo stesso modo. Dopo la nona stagione la trama ha iniziato leggermente a impoverirsi e la sfolgorante ironia si è quasi opacizzata. I personaggi ne hanno risentito, e tutto questo è evidente.

Ma il cervello di un’opera così sfaccettata non può essere stato risucchiato così facilmente, o almeno non come pensano alcuni dei critici più “puristi”. E le dimostrazioni sono molte: il messaggio che le puntate passano continua ad essere comico ma crudele, vero e bonariamente triste. Ci sono alcune puntate memorabili, con il classico “spessore Simpson” di sempre. “Lisa la scettica” (9×08) ci mostra come il rinvenimento di uno strano scheletro, che non si sa se abbia la natura di qualcosa di spirituale oppure di scientifico, sia solo un ”imbroglio” pubblicitario del centro commerciale che aprirà. Homer, nella 14×10 “Non per soldi ma per preghiere, diventa religioso a suo piacimento per poi beffarsi della fede e della religione, con il risultato di venire ovviamente punito (dal Karma o da Dio?) e vivere momenti a sfondo biblico. Si mette in dubbio la fedeltà di Marge e il valore dei soldi nella 13×10 “Proposta semi-decente.

I Simpson mantengono la loro dignità distintiva e la loro natura ancora per un bel po’. Rimangono in grado di darci molto, e di farci riflettere a malincuore.

Certo, nelle ultimissime stagioni l’opacità dei personaggi e dell’umorismo comincia davvero a farsi sentire, a farci un po’ dimenticare i veri Simpson. Questo non si può negare. Li vediamo sempre più vicini ad altre serie d’animazione in commercio, di quelle che ti strappano una risata “senza pensieri”.

Forse, sì, è un pensiero un po’ nostalgico. Ma d’altronde, come si fa a non essere nostalgici delle prime storie della famiglia giallina? Delle loro prime goffe avventure da famiglia moderna americana, dei loro difetti esagerati e realistici? Definire “inguardabile” o ”non degna” questa parte di Simpson è difficile. Una serie che ci ha dato così tanto, un pezzo di nostra cultura occidentale è vero, è inevitabilmente peggiorata. Nelle ultime stagioni ci sono moltissime battute che non suscitano nemmeno una risata ”disimpegnata”, ma che lasciano attoniti. Homer ha perso, ormai, tutto lo spessore che il suo personaggio aveva riducendosi ad un sempliciotto, a volte anche un po’ maligno, completamente senza cervello. E’ anche vero che mantenere quello splendore per 31 stagioni ed esattamente 31 anni di puntate è ugualmente difficile. Però no, alla serie sulla nostra famiglia gialla preferita non è stato mangiato il cervello.

Quando nella settima stagione Lisa inizia a contestare ciò che le viene propinato a scuola e sviluppa il suo pensiero, indipendente dal resto della classe, la professoressa se ne accorge e fa scattare una spia rossa, nascosta sotto la cattedra: quella spia lampeggia indicando “INDEPENDENT THOUGHT ALARM”, “allarme: pensiero indipendente”. Mi piace pensare che quella spia, nei Simpson, c’è sempre stata. E, anche se a volte nascosta, ha sempre lampeggiato. Dall’inizio alla fine.