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La spiegazione del finale della prima stagione di Hellbound

Hellbound, tra quelle recenti, è sicuramente una delle serie del fortunato filone made in Korea che più di tutte ha sconvolto il pubblico. Qui potete trovare la nostra classifica dei momenti più assurdi del primo capitolo, ma oggi vogliamo concentrarci sul contorto finale di stagione per provare ad analizzare, nel modo più logico e razionale possibile, gli incredibili fatti narrati.

Forse era vero, non c’è più religione

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Hellbound, tra tutte le serie coreane recenti che trattano tematiche a sfondo sociale (Squid Game in primis, ma anche Non siamo più vivi fa il suo, tanto per citarne due di enorme successo), è quella che per farlo si è servita della trama più complicata e inquietante, ma anche la più verosimile se proiettata sulla società moderna. Ovviamente tralasciando la dimensione onirica e l’elemento del sovrannaturale, concentrandosi piuttosto sulla rappresentazione data di una popolazione vittima e carnefice allo stesso tempo. Vittima delle dicerie di Internet, schiava di un sistema di controllo corrotto, ma carnefice nel momento in cui abbraccia la regola del “se non puoi batterli, unisciti a loro”. La società si muove in blocco e si sottomette alle regole imposte dall’alto (letteralmente), senza preoccuparsi di possibili alternative o conseguenze. Ma nel finale della prima stagione, Hellbound si contraddice da sola, di proposito, smascherando la fragilità del sistema e evidenziando una verità relativa e per niente univoca. Il messaggio di fondo di Hellbound è da subito parso parecchio contorto e complesso. Una setta religiosa, nata ed espansasi grazie al potere pervasivo dei social e della propaganda, comincia a tormentare la popolazione coreana quando fanno la propria apparizione degli orribili mostri che si presentano in una visione alle vittime designate annunciando loro la data della propria morte, per poi presentarsi con una puntualità indiscutibile a compiere il massacro. Già soltanto nel leit motiv della serie ci sono parecchie chiavi di lettura che spaziano dalla pericolosità dei social al fanatismo religioso inteso come arma propagandistica, ma si può pensare anche ad una profonda critica ad una società che ha perso ogni tipo di contatto con la spiritualità e con la purezza d’animo.

Che cosa succede però? Sono due le strade da seguire per cercare di comprendere il messaggio finale della serie. Da una parte abbiamo il primo sopravvissuto, il figlio di Bae Youngjae e Song Sohyun, un neonato senza nemmeno un nome, che viene condannato a patire le ritorsioni dei peccati commessi dai suoi genitori ma che, al momento della sentenza, viene salvato dall’amore dei due che con estremo coraggio fungono da scudo ai martellanti colpi delle bestie divine. Lo scenario da drammatico finisce per essere commovente: un’intera folla di timorati di Dio che comincia a inveire contro il proprio credo assistendo al compimento di un miracolo. Il neonato vive grazie al coraggio e all’amore dei suoi genitori (Harry Potter chi?), ma molto più importante è il fatto che per la prima volta le vittime non siano state designate. Allora significa che Dio non è infallibile? Significa che la profezia è un’enorme abbaglio? Forse sì o forse no, fatto sta che qualcosa è andato storto e che ogni convinzione popolare è destinata a cadere per sempre.

Nuova cenere

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D’altro canto però il finale di Hellbound ci ha raccontato qualcosa di ancora più assurdo. Non bastasse la profezia divina sfatata, Park Jungja è tornata dall’aldilà (in grande stile, bisogna ammetterlo) resuscitando dalle sue stesse ceneri. Proprio lei, la prima dimostrazione pubblica della crudeltà della profezia. Ci sarà un motivo. E se un motivo c’è è ricollegabile alla falla sopracitata della mancata esecuzione del piccolo innominato. Sembrerebbe quasi che Dio si sia accorto dell’errore commesso e abbia deciso di rimediare in modo forte e deciso, resuscitando la vittima più illustre. Se così fosse, la profezia dimostrerebbe di essere realmente corretta, in un certo senso, rendendo pubblico un messaggio di giustizia e quasi di scuse per i fedeli. E qui Hellbound lascerebbe un segno importante, interpretabile come il rinnegamento dell’assenza di una giustizia divina, della perfezione assoluta e dell’onniscienza. Sarebbe come indagare a fondo nelle azioni più pericolose che la popolazione può arrivare facilmente a commettere, per poi fare marcia indietro e ammettere l’errore, dimostrando che non c’è alcun modo per governare l’istinto umano. Oppure potrebbe venirne fuori qualcosa di spaventoso. Una profezia contraria che disfa la prima, perché Park Jungja torna in vita, ma non possiamo immaginare con quale scopo e con quale ruolo. Forse (molto probabilmente) stiamo fantasticando troppo, ma da una trama così intricata ci si aspetta una soluzione altrettanto complessa.

Si vocifera che la seconda stagione di Hellbound possa veder luce già nel corso del 2022, ma è più verosimile ipotizzare che avremo un secondo capitolo almeno l’anno prossimo, visto e considerato che si tratta di una produzione piuttosto grossa. Ad ogni modo, gli interrogativi, come abbiamo avuto modo di constatare, sono parecchi. La serie non ha riscosso lo stesso successo delle sopracitate Squid Game e Non siamo più vivi, sicuramente per via di una serie di elementi meno commerciali e spendibili, a partire dai personaggi, per esempio, oltre che per il maggiore livello di complessità narrativa, ma una seconda stagione potrebbe decisamente dare un input importante a Hellbound, rispondendo ai quesiti irrisolti per i fan che l’hanno seguita e delineando un percorso più invitante per aumentare il proprio bacino di spettatori.

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