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Sono finita in universo parallelo in cui Boris è una serie drammaticissima

Se c’è una serie tv italiana che ha saputo mettere d’accordo quasi tutti è Boris, una comedy innovativa, fresca, divertente e capace di raccontare con ironia le tante contraddizioni del modo di fare tv in Italia e, più in generale, della nostra società. Ma avete mai provato a immaginare di toglierle la vena comica e il tono umoristico che gli autori hanno voluto dare al prodotto? I contenuti narrati forse non cambierebbero troppo, ma di certo le tragedie e i drammi dei protagonisti su cui noi amiamo sempre scherzare darebbero un impianto davvero diverso alla serie, rendendola assai drammatica.

In questo articolo abbiamo pertanto deciso di immaginarci come potrebbe essere Boris in un universo in cui essa è stata pensata per essere una serie drama e priva di qualsiasi lettura umoristica. Tutto quello che leggerete non sarà infatti altro che una riscrittura degli avvenimenti verificatisi in Boris, ma reinterpretati secondo un’ottica drammatica.

Allerta spoiler su Boris, attualmente disponibile su Disney Plus. Buona lettura!

Stanis (640×360)

2008. Roma. Un giovane ragazzo di grandi speranze in procinto di iniziare uno stage è di fronte all’inizio della realizzazione del proprio sogno: lavorare su un vero set per imparare il mestiere di regista. L’inizio di un sogno, di una nuova fase della sua vita in cui potrà mettere in pratica la propria creatività e lavorare fianco a fianco di grandi professionisti del settore. Ma Alessandro non sa che presto il sogno diventerà un incubo quando scoprirà di essere stato destinato alla lavorazione della terribile fiction Occhi del Cuore 2. Svegliarsi all’alba ogni giorno per essere trattato come la più infima delle creature, sottostare ad atti di nonnismo, prepotenza, abuso di potere senza poter nemmeno contare su un salario che ripaghi almeno in minima parte la fatica, la pressione, lo stress causato dal lavorare con persone così orribili con lui, che lo sfruttano e lo manipolano per farlo stare buono. In poco tempo il ragazzo finisce per rinunciare completamente alla sua vita per farsi piccolo piccolo di fronte alle necessità della seriosa e scontrosa assistente regista Arianna e, soprattutto, di fronte alle assurde pretese degli attori e degli altri membri della crew.

Alessandro ben presto si rende conto di essere comunque più fortunato di altri. D’altra parte, al suo amico Lorenzo, stagista nel comparto fotografia, è andata peggio: lo chiamano Lo Schiavo o addirittura Me**a e lo trattano anche peggio: arriverà addirittura un giorno in cui, per rimetterlo al suo posto a seguito della sua rinnovata sicurezza, i colleghi insceneranno un pestaggio da parte di un gruppo Rom e lo colpiranno con violenza e in modo terribile. C’è un uomo, in particolare, che lavora al reparto luci, che sembra provare un disumano e crudele piacere nel vessarlo e insultarlo quotidianamente: si chiama Augusto Biascica, un nome azzeccato se si pensa alla povera dialettica dell’uomo, lavoratore frustrato e venale che si ossessiona per degli arretrati che probabilmente non gli verranno mai pagati.

Sul set, d’altra parte, si respira un’aria tossica, ricca di tensioni irrisolte, astio e gelosie. Nessuno ha realmente voglia di trovarsi lì, men che meno il regista René Ferretti, che da giovane promessa quale un tempo era, si è visto affidare prodotti sempre più scadenti e mal scritti. Ora, arrivato alla mezza età, René si ritrova a dover dirigere un cast di attori incapaci e raccomandati in una fiction deprecabile e scritta senza alcuna passione da un gruppo di sceneggiatori pigri e incapaci, attenti solo a compiacere la Rete e un pubblico senza alcun gusto, talora plagiando opere straniere. René è talmente inappagato dal proprio lavoro da aver perso qualsiasi passione, qualsiasi spinta a migliorare, cosa che lo porta ad accettare anche pessimi risultati pur di andare avanti.

Talmente solo e depresso da aver iniziato a parlare con un pesce rosso, Boris, che si porta quotidianamente sul lavoro.

E come dargli torto? Uno dei suoi più cari amici e collaboratori, Duccio Patané è talmente dipendente dall’uso di cocaina da non provare nemmeno più a fare un buon lavoro, rinchiudendosi per ore e ore nel proprio camerino a drogarsi insieme al secondo regista Alfredo, che come secondo lavoro fa lo spacciatore. Non aiuta poi il terribile cast dello show. Gli attori principali sono Stanis La Rochelle, un narcisista egomaniaco non certificato e Corinna Negri, una vanesia prima donna arrivata lì dov’è solo per aver fatto dei favori sessuali al Direttore di Rete. Che dire poi di Mariano Giusti? Un attore dalla fragile mente psicolabile preda di attacchi d’ira improvvisi e recentemente vittima di visioni allucinogene che lo hanno fatto convertire?

René Ferretti (640×360)

Ma René Ferretti che alternative ha?

Solo, divorziato e squattrinato così com’è, non solo deve dirigere una serie in cui non crede minimamente e che lo fa vergognare di sé, accettando le assurde condizioni dettate dalla rete, ma deve addirittura sperare che la fiction vada bene e possa continuare così da poter sbarcare il lunario, come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi. Bisogna stringere i denti e andare avanti in un ambiente sempre più corrotto, in cui a dettare le regole sono attrici capricciose, interessi politici, corruzione e favoritismi, perché questa è l’Italia e questa è la sua industria dell’intrattenimento: questo lo hanno imparato tutti fin troppo bene. Dal delegato di Rete Lopez al losco e venale direttore di produzione Sergio Vanucci, fino alla corrotta e oziosa segretaria di produzione Itala, dedita all’alcol e protetta da influenti politici, che impedirebbero il suo licenziamento.

Niente va mai per il verso giusto, niente sembra mai cambiare, così quando a René viene offerta la possibilità di dedicarsi a un progetto che lo affascina davvero, l’uomo è al settimo cielo: una fiction storica di spessore sulla grande figura di Machiavelli, una responsabilità che ancora una volta lo fa agitare, provocandogli allucinazioni e visioni che minano ancora di più alla sua stabilità mentale. Scoprire che il progetto altro non era che una trappola della Rete per mandarlo a fondo infligge un duro colpo alla psiche dell’uomo che, ancora più disilluso e sconfitto, ritorna a giocare con attorucoli di terz’ordine e con una regia senz’anima. Vittima di un sistema che premia la mediocrità e che disprezza l’innovazione, schiavo del gusto di chi non apprezza davvero l’Arte.

Boris
Boris (640×360)

Alternando momenti di crisi alla speranza di cambiare le cose, passando da serie tv sperimentali al cinema, fino all’approccio streaming, René cercherà in tutti i modi di contraddire quelle che da sempre sono le regole dell’intrattenimento italiano, tra tante sconfitte e qualche vittoria, tra tanta sofferenza e disillusione. Una vera e propria tragedia!

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