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La spiegazione del finale di Gomorra

Dopo sette anni dalla messa in onda della prima stagione, la serie dei record Gomorra arriva al suo epilogo nell’unico dei modi possibili: lasciandoci, come unica sopravvissuta, una silenziosa quanto fondamentale protagonista. La speranza.

Nuje vulimme na speranza. Per i ragazzi di Forcella quella speranza è personificata da Ciro, L’Immortale, figlio di nessuno venuto dal niente che è riuscito a battere persino la morte, simbolo della possibilità di redenzione in un mondo destinato a nient’altro che l’inferno. Nella fazione di Secondigliano capeggiata da Gennaro, la speranza è quella di ritornare a primeggiare tra le piazze di spaccio, facendo brillare ancora una volta il regno dei Savastano. I due clan, a dispetto delle apparenze e differenze, lottano per la stessa cosa, il denaro, unico salvatore delle famiglie affamate. Nel microcosmo di Gomorra, però, non esiste soluzione diversa dalla guerra fratricida poiché tutti sarebbero orfani dello stesso padre: lo Stato.

La speranza, quella che muove i due protagonisti, sembra essere molto diversa; da un lato Gennaro che, rivalutando le sue priorità, punta alla fuga da quel mondo, da quella vita, da quel nome troppo pesante. Il nome di suo padre, da cui è deciso a distaccarsi per non diventare come lui. Ciro, al contrario, è determinato a far crollare l’impero Savastano prendendo le redini di un regno che, gerarchicamente, non gli è mai appartenuto ma che è riuscito a conquistarsi battaglia dopo battaglia. Entrambi sono ad un passo dal loro scopo ma, nell’universo anarchico e parallelo di Gomorra, ogni cosa è il suo opposto e a farla da padrona è la contraddizione, quella che a una vita segnata dall’importanza di un nome fa seguire una morte anonima e che, ai sacrifici eroici di martiri e crociati, oppone un proiettile senza volto che toglie la vita persino all‘Immortale, dando luogo a un ossimoro che solo in questo contesto può avere senso. Quelli che sono gli “eroi” (narrativamente parlando) di Gomorra sono i carnefici del nostro mondo, e l’unica vittoria possibile è rappresentata dalla loro sconfitta.

Gomorra

L’assenza di identità dei carnefici di Ciro e Genny marca le contraddizioni del contesto criminale, quello che confonde sacro e profano attraverso riti e sacrifici di sangue, trasformando le credenze popolari in parola di Dio (“quanne ‘e buscie fann’ ammore cu’ a paura addiventano voce ‘e popolo, e voce ‘e popolo è voce ‘e ddio”), quello che uccide per amore e per ideali che non appartengono a nessun altro universo se non a quello di Gomorra e se non a quello di Napoli, terra da sempre di antinomie, il cui mare bagna tanto la facciata della cartolina più nota al mondo quanto la terra di nessuno abbandonata da tutti. Lo stesso mare che ha regalato la fuga e la rinascita di Ciro dopo essere stato sparato su quella barca ma che, sul finale, lo ha guardato morire, lento e inesorabile, scegliendo di regalare una nuova vita al piccolo Pietrino e sua madre Azzurra, l’unica speranza rimasta a quel nome di redimersi. Il mare, con la sua capacità di togliere e restituire, di allontanarsi e di riavvicinarsi, di cullare e distruggere, come i nostri anti-eroi che, amandosi, si distruggono ma con uno sguardo si perdonano, e con la morte si liberano.

Chi spara Ciro e Genny? Nessuno. Dunque l’assente? Lo Stato inteso simbolicamente come “parte civile” della vicenda, il giusto. Perché la morte nel mondo delle contraddizioni è sempre giusta, più della vita stessa. Morte che arriva improvvisa, senza dare neppure tempo alle parole in una stagione segnata da aforismi e frasi fatte. Finale che uccide i suoi protagonisti senza concedergli saluti o spiegazioni perché è proprio così che uccide la camorra, la loro camorra, quel mondo che volevano mangiarsi ma che ha finito per mangiare loro, chiudendo il cerchio delle contraddizioni con la più cruda coerenza possibile (qui la recensioni degli episodi finali 05×09 e 05×10).

La coerenza prende il posto delle contraddizioni. Il finale ci regala il suo ultimissimo opposto, unificandosi al ritmo dell’altro mondo, quello umano. Quello in cui Ciro e Genny possono esistere solo nella non-esistenza e, soprattutto, l’unico mondo possibile in cui posso esistere insieme. Ai ragazzi di Secondigliano e Forcella, invece, resta quell’unico motore che ha mosso ogni loro azione e schieramento, che li ha spinti alla ricerca di un leader, di un padre adottivo che potesse colmare il loro esser orfani dello Stato: la speranza, pe campa’ riman’.

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