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Mi è capitato spesso di voler dire qualcosa che alla fine non ho detto, e altrettanto spesso di avere a che fare con qualcuno a cui avrei volentieri urlato in faccia tutto il mio disprezzo senza poterlo fare. Mi è capitato anche di volerlo urlare a me stessa, il mio disprezzo, ma di non avere comunque il coraggio di cominciare a smussare quei lati del mio carattere che io per prima non sopporto. A volte ho la sensazione che queste cose accadano solo a me, che siano parte integrante di un pacchetto Vita Sfigata che a quanto pare ho comprato solo io. Poi però mi capita di guardare finalmente Fleabag, quella serie che ho nella lista d’attesa da una vita, e mi rendo conto di quanto invece questi possano essere sentimenti universalmente riconosciuti.

Ci sono serie tv che sembrano guardarci dentro, che entrano a gamba tesa in quegli squarci delle nostre vite che cerchiamo ogni giorno di disinfettare e coprire con una garza pulita, sperando che prima o poi si trasformino in cicatrici che non fanno più male. Quando entriamo negli universi narrativi di queste serie, ciò che vediamo non sono solo le vicende dei personaggi ma le nostre stesse storie in altri tempi, in altri luoghi e con altri protagonisti. E quando arriviamo all’ultimo episodio sembra sempre troppo presto, forse perché vorremmo sapere cosa c’è dopo il celebre The End, se i protagonisti – e quindi noi – riescono davvero a raggiungere la tanto agognata felicità o se alla fine tutto resta uguale. Il finale di queste serie porta con sé un vuoto che io sto sperimentando proprio oggi, un vuoto che ha reso questa giornata una di quelle in cui scrivere non è una voglia da soddisfare ma un bisogno che sarebbe doloroso reprimere.

Fleabag da personaggio a persona

Fleabag
Phoebe Waller-Bridge (640×360)

Il personaggio di Fleabag, creato e interpretato da una Phoebe Waller-Bridge che riesce a renderlo incredibilmente tridimensionale, rappresenta tutto ciò che di noi amiamo ma contemporaneamente repelliamo. La protagonista della serie non si limita a essere un personaggio: è una persona con i suoi vizi e le sue virtù, con tutti i limiti del caso ma anche con tutta la voglia di superarli, cosa che – proprio come tutti noi – spesso non riesce a fare. La sua voglia di felicità si scontra continuamente con il ricordo e il senso di colpa per la morte della sua migliore amica, che si pente di aver tradito pur non ammettendolo mai esplicitamente né a noi né a se stessa. Ha un’ironia pungente e sempre attenta, che spesso però vuole essere solo un enorme lenzuolo utile a coprire tutte le sue difficoltà. La sua perenne battuta pronta è infatti il più delle volte nient’altro che un modo per evitare o scavalcare quelle situazioni che hanno il potenziale di farle fare i conti con la realtà.

Le sue relazioni faticano a decollare sotto tutti i punti di vista. La sua famiglia è disfunzionale e basata su una lunga serie di presupposti sbagliati. Il dialogo è il più delle volte inesistente, lei non ha mai il coraggio di dire a suo padre quanto la scelta della matrigna sia sbagliata e quanto la disprezzi, cercando di mantenere una facciata che si sfalda costantemente ma che nell’incontro successivo sembra magicamente ricomporsi. L’affetto che prova nei confronti della sorella Claire è palesemente profondo, puro e ricambiato, eppure troppo spesso tra le due si innalzano muri difficili da abbattere. Per fortuna riescono in qualche modo a farlo sempre, ma a volte a caro prezzo. Quanto invece alle relazioni sentimentali, queste sono essenzialmente di due tipi: totalmente disinteressate ma sicure nella loro banalità (vedi il tira e molla infinito con Harry) oppure interessate solo al sesso.

Phoebe Waller-Bridge (640×360)

E proprio il sesso si rivela un elemento estremamente significativo

Fleabag ne è a dir poco dipendente, è al centro dei suoi pensieri e proprio il sesso è alla base del suo più grande rimpianto. Eppure, anche dopo “l’incidente” di Boo continua a essere così dominante nella sua vita. Ma perché? Semplicemente perché il sesso non è solo sesso, ma un modo per sentirsi piacente, accettata, voluta. A un certo punto è proprio lei ad ammetterlo: nel momento in cui nessuno desidererà più il suo corpo, allora sarà davvero finita. Quando anche l’ultima persona che la considera attraente non avrà più voglia di fare sesso con lei, allora la sua intera esistenza non avrà più senso. Fleabag non si sente amata e questo la fa scivolare lentamente in un baratro di cui il sesso è il fondo ma anche la salvezza, essendo ormai l’unica cosa che le dà la sensazione di essere viva.

Tutto ciò almeno fino a quando non entra in gioco il prete (sì, me ne sono innamorata al primo colpo anche io), colui che cambia le carte in tavola e che per primo e solo la vede per quella che è. Con il suo fare ironico e pungente almeno tanto quanto quello della protagonista, il prete è l’unico ad accorgersi di ciò che Fleabag fa dalla prima puntata: parlare con noi. La serie rompe costantemente la quarta parete, instaurando una comunicazione continua tra la sua protagonista – sola ma in perenne nostra compagnia – e un pubblico che la segue come se la sua vita fosse un Truman show al contrario, uno spettacolo del quale solo lei è a conoscenza. Ma poi arriva il prete: lui non sa che siamo lì, ma vede le stranezze di una persona che frequentemente lascia il suo mondo per parlare con noi. Il suo arrivo rivoluziona tutto: non catapulta il personaggio di Phoebe Waller-Bridge in un mondo in cui le cose vanno sempre bene, ma riesce a inserirla in un meccanismo di sincerità, ad amarla e quindi – forse – ad aiutarla a intraprendere un percorso di amore per se stessa.

Fleabag (640×360)

Fleabag non ha più bisogno di noi

Ci lascia andare per cominciare un cammino nuovo in cui non è più la protagonista del nostro intrattenimento ma della sua stessa vita. Finire questa serie mi ha lasciato addosso una sensazione strana, una gioia mista a nostalgia; ne sento la sua mancanza quasi come quella per un’amica che parte per un Paese lontano. Ma la verità è che, più di un’amica, il personaggio di Phoebe Waller-Bridge è stato per me un riflesso nello specchio. Ho adorato la sua serie ma ho in più di un’occasione odiato il suo personaggio almeno tanto quanto l’ho amato.

Come lei mi sono sentita estremamente sola e come lei ho pensato più volte di essere l’unica nel mio perenne sconforto. Come lei ho trattenuto tanti abbracci che avrei voluto dare e conservato parole in gola che avrei dovuto lanciare fuori, mi sono fissata sulle persone sbagliate e ho sentito quel brivido profondo che si prova solo quando si è con la persona giusta. Ho usato infinite volte l’ironia per proteggere me stessa e le mie convinzioni da una realtà che mi fa più paura di quanto mi piaccia ammettere, perché a volte è più facile raccontarla così che prenderla per ciò che è. Ho cercato tante volte di reagire a me stessa per diventare una migliore versione di me e ho fallito. E sì, ho odiato Fleabag proprio perché fallisce tanto quanto me e fa gli stessi errori nei quali cado costantemente. La amo e la odio perché sono proprio io. Siamo noi. E adesso sta a noi scoprire cosa c’è dopo il The End.