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Predator: Killer of Killers – La Recensione del film d’animazione disponibile su Disney+

Predator

ATTENZIONE! L’articolo potrebbe contenere SPOILERS del nuovo film del franchise di Predator.

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Da dove iniziare a parlare di Predator: Killer of Killers? Francamente continuo a non saperlo, pur avendoci riflettuto a lungo. Il film d’animazione, diretto da Dan Trachtenberg (già regista di Prey), vorrebbe proporsi come storia stand-alone che ruota attorno al mondo dei Predators, alla loro lore, pur inserendo un rimando proprio a Prey. Di cui però non vi faremo alcuno spoilers, forse. Laddove, però, Prey era riuscito davvero a ridare vita al franchise, con una vicenda fresca e tesa allo stesso tempo, Killer of Killers (disponibile sul catalogo Disney+ qui) appare come un lavoro incompiuto. La premessa per un film che non è mai stato realizzato e che, a dirla tutta, di cui non vogliamo vedere il seguito.

Era il 1987 quando il cinema d’azione e fantascienza fu scosso da una creatura che non aveva nulla del mostro classico e tutto del guerriero: il Predator.

Diretto da John McTiernan, proveniente dal successo di Die Hard, il film rappresentava un cortocircuito tra generi, una fusione fra l’epica muscolare dei commandos anni Ottanta e l’inquietudine dello sci-fi paranoico post-Alien. Lontano dallo spazio profondo, il film ambientava lo scontro nella giungla sudamericana, scenario già saturo di tensione geopolitica, guerra e mitologia coloniale. Nei meandri della boscaglia non si combatteva un nemico umano, ma un alieno appartenente a una razza di predatori e cacciatori, il cui status sociale è dato proprio dal numero di morti in campo.

L’icona visiva del Predator, creatura dotata di tecnologia avanzatissima ma anche di una brutalità rituale, nasce da un’intuizione estetica potente.

L’alieno ha tratti tribali e culturali, è un cacciatore che rispetta regole, distingue tra combattenti e innocenti, rifiuta la codardia. Siamo di fronte a un avversario che offre all’umano la possibilità di elevarsi al confronto mortale. Arnold Schwarzenegger (quando la seconda stagione di FUBAR?), nei panni di Dutch, si spoglia della tecnologia di Terminator e torna alla terra, al fango, all’arco e alla trappola. Il cerchio si chiude, il mostro tecnologico diventa lo specchio oscuro del guerriero primordiale. Il primo film puntava tutto sulla fisicità, molto parco di dialoghi e vibrante nella messa in scena. Il Predator rimane un mistero. Non ne conosciamo il nome, la lingua e neppure l’origine.

L’esistenza di un sequel era inevitabile. Ma Predator 2, diretto da Stephen Hopkins nel 1990, fa una scelta coraggiosa e sposta il campo da gioco nella Los Angeles del futuro prossimo, immersa nel caos, nella guerra tra bande e nell’anarchia urbana. Il nuovo protagonista, Mike Harrigan (Danny Glover), è l’opposto di Dutch. Non più un superuomo, ma un poliziotto stanco con tutte le falle umane del caso. Il Predator diventa qui una figura ancora più interessante. Si muove tra palazzi, metropolitane, fabbriche dismesse. La città, nella sua decadenza, si rivela giungla verticale, dominata da violenza e calore. Il film aggiunge tasselli al mito: la razza dei Predator non è un individuo isolato, ma una civiltà con navi, riti e trofei. Per la prima volta, intravediamo la struttura sociale del loro mondo.

Il protagonista Dutch nel primo film di Predator
Credits: Disney+

Due universi sci-fi si scontrano in Alien vs. Predator.

Con Alien vs. Predator (2004) e AVP: Requiem (2007), il franchise si spinge verso la collisione tra due icone del cinema horror fantascientifico. Il desiderio dei fan di vedere scontrarsi i Predators e gli Xenomorfi di Alien (in arrivo la serie tv sempre su Disney+) diventa realtà, ma il risultato è ambiguo. La parentesi arricchisce la lore della razza aliena, diverte gli appassionati e si conquista il titolo di cult di serie B.

Nel 2010, Predators cerca di riprendere in mano il cuore del franchise. Prodotto da Robert Rodriguez e diretto da Nimród Antal, il film sposta l’azione su un pianeta alieno dove un gruppo di “predatori umani” viene cacciato da una nuova razza di Predator geneticamente potenziati. Il protagonista, Royce (interpretato dal neo vincitore agli Oscar Adrien Brody) è un mercenario cinico, e il film si sforza di riportare la tensione dell’originale, giocando con il concetto di caccia e con un setting straniante.

Predators è ambizioso, con un cast stellare e un’idea di fondo ottima, ma non riesce ad andare oltre l’omaggio.

Peggio va con The Predator, del 2018. Il mito viene banalizzato, e il Predator ridotto a una mascotte violenta in una trama da blockbuster senz’anima. Poi, nel 2022, arriva Prey. Un film piccolo, silenzioso, ma profondamente consapevole. Dan Trachtenberg lo ambienta nel 1719, tra le tribù Comanche. La protagonista, Naru, è una giovane guerriera che deve dimostrare il proprio valore in una società che la ritiene inadatta. Quando un Predator atterra sul suo territorio, la sfida si trasforma in rito di passaggio.

Prey è un elegante capolavoro di equilibrio. Torna a raccontare la caccia come rito, come confronto tra intelligenze che devono lottare fino all’ultimo sangue per essere veramente accettati dalle rispettive tribù. Il Predator torna alla sua essenza, incarnazione di una morale guerriera inattaccabile, crudele eppure corretta. C’è il rispetto per l’avversario, l’onore, il sacrificio. Ed è proprio per via del successo ottenuto da Prey che il fallimento di Killer of Killers fa ancora più male.

Predator nel nuovo film d'animazione su Disney+
Credits: Disney+

Il filo rosso è, sembra anche scontato dirlo, il predatore per eccellenza dello spazio, giunto sulla Terra in tre epoche diverse per sfidare tre avversari degni di lui. Il primo racconto, “Lo scudo”, ha luogo nel 851 A.D, in epoca vichinga dove la capoclan Ursa, Valchiria dei mari, è in viaggio per vendicare la morte del padre avvenuta moltissimi anni prima e instradare il figlio Anders sulla via della battaglia. Ma lo scontro inaspettato con il Predator spingerà Ursa a chiedersi a cosa le sia servito tutta quella furia nel cuore.

Il secondo racconto, “La spada”, è ambientato nel Giappone feudale e vede protagonisti due fratelli, figli di un signore della guerra, che si ritrovano a unire le forze per sconfiggere la minaccia aliena. Il terzo e ultimo racconto, “Il proiettile”, prende avvio nel 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale, incentrandosi su un pilota aereo messicano, bloccato in cielo alle prese con un Predator. Ognuno di questi personaggi è spinto ai propri limiti, fino a superarli pur di poter sopravvivere e sconfiggere l’avversario. Ed è proprio in virtù di questa straordinaria forza d’animo che vengono scelti, dai Predator stessi, come “killer of killers”, nonché guerrieri supremi della loro razza e degni, dunque, di gareggiare nell’arena dei Predators. Questo è il belligerante modo di onorare l’avversario secondo i Predators.

Ogni racconto in sé funziona. Attraverso la storia di Ursa, Kenji e Torres, assistiamo non soltanto alla forza fisica di tre guerrieri del loro tempo, ma soprattutto a quella emotiva. Ognuno di loro vince contro il Predator, ma un costo altissimo, quello delle persone a cui vogliono bene. La profondità di questi personaggi viene accennata, ma mai davvero esplorata, in favore di un epilogo che rompe la tensione.

Proprio il finale del film risulta debole e incerto, scopiazzando la trama di Predators del 2018 e ponendo le non necessarie basi per un sequel, con tanto di easter egg.

L’animazione è un grande pollice in su. Se le vibes di Arcane e Love, Death e Robots vi piacciono allora sicuramente la pellicola incontrerà i vostri gusti. Tutti e tre i racconti presentano una tavolozza di colori distinta che passa dal blu dei ghiacciai scandinavi al grigio della guerra e delle sue armi, passando per il caldo arancione delle foglie autunnali del Giappone feudale. Un lato positivo che non riesce a compensare il totale senso di smarrimento e confusione provato a conclusione del film. La domanda fondamentale che rimane è: a che scopo? Dove si colloca esattamente Killer of Killers? Quale è in fin dei conti il valore aggiunto che la pellicola apporta al franchise? Francamente non penso che ce ne sia uno e ciò che è peggio è che non mi sono neppure divertita.