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Oxygène: un conto alla rovescia asfissiante

Oxygène è il titolo del nuovo film entrato a far parte – da soli pochi giorni – del catalogo della piattaforma Netflix. Il regista è già a noi noto per aver diretto altri progetti cinematografici, tra cui Piranha 3D e Crawl. Stiamo parlando di Alexandre Aja, appassionato di narrazioni opprimenti e claustrofobiche che non perde occasione di mettere in scena. Cambiano le ambientazioni e le storie ma i codici stilistici e le atmosfere si rivelano simili e il risultato di questo suo ultimo film non ne è una conferma.

In un tempo indefinito e imprecisato, una giovane donna, Elizabeth (Mélanie Laurent), si sveglia di colpo all’interno di uno spazio angusto e stretto che sembra non riconoscere. Si tratta di una capsula criogenica che circonda il suo corpo, il quale è avvolto da uno strato di polimeri e collegato attraverso alcuni fili a questa anomala struttura. Subito capiamo che le cose sarebbero dovute andare diversamente ma un guasto ha impedito al suo sonno di proseguire senza intoppi. La donna è in preda ad una profonda amnesia che le impedisce di ricordare dove si trova, le ragioni del suo stato e – cosa ben più grave – quale sia la sua identità.

Oxygène

Elizabeth non ricorda nulla del suo passato e, nel tentativo di scavare nella sua mente, si imbatte soltanto in un’enorme confusione di ricordi. Intanto, il tempo a disposizione per potersi tirare fuori sta scadendo poiché la sua riserva di ossigeno è pericolosamente vicina all’esaurimento. L’unico interlocutore costante di Elizabeth è M.I.L.O., una sorta di assistente virtuale programmato per soddisfare alcune richieste e negarne altre. Il cervello elettronico si palesa alla protagonista – e a noi – attraverso la sola voce, dunque privo di una materiale ubicazione all’interno della capsula. Impossibile non pensare ad HAL 9000, il super computer kubrickiano. Ha inizio così la nostra asfissiante esperienza con Elizabeth all’interno di questo claustrofobico spazio da cui uscire sembra impossibile ma nel quale anche le possibilità di sopravvivenza diminuiscono pericolosamente ad ogni secondo che passa.

Oxygène ci trascina con sé in questo vortice di paura, ansia e domande senza risposta.

Complice dell’atmosfera asfissiante di Oxygène è l’ambientazione pressoché identica durante tutta la durata del film, interrotta da qualche sporadico flashback che finisce per confonderci ulteriormente senza chiarirci nessun dubbio. Il conto alla rovescia della riserva di ossigeno ci ricorda costantemente che il tempo sta scorrendo, nonostante l’atmosfera generale all’interno dell’abitacolo sia quella di una sospensione totale in cui le leggi dello spazio e del tempo sembrano non avere effetto. Veniamo costantemente illusi, proprio come la protagonista, dell’esistenza di una possibile via di fuga, di un collegamento salvifico con l’esterno che possa svoltare la situazione e porre fine all’incubo. Ma i minuti scorrono, i contatti si rivelano inutili e l’illusione di poter sopravvivere svanisce. I salti nel passato di Elizabeth, inoltre, diventano sempre meno frequenti e così empatizziamo ancora più a fondo con le sue altalenanti emozioni.

Oxygène

Conosciamo soltanto dei frammenti scollegati, troppo esigui per poter ricostruire la storia della donna. Non conosciamo più di quello che lei sa, anzi, tutto ciò che vediamo è filtrato dalla sua memoria o da ciò che M.I.L.O. – l’unico altro personaggio della storia – decide di mostrarle a seguito delle sue richieste. La sequenza iniziale del film ci mostra un topo da laboratorio bloccato in un labirinto da cui gli è impossibile uscire e noi spettatori, giunti quasi alla fine del film, ci sentiamo bloccati e impotenti come lui.

La sceneggiatura di Oxygène, scritta da Christie LeBlanc, riesce a tenere alta l’attenzione durante tutto il racconto anche se non mancano i cliché del genere che, in certi punti, rendono prevedibile gli sviluppi immediatamente successivi. Il merito va riconosciuto, senza ombra di dubbio, a Mélanie Laurent, che con la sua interpretazione ci cattura e non molla neanche per un attimo. Complice la macchina da presa che le “sta addosso”, infatti, il suo viso occupa gran parte delle inquadrature del film e in ciascuna di esse l’attrice riesce a manifestare le diverse sfumature dello stato d’animo del suo personaggio. Costretta in un unico spazio, la Laurent si destreggia efficacemente nel catalizzare l’attenzione dello spettatore e a rendere intellegibile la sua inquietudine attraverso ogni parte del suo corpo. La regia di Aja spazia – seppur all’interno della capsula – tra dettagli, colori e particolari del corpo, ottenendo così l’effetto di un’atmosfera totale e non circoscritta ai singoli elementi.

Oxygène

Purtroppo Oxygène – nonostante abbia dimostrato di avere indiscusse qualità – sbaglia qualcosa e lo fa poco prima di concludersi. Tutta la suspense accumulata durante i primi 60 minuti di film circa finisce per dissolversi troppo in fretta, quasi minimizzando il complesso dedalo costruito fino a questo punto dalla trama. Il finale ci lascia perplessi, a tratti soddisfatti, mentre per altri versi amareggiati, un po’ delusi da questo epilogo abbastanza inconcludente e forse un po’ troppo melenso. Tutto si risolve in pochi istanti e fotogrammi, lo spettatore ha poco tempo per comprendere i fatti che stanno accadendo quando all’improvviso si trova di fronte a un’ultima sequenza banalmente preannunciata.

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