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Il film della settimana: Codice d’Onore

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Codice d’Onore.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Codice d’Onore? Ecco la risposta senza spoiler.

Disponibile su Sky Go, Now Tv e Timvision (a noleggio su Amazon Prime Video e Apple Tv), Codice d’Onore è un legal thriller militaresco del 1992 che prende il via dalla morte del marine Santiago, causata dal pestaggio operato dai commilitoni Downey e Dawson. Al tenente Joanne Galloway, però, non quadra qualcosa; sospetta, infatti, che ai due militari sia arrivato l’ordine non ufficiale chiamato “codice rosso”: consiste nell’impartire una tremenda lezione fisica ai soldati che non rientrano nei parametri fisici e comportamentali richiesti. Nel tentativo di ottenere un giusto processo per gli accusati, si affida al tenente Daniel Kaffee, brillante avvocato noto per essere disinvolto, anticonformista e bravissimo nei patteggiamenti. Nel corso del processo Galloway e Kaffee, assieme al loro collaboratore Sam Weinberg, affronteranno il rigido codice morale e la complicità dei gradi più alti dell’esercito, rappresentati dal tenente Jonathan Kendrick e dal colonnello Nathan R. Jessup.

Pur calato nelle tipiche convenzioni del dramma giudiziario, Codice d’Onore riesce ad andare oltre rivelandosi una pellicola profonda, che accende i riflettori su uno dei pilastri della società statunitense come i Marines, sulla loro morale dell’obbedienza e sulle loro gesta. Grande merito va alla sceneggiatura di un Aaron Sorkin all’esordio cinematografico, il quale costruisce dialoghi brillanti e personaggi tridimensionali, realistici, con valori diversi e in piena lotta tra loro. Nel cast stratosferico brilla un giovane Tom Cruise in una delle sue performance migliori, in cui mostra la crescita di Kaffee da avvocato incline alla via più facile al dover affrontare una causa vera, rivelando la grande umanità dietro l’apparente superficialità. La sua coscienza viene scossa prima dal senso di giustizia della Galloway di Demi Moore, poi dal cinismo del Jessup di un Jack Nicholson che ruba la scena a tutti, con sole tre apparizioni. Quest’ultimo, poi, aveva commentato così i soldi impiegati nel film:

È una delle poche volte in cui il denaro è stato ben speso”

Se non bastasse, aggiungiamo che Codice d’Onore è diretto alla perfezione da Rob Reiner. E che in esso è presente una delle scene più belle e adrenaliniche della storia del cinema. Quella zommata ed analizzata nella seconda parte.

SECONDA PARTE: L’analisi del confronto finale di Codice d’Onore

Codice d’Onore merita di essere visto anche soltanto per il confronto in tribunale tra Kaffee e Jessup. Una scena iconica, magnificamente scritta e recitata, bellissima in lingua originale tanto quanto doppiata (Roberto Chevalier e Michele Gammino ci regalano un capolavoro vero e proprio), costruita come se fosse una battaglia: è, infatti, il conflitto finale che ci indica chiaramente lo schieramento dei protagonisti e che avviene nel più piccolo spazio possibile, elevando così il senso dello scontro e d’insostenibile pressione. Il film si prepara a questo momento in primis mostrandoci qual è la posta in palio: disonore e prigione per i due accusati; reputazione professionale e non essere all’altezza del leggendario padre per Kaffee. Perché lo sa che quella è una causa persa; perché non è mai entrato in un’aula di tribunale, essendo il re dei patteggiamenti.

Ed ecco dunque il secondo elemento della battaglia: il campo del combattimento. Esso, più che il luogo fisico, rappresenta il regolamento che i personaggi non possono infrangere, che si tratti di codici di condotta, confini o armi autorizzate. Nei film giudiziari ci sono una serie di regole prestabilite: c’è il testimone sotto giuramento, interrogato dagli avvocati che, a sua volta, tentano di influenzare la giuria; tutte le parti in causa sono presenti nella stessa stanza ma parlano a turno; il giudice funge da arbitro della contesa. Inoltre, è progettato per creare quanti più ostacoli possibili al protagonista.

In Codice d’Onore la difficoltà aumenta poiché il terreno di gioco è un tribunale militare, con norme ancora più stringenti.

Ad esempio, Kaffee non può porre ai suoi superiori in grado la domanda che proverebbe la non colpevolezza dei suoi clienti: “Chi ordinò il codice rosso?” Quindi, deve ottenerne la confessione direttamente da Jessup; peccato che lui sia estremamente intelligente, un manipolatore emotivo, abbia un sistema morale diverso dal suo e che per questo non lo rispetti. Lo scontro, dunque, non riguarda solo l’esito del caso; a entrare in collisione sono due sistemi valoriali differenti, dove nessuno dei contenti si arrenderà senza lottare.

Codice d'Onore

Così arriva il terzo elemento della battaglia in Codice d’Onore, ovvero l’incremento della pressione. Di solito, nei pressi della fine, il conflitto tra l’eroe e l’avversario si intensifica a tal punto che la pressione sul primo diventa insostenibile. Ha sempre meno opzioni e lo spazio a sua disposizione si restringe letteralmente e/o metaforicamente. Per Kaffee la sconfitta sembra sancita, oltre dal non poter fare quella domanda, dal suicidio di Kendrick, suo testimone chiave.

In queste condizioni deve affrontare un processo in cui utilizza tutte le sue armi legali per sconfiggere il nemico. Prima lo disorienta con la minaccia di nuovi testimoni e di nuovo materiale probatorio che potrebbero smentire l’affermazione di Jessup riguardo il trasferimento di Santiago per la sua sicurezza. Avendolo innervosito, Kaffee passa all’espediente successivo, ovvero l’interrogatorio e la logica. Con questa lo intrappola per poter sfoderare le ultime risorse: la retorica e l’emozione, così da aumentare la pressione e spingere Jessup ad ammettere la sua colpa.

Vediamo come la stessa impostazione tecnica del duello finale sorregga questo schema e i tentativi di Kaffee di far crollare Jessup.

Kaffee è ripreso da un’angolazione dal basso, rendendolo l’unico personaggio visibile nell’inquadratura. Quando Jessup appare sullo schermo, invece, è visto da un’angolazione più alta e la ripresa è girata sopra la spalla di Kaffee, ostruendo parzialmente la vista. La decisione di mostrare questa parte del corpo dell’avvocato, in un momento incentrato sul colonnello, lo pone in una posizione dominante, nonostante quest’ultimo sia di grado superiore. Durante questi scatti, poi, vengono utilizzati mezzi primi piani per mostrare la crescente tensione nella stanza.

Intanto l’azione inizia a farsi sempre più intensa. Mentre Kaffee si allontana dal banco dei testimoni e torna al centro dell’aula, la telecamera si inclina verso il basso, catturando anche l’obiezione del capitano Ross ma rendendolo sfuocato e schiacciato sul fondo, un segnale di come l’accusa stia in qualche modo fallendo. L’azione va avanti e indietro con Kaffee e Jessup fermi nelle loro rispettive posizioni e con il primo che rischia il tutto per tutto, avendo esaurito le armi legali. Violando le regole, fa la domanda impronunciabile e arriva al climax dell’intera battaglia, racchiusa in quelle indimenticabili parole di Jessup che danno inizio al suo sfogo:

“Tu non puoi reggere la verità!”

Per il tempo in cui Jessup spiega le sue azioni, il primissimo piano di Nicholson (ripreso così per ampliare l’impatto della scena) è interrotto da inquadrature progressivamente più strette di Cruise, che da mezza figura passa al primissimo piano, per mostrare la rabbia e lo shock di Kaffee e rendere l’interazione ancora più accesa.

Lo sfogo del colonnello in Codice d’Onore è, poi, un mix di mezze, dure e cristalline verità. Ci viene offerto il perché delle difficoltà, delle rigide regole, delle condizioni brutali, dei viaggi lontani da casa, dei pericoli a cui si sottopone chi sceglie la vita in uniforme. Ma ciò non è una scusa per dimenticare i valori che dovrebbero sostenere, come fa Jessup coprendo lo scandalo e costringendo i suoi uomini a fare altrettanto. Infatti, con le sue azioni ha minato la virtù di coloro che vivono davvero seguendo le parole “onore, codice, lealtà”. Ha mentito e tradito, ordinato che i registri fossero falsificati per nascondere le sue tracce e lasciato una scia di corpi e carriere interrotte: Santiago, i due Marines sotto processo e Kendrick sono solo alcuni esempi.

Eppure, siamo davvero sicuri che Jessup abbia totalmente torto? Perché c’è chi si assume un onere sproporzionato e i rischi che ne derivano, affinché altri possano stare tranquilli e permettersi il lusso di non sapere quello che sa lui. E allora soldati come Santiago, considerati deboli e poco performanti, avrebbe potuto causare parecchie morti per la loro inabilità.

Codice d'Onore

Ed è questo che lo rende un momento così potente in Codice d’Onore.

Siamo costretti a considerare un punto di vista che potrebbe essere ritenuto eccessivamente severo nella migliore delle ipotesi, barbaro nella peggiore, e quindi razionalizzare in quali circostanze tali chiamate potrebbero essere appropriate. Con la durezza delle sue parole e dei suoi modi Jessup ci colpisce e ci fa riflettere, anche se siamo lontani dal suo sprezzante modo di intendere la vita e l’esercito. E forse, come dice lui, noi quella verità non la vogliamo davvero.

Ma la scena non finisce qui.

Quando volge al termine, la penultima inquadratura di Kaffee si ritira a metà ripresa, si inclina verso l’alto e, mentre lui si sposta verso il colonnello, termina con un primo piano sul viso di Cruise che chiede a Nicholson per ben due volte, una più intensa dell’altra: “Ordinò lei il codice rosso?”. Abbiamo quindi Jessup nell’angolo alto che urla: “Certo che l’ho ordinato, che c***o credi?”, prima di tornare al primo piano di Kaffee incredulo e vittorioso. Viene poi nuovamente inquadrato Jessup sempre nell’angolo alto, a dimostrazione della pressione e dell’intimidazione che stava subendo da parte dell’avvocato negli ultimi momenti e dell’enorme significato della sua confessione.

Ecco come Kaffee riesce, solo attraverso le parole, a ottenere un verdetto insperato. Quelle stesse parole con le quali Jessup deve difendersi, non potendo nascondersi più dietro la sua divisa. Fallendo poiché rapito dal bisogno di rendersi superiore all’avvocato e rimetterlo in riga. Ed ecco anche come si costruisce una delle migliori scene del cinema di sempre, senza musica, con quei primi piani che insistono sui volti degli attori, confrontando in questo modo la passione speranzosa negli occhi di Cruise e l’odio terrorizzato in quelli di Nicholson.

Giustizia così è meravigliosamente fatta. In tutti i sensi.

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