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Dal 15 giugno 2020, al catalogo di Amazon Prime Video si è aggiunta una nuova, imperdibile chicca: Dispatches from Elsewhere. La serie, composta da 10 episodi, è stata creata, prodotta e interpretata da Jason Segel, che ben ricordiamo per la sua iconica interpretazione di Marshall Eriksen in I How Met Your Mother. E allora eccolo di nuovo, questa volta alle prese con qualcosa di completamente diverso e difficilmente definibile.

La serie si è ispirata concettualmente al Jejune Institute, un Alternative Reality Game che, a partire dal 2008 e per i tre anni successivi, ha coinvolto più di diecimila cittadini di San Francisco. Lo scopo del gioco, raccontato in modo esaustivo nel documentario The Institute (2013), consisteva nel risolvere gli enigmi e svolgere le missioni assegnate dall’artista (e ideatore) Jeff Hull, il quale “reclutava” i giocatori e disseminava in giro per la città volantini e altri indizi su questo immaginario Istituto.

Probabilmente non se ne parla abbastanza, ma Dispatches from Elsewhere è un prodotto spiazzante e innovativo, che sfonda la quarta parete e accoglie lo spettatore in un mondo di misteri, colori ed emozioni, in cui perdersi per poi ritrovarsi completamente cambiati. Avete bisogno di altre ragioni per incominciarne la visione? Eccovi serviti.

Le molteplici chiavi di lettura di Dispatches from Elsewhere

Dispatches from Elsewhere

Le vicende si incentrano su quattro individui che, pur essendo molto diversi l’uno dall’altro, sono accomunati da un forte senso di inettitudine ed estraneità che impedisce loro di vivere appieno la vita. Peter, Simone (Eve Lindley), Janice (Sally Field) e Fredwynn (Andre Benjamin, noto come Andre 3000 degli Outkast) sono spettatori delle loro stesse esistenze che, per motivi diversi, decidono di partecipare al misterioso gioco promosso dal Jejune Institute e dalla Elsewhere Society. All’insoddisfazione di una vita mediocre si sostituisce ora il senso di esaltazione e il desiderio di portare a termine la missione che è stata loro assegnata: trovare Clara, la mente geniale di cui entrambe le società sembrano non poter fare a meno.

La trama si sviluppa in modo piuttosto contorto, lasciando spazio a dubbi e a libere interpretazioni, con un’impronta fantasy che mescola realtà e immaginazione e ci fornisce delle lenti speciali, per osservare il mondo da un’altra prospettiva. Come molte fiabe, Dispatches from Elsewhere ha più chiavi di lettura: non vi è un solo inizio, né un solo finale, ma ogni storyline viene racchiusa all’interno di un’altra e si ricollega a essa.

Possiamo guardare questa serie come un racconto surreale, che ci insegna a trovare la magia nel nostro quotidiano. Può essere un’avventura inconsueta alla ricerca della propria identità, oppure rappresentare quella fitta rete di rapporti umani di cui ogni singolo individuo si ritrova a fare inconsciamente parte, per quanto solo possa sentirsi. Siamo tutti, sempre, alla ricerca di qualcosa, e forse a volte basta solo guardarsi intorno.

Un gioco, un esperimento sociale o… qualcosa di più?

Come già detto, questa serie (che a nostro avviso è una delle più sottovalutate degli ultimi mesi) si basa sul gioco organizzato da Jeff Hull a San Francisco. Qui siamo a Philadelphia, ma il concept è lo stesso: i protagonisti devono fare squadra in una sorta di “caccia al tesoro” e portare a compimento le più svariate missioni. Partendo da questa premessa, è facile comprendere il motivo per cui ciascun membro del gruppo dà alla situazione un senso completamente diverso. Uno crede che si tratti di un semplice gioco fine a sé stesso, l’altro che sia una specie di esperimento sociale, l’altro ancora che sia tutto reale, e che il potere dell’immaginazione possa davvero portare la magia nel mondo.

Quale sia la verità (e se qualcuno di loro abbia eventualmente indovinato) è un mistero che vi lasceremo il gusto di risolvere, ma non è l’aspetto fondamentale. Ciò che davvero conta, infatti, è il modo in cui i quattro personaggi decidono di approcciarsi a questa avventura, e ciò che li ha spinti a farlo. Per la prima volta sono loro gli eroi della storia, o almeno si sentono tali, e la ricerca di Clara è al contempo un percorso verso una parte di loro stessi che avevano perduto o con cui, forse, non si erano mai confrontati. Lo stesso Jason Segel, in un’intervista, ha dichiarato che Dispatches from Elsewhere ricorda in un certo senso Il Mago di Oz:

Anche qui ci sono quattro personaggi alla ricerca di qualcosa – chi il cuore, chi il cervello, il coraggio, la casa – che troveranno solo affrontando un viaggio insieme, imparando il valore della comunità.

Un viaggio travagliato, che disorienta noi spettatori e ci fa brancolare nel buio, che ci regala dei piccoli pezzi del puzzle ma subito dopo ci dice che stiamo componendo quello sbagliato. Però, anche se non sembra, per tutto c’è un motivo e non si rimane delusi quando, alla fine del percorso, ci si ritrova con le risposte in una mano e un’esperienza televisiva unica nell’altra.

Sprigionate la vostra “Divina Nonchalance”

Dispatches from Elsewhere

Uno dei temi principali della serie è senza ombra di dubbio il concetto di “Divina Nonchalance”, uno stato mentale appartenente ad alcuni individui, che permetterebbe loro di vivere con un beato disinteresse per tutto ciò che rende la vita grigia, pesante, dura da sopportare. La Divina Nonchalance è ciò che porta il colore e l’energia positiva nel mondo, che permette all’immaginazione di sprigionarsi e all’adulto che è in noi di continuare a giocare con noncuranza e leggerezza.

Il termine sembra derivi dai Tarocchi, poiché compare sulla carta del Folle a indicare la libertà da qualsiasi inibizione, una scintilla speciale che instilla creatività e ispirazione in chi la possiede. Secondo questa credenza, molti artisti visionari hanno questo dono, e Jeff Hull deve aver pensato che anche Jason Segel ne fosse dotato, e così gli ha ceduto i diritti per lo show.

Cosa c’entra tutto ciò con la serie vi sarà chiaro quando vi appresterete alla visione: in Dispatches from Elsewhere la Divina Nonchalance è ovunque, e la stessa storia è raccontata con un atteggiamento divertito e disinteressato, conducendoci dove deve con la leggerezza di uno spiritello dispettoso. Eppure, la leggerezza non si tramuta in superficialità, e ogni elemento costituisce parte fondamentale dell’insieme, ogni emozione viene narrata ed espressa con incredibile delicatezza. Tutto ci spinge a trovare la nostra Divina Nonchalance, accompagnando Peter e i suoi amici nell’impresa.

Dispatches from Elsewhere è anche la nostra storia

Dispatches from Elsewhere

Ciò che più di tutto rende la serie speciale (e di motivi ce ne sono davvero tantissimi), è il fatto che, in qualche modo, parla di noi. Di tutti noi. Parla di amore, solitudine, diversità, insoddisfazione, cambiamento, desiderio di accettazione, mediocrità e ogni altro aspetto della vita quotidiana su cui forse non ci si sofferma mai quanto si dovrebbe. E fa tutto questo chiedendo di metterci, per il tempo di una puntata, nei panni di uno dei personaggi principali, facendoci immedesimare con qualcuno che in apparenza non ci somiglia per nulla e che invece ha molto da condividere con tutti noi.

Con una storia che oscilla tra i confini di fantasia e realtà, un cast incredibilmente capace, una fotografia colorata e vintage (ma anche molto innovativa), una struttura narrativa che ricorda tanto una matrioska e tanti colpi di scena incredibilmente furbi, questa serie si farà divorare dall’inizio alla fine senza lasciarvi scampo. Ecco perché dovete assolutamente guardare Dispatches from Elsewhere.

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