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Dead to Me, l’ironia della morte

Attenzione, l’articolo contiene spoiler sulle prime due stagioni di Dead to Me.

Parlare di una tematica così oscura, angosciante, ma terribilmente vicina a tutti noi come la morte non è mai facile. Eppure, negli ultimi anni, molte serie tv l’hanno trasformata in protagonista e ci hanno permesso di osservarla, provare a comprenderla e analizzarla da molteplici punti di vista. Abbiamo capolavori come The Leftovers, che fanno calare lo spettatore in un’atmosfera drammatica e inquietante, ponendo al centro dell’indagine le conseguenze del lutto. Oppure troviamo comedy frizzanti come The Good Place che, con grande freschezza e immediatezza, mescolano gli ingredienti del fantasy e della risata per creare una trama leggera solo all’apparenza, pronta a comunicare molto più del previsto. In questo mare magnum di serie tv che pongono al centro la morte, un po’ più in disparte e meno acclamata, troviamo Dead to Me. La produzione Netflix creata e prodotta da Liz Feldman e al momento composta da due stagioni di 10 episodi ciascuna non è la prima che balza in mente quando si parla di grandi titoli che trattano questo argomento, e forse è anche giusto così. Allo stesso tempo, però, Dead to Me non è affatto da sottovalutare perché nella sua semplicità e, soprattutto nella sua ironia, arriva dritta al punto e getta una luce divertente anche su questioni che, nella realtà, non lo sono affatto.

Dead to Me

L’inizio di Dead to Me è emblematico per la rappresentazione in piccola scala di tutto quello che accadrà più in grande nel resto della serie. Jen, interpretata da Christina Applegate, è una donna sarcastica e cinica, rimasta vedova da poco, che si ritrova a dover conciliare il dolore per la perdita con l’impegno di essere una buona madre per i suoi due figli. Nella sua prima scena, la vediamo avvicinarsi al buffet di un gruppo di sostegno, provare un caffè americano che la disgusta e impedire a una sconosciuta – Judy (Linda Cardellini) – di fare altrettanto. Un gesto banale, ma inaspettatamente altruista, perché ci accorgeremo subito che Jen è una persona incline a pensare al proprio tornaconto e a non vedere così facilmente il dolore altrui. Infatti, proprio nel mezzo della riunione del gruppo di sostegno, un momento che – almeno sulla carta – dovrebbe essere di raccoglimento e riflessione, Jen è preda di una crisi di nervi e comincia a inveire contro tutti e tutti, trasformando la scena in una sorta di farsa. Ed è proprio su questo gioco che si basa la serie: prendere situazioni drammatiche o serie e farle diventare grottesche, ridicole.

E altrettanto ridicola sembra, inizialmente, l’amicizia che nasce tra le due protagoniste che in comune hanno soltanto l’iniziale del nome, o almeno così pare. Jen è fredda, egoista e non ama particolarmente socializzare, mentre Judy sempre vedere il mondo attraverso delle lenti rosa e ha un sorriso per tutti. Eppure, in qualche modo, le due donne si trovano, si comprendono e mettono su una bizzarra coppia investigativa: il marito di Jen, infatti, è morto in seguito a un incidente stradale con una persona che non si è fermata per soccorrerlo e che la donna spera di poter trovare. Individuare il colpevole sarebbe per Jen anche un modo per mettere a tacere i sensi di colpa e i dubbi che la tormentano, perché spesso teme che per il bene dei suoi figli sarebbe stato meglio se a morire fosse stata lei.

Ma ecco che anche l’indagine, in Dead to Me, diventa tremendamente ironica.

Come si fa a trovare il colpevole quando per cercarlo ci sta aiutando proprio lui? Serve pochissimo tempo allo spettatore per capire che a uccidere il marito di Jen è stata Judy, e non si tratta di una svista narrativa. Non ci sono molti personaggi nella serie, la lista dei sospettati sarebbe stata comunque ristretta, e così il mistero è svelato fin da subito. Ma è proprio questo a rendere divertente l’intera indagine, perché l’attenzione dello spettatore non è volta alla scoperta della verità, quanto al voler vedere in che modo Judy riuscirà a insabbiare le prove contro di lei, fingendo di aiutare Jen a risolvere il caso. Tutto questo, inoltre, fa nascere delle domande sul personaggio di Judy: perché quella donna si è avvicinata di proposito alla moglie della persona che ha ucciso? Sarebbe stato più facile allontanarsi, fuggire, o anche solo non intrecciare volontariamente la propria vita a quella di Jen.

Dead to Me

Invece, Judy si mette in mezzo. Senso di colpa? Volontà di far pace con sé stessa? Questa scelta genera una riflessione più ampia sulla morte, perché mostra la differente prospettiva di chi ha causato e di chi ha subìto una perdita. In Dead to Me, però, gli equilibri si spostano in un secondo: Jen scopre che il marito non era così limpido come aveva sempre pensato, ma anzi, la tradiva con una donna più giovane. In un attimo tutto cambia, perché alla luce di questa rivelazione Judy si sente quasi soddisfatta per aver eliminato l’infedele marito di Jen e la vedova prova molta meno tristezza per la propria perdita.

Le indagini però non si fermano e tra momenti di grande sarcasmo e pungente ironia che danno a Dead to Me dei tratti quasi da soap opera, Jen si scontra con la verità e scopre che Judy e suo marito – che inizialmente Jen pensava fosse morto – sono le persone coinvolte nell’omicidio stradale.

Il finale della prima stagione di Dead to Me ribalta di nuovo la situazione.

Non c’è un freno alle situazioni grottesche della serie e il finale della prima stagione non sarebbe potuto essere da meno: Jen, in seguito a uno scontro verbale con Steve, il marito di Judy, lo uccide, diventando a sua volta carnefice. Una scena che dovrebbe causare solo sdegno, ma che – per come è costruita – fa scappare almeno un sorriso allo spettatore e crea dei presupposti ironici per la seconda stagione. Al centro dei dieci episodi del secondo capitolo, infatti, vi è l’occultamento del cadavere di Steve, che crea una serie di siparietti divertenti in contrasto con la gravità del fatto.

Ciliegina sulla torta è la comparsa di Ben, fratello gemello di Steve. Non è la trovata più originale di sempre, ma di sicuro un elemento che va a incastrarsi alla perfezione in quei tratti da soap opera che citavamo prima e che rendono la serie così bizzarra: quasi scontato che Ben si invaghisca di Jen, con le intuibili conseguenze. La donna si ritrova ad avere rapporti con un uomo pressoché identico alla persona da lei uccisa. Ancora una volta la morte viene quasi ridicolizzata.

dead to me

Eppure, nonostante tutto quello che si è detto finora, sarebbe sbagliato dire che Dead to Me sia solo una grottesca commedia. No, se la serie si fermasse qui, non varrebbe nemmeno la pena di parlarne. Il suo punto di forza, invece, è proprio quello di dare allo spettatore sempre e comunque la possibilità di guardare al di là di questo velo dissacrante e ridicolo. Non mancano i momenti di commozione, così come non mancano quelli di riflessione. Si ride, si alzano scetticamente le sopracciglia, si scuote la testa, ma ci si immerge anche nel cuore dei personaggi che, in fin dei conti, potrebbero essere persone che vivono accanto a noi. O potremmo essere noi stessi.

L’ultima stagione ci permetterà di chiudere il cerchio?

Dead to Me è stata rinnovata per una terza stagione la cui produzione è stata posticipata a causa della pandemia. Sarà interessante, appena se ne avrà la possibilità, vedere come verrà chiusa la serie. Al termine della seconda stagione, il gioco degli scambi continua con Ben che si scontra con l’auto di Jen e la donna che rimane priva di sensi: sembra tutto una serie di autoscontri. Ma la stagione finale come si concluderà? Il lato razionale e riflessivo prevarrà, in ultimo, a quello ridicolo? Avremo una morale? I personaggi troveranno finalmente il loro equilibrio e la loro pace interiore? Resta tutto da scoprire.

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