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Un’apologia controcorrente di Curon

Curon è stata rilasciata il 10 giugno sul catalogo di Netflix, ma già un paio di giorni prima la nuova produzione italiana del colosso streaming è entrata dentro un ciclone da cui fatica a uscire. La serie tv è stata completamente demolita dal pubblico, “morendo” di fatto alla nascita.

Quel che ci si è palesato davanti agli occhi è stato un neonato gravemente ferito. Non solo pugnalato, ma anche schernito con sdegno, additato come uno dei peggiori prodotti mai rilasciati da Netflix Italia.

Ma quanto c’è di vero? Curon ha meritato davvero tutto il livore dei social?

Se è vero che le opinioni sono soggettive e tutte ugualmente importanti, spesso se non dosate possono causare ingenti danni. Nel caso di Curon l’oggettivo e il soggettivo si fondono in un pericoloso gioco dai risvolti imprevedibili.

Curon

Abbiamo provato a vedere Curon senza pregiudizi, e siamo giunti a una semplice e banale conclusione: Curon è una buona serie, nonché un prodotto che potrebbe anche meritare un’adeguata promozione a livello locale e internazionale.

La storia, diretta dal regista e sceneggiatore Fabio Mollo, è ambientata a Curon Venosta, una delle location più particolari, suggestive e magiche dell’Alto Adige. La cittadina, situata sul confine con l’Austria, è famosa per il campanile che emerge dalle acque del lago di Resia, come unico superstite dell’antico borgo.

Curon

Ma ad emergere da queste acque non è solo la Storia e il ricordo degli abitanti della Val Venosta ma anche il coraggio di una produzione italiana che tenta di uscire dai suoi generi triti e ritriti. E lo fa prendendo il meglio delle impostazioni narrative estere, riadattandolo a un linguaggio coerente con il nostro paese.

Gli attori di Curon, giovani ed esordienti, mettono in scena quella che tutto sommato è una buona prova.

La recitazione infatti è estremamente coerente e naturale con l’età dei protagonisti. Il cast regge abbastanza bene il contesto. Le emozioni sono veicolate con dirompente semplicità senza mai scadere nell’enfasi, come invece accade per qualche attore adulto, (basti pensare alla madre dei due gemelli protagonisti).

In particolare Luca Castellano, l’interprete di Lukas, spicca per bravura, divenendo forza trainante dell’intera recitazione. A onor del vero, c’è da sottolineare l’evidente accento romano dei protagonisti: un difetto tuttavia relativo e tipico delle produzioni italiane e non solo.

Se si osservano molti prodotti in lingua originale sarà infatti possibile ascoltare diversi accenti, non sempre coerenti con l’idioma specifico del posto. Questo “difetto” in Curon va a braccetto con una qualità audio non sempre apprezzata. La nostra abitudine nel vedere le serie tv doppiate, spesso di stampo americano, diventa un limite nel momento in cui osserviamo una recitazione in presa diretta, dove l’audio non è sempre pulito.

Questo è dovuto in parte a un paio di attori adulti che non sempre scandiscono le parole pronunciate, ma soprattutto a una scelta del sonoro non del tutto artificiale. Curon è una serie che vuole osare, e non lo fa solo nel genere ma anche nella sua resa tecnica. Il primo esempio di questo lo abbiamo nelle musiche, che rievocano una sperimentazione continua, in alcuni casi poco riuscite (soprattutto nei primi episodi), per poi migliorare man mano che ci si avvicina al finale di stagione.

La fotografia, con i suoi filtri blu e i colori cupi, immerge nella tensione e nel mistero.

Anche durante le scene diurne, sembra di vivere un leggero senso di oppressione e di osservare una notte senza fine. È un gioco fatto di luci, primi piani e dettagli. Tutto ciò viene amalgamato alle meravigliose location che rendono ogni intenzione più realistica.

Un aspetto davvero interessante in Curon è il simbolismo intrinseco.
Il tema del doppio viene affrontato in maniera decisa attraverso la scenografia e la fotografia, in cui spesso ricorre il numero due. I due lupi, i due gemelli, le due porte, le due madonne, le due uova e così via. Talvolta sono elementi palesi, altre volte sono dettagli curiosi ma volutamente ricercati all’interno della storia.

Curon

La scrittura di Curon non c’entra niente con altri titoli come Stranger Things e Dark: sarebbe insensato fare paragoni che, purtroppo, sul web non hanno tardato ad arrivare. Sono titoli diversi per budget e impostazione narrativa. Curon ne riprende solo il filone fantascientifico riproponendo dei cliché, che in quanto tali (soprattutto per un primo prodotto italiano di questo genere) sono vincenti.

Ma allora perché questa serie potrebbe non avere un futuro?

Per svariati motivi. Probabilmente per aspettative ormai troppo alte che, per una produzione italiana al suo primo tentativo nel genere possono risultare ingenerose, visto che i capolavori difficilmente riescono al primo colpo; magari perché c’è chi non ha apprezzato un linguaggio per un pubblico di tutte le età, e come tale ha pensato che fosse un prodotto per adolescenti.

Una delle condanne di Curon potrebbe essere quella di sfoggiare la nostra bandiera. Un neonato dato già per spacciato, che avrebbe invece bisogno di essere incoraggiato per far sì che in futuro possa diventare un adulto fiero di sé.

Leggi anche – Curon: la recensione della prima stagione