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Christian e il bisogno disperato di speranza

Nuje vulimm ‘na Speranza, cantano Ntò e Lucariello in quella che è ormai da anni conosciuta per essere la canzone dei titoli di coda di Gomorra. Per cinque stagioni alle scene crude e spesso brutali della serie si è messo fine con una colonna sonora che evidenzia le difficoltà della vita in un contesto caratterizzato da violenza e criminalità, ma che contemporaneamente sottolinea il bisogno di speranza, la necessità di credere che domani le cose potrebbero essere diverse, migliori. Oggi non parliamo di Gomorra, ma di una serie che con questa condivide diversi elementi, fra i quali proprio l’accento sul bisogno, a volte disperato, di speranza: Christian.

Christian è una produzione Sky original che ha visto la luce all’inizio del 2022 ed è una serie che merita davvero di essere vista. È fatta bene, sceneggiatura e fotografia non hanno niente da invidiare a produzioni molto più grandi, nemmeno a quelle che sono riuscite ad arrivare al successo internazionale. La storia fa riflettere e lascia il giusto quantitativo di amaro in bocca, ma lo fa con uno stile contemporaneo e a tratti pop che la rende estremamente piacevole. Se non l’avete ancora vista, vi basti sapere che si parla spesso di carbonara.

Ma i piatti tipici della tradizione laziale non sono l’unica tematica meritevole che ritroviamo fra le puntate di Christian.

Si parla delle periferie, della malavita, della religione, della capacità di perdonare e del tema sul quale, appunto, ci soffermiamo oggi: la speranza. Le vicende sono ambientate nella periferia romana, in un contesto in cui la criminalità organizzata è forte ed entra nelle vite delle persone influenzandone ogni movimento. Il protagonista è – manco a dirlo – Christian, che di mestiere fa il picchiatore al servizio di un boss locale, Lino. Christian fa della violenza la sua firma, ma il racconto della sua realtà mette fin da subito lo spettatore anche davanti al suo lato di figlio amorevole di una madre con seri problemi di salute. Insomma, non sembra un uomo intrinsecamente cattivo, ma una persona che ha all’attivo delle scelte sbagliate connesse soprattutto al contesto in cui è cresciuto (un contesto del quale si capisce di più nel corso delle puntate, ma non voglio rischiare di rovinare tutte le sorprese). La sua vita scorre piuttosto tranquilla fino a quando non compaiono sulle sue mani i segni delle stigmate e con le stesse mani comincia a praticare diversi miracoli, uno fra tutti quello di riportare in vita i morti. Se trovate somiglianze fra questa trama e una certa storia biblica non avete tutti i torti, ma neanche tutte le ragioni.

Spoiler a parte, le vicende narrate nelle sei puntate della serie sono uno spaccato della vita in un contesto difficile.

La Roma di cui parla è una di quelle zone nelle quali lo Stato è assente e il monopolio della forza legittima è in mano a boss che pensano di essersi guadagnati, ma in realtà hanno solo preso con la forza, il rispetto dei cittadini. Ma la storia di Christian è anche il racconto di queste stesse persone che spesso si ritrovano ad accettare in silenzio lo status quo, senza però perdere la speranza che le cose possano andare meglio. La speranza di un miglioramento è nascosta sotto un velo di paura e tacito consenso. Ciò non significa che non ci sia, ma solo che su di essa hanno sedimentato non pochi strati di diffidenza, problemi, minacce, dubbi che è difficile mettere da parte. In alcuni casi è impossibile. Ma in altri basta un attimo, basta che questa speranza rifiorisca al momento giusto per cambiare le cose per davvero.

In Christian questo momento c’è, ed è raccolto in una scena che rende reale ciò che per tutto il resto della serie è solo un pensiero. Siamo in Chiesa, un luogo che non può che essere rilevante in un prodotto che fin dal titolo si situa in quel limbo tra sacro e profano in cui spesso si ha paura di entrare. Italia, la mamma di Christian, è sul pulpito, sta leggendo un passo. Da tempo ormai ha in mente un pensiero che sta diventando un vero e proprio tarlo: e se quello comandato da Lino non fosse l’unico mondo possibile? Potrebbe essercene un altro, uno più giusto, e il fautore potrebbe essere proprio suo figlio. Scatta qualcosa, la molla che trasforma il pensiero in azione, e Italia è lì su quello stesso pulpito per una predica diversa, affermando che è ora di dire basta a quella che tutti sanno essere una realtà deviata. È ora di riprendere in mano la vita. Questa scelta ha dei risvolti molto importanti (ancora, quanto è difficile non spoilerare troppo?!) che riguardano personalmente proprio colei che l’ha compiuta, ma come nella vita vera non ci sono azioni senza conseguenze. E quanto più le scelte sono importanti, tanto più questa regola vale.

Christian

Italia punta tutto su suo figlio.

E come darle torto? Lo conosce, lo ama, resuscita i morti: Christian sembra essere il cavallo vincente, colui che può essere davvero in grado di dare il via a una nuova era. Il punto però è che non sempre le cose sono come sembrano. A volte abbiamo così tanto bisogno di credere in qualcuno da non accorgerci del fatto che la persona alla quale ci stiamo affidando non è quella che crediamo sia. Confondiamo la lana con la seta, la pancetta con il guanciale, Gesù con l’Anticristo. È un attimo. Perché non sempre vediamo ciò che abbiamo davanti, a volte vediamo solo ciò che vogliamo vedere.

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