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Chernobyl 1×04 – Quello che deve esser fatto

Chernobyl
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Il quarto e penultimo episodio di Chernobyl inizia con l’ampliamento della cosiddetta “zona di esclusione“. L’evacuazione di un raggio più ampio di territori intorno allo stabilimento nucleare, caldeggiata da Legasov, era stata finalmente deliberata. Nel secondo episodio abbiamo visto le operazioni di svuotamento di Pryp”jat’. I suoi palazzi alti e austeri lentamente spogliati della vita che li riempiva, i banchi vuoti delle scuole e le corsie degli ospedali improvvisamente deserti.

La città aveva meno di vent’anni. Era stata costruita per ospitare gli operatori della centrale nucleare e le loro famiglie. Per quanto sia drammatico e devastante l’abbandono improvviso della propria casa, delle sicurezze e della vita conosciuta, nessuno dei cittadini di Pryp”jat’ aveva radici profonde in quella terra.

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Una casa è pur sempre un legame forte con un territorio. Ma nel caso di Pryp”jat’ si trattava di un legame acerbo. Quando la zona di esclusione è stata ampliata però, anche le zone rurali sono state evacuate. Le campagne, i villaggi e le fattorie sono diventate cupe cartoline di desolazione. L’epilogo più sofferto per esseri umani divelti dalle proprie sicurezze come gli alberi di Chernobyl dalle loro fondamenta contaminate.

Quelle sì, erano terre piene di radici.

Il penultimo episodio della miniserie Chernobyl inizia con l’immagine di  un’anziana signora impegnata a raccogliere il latte di una delle sue mucche. Un soldato le intimava di liberare la sua casa e andare via. Per il suo bene. Ma quella donna aveva sempre vissuto lì, nonostante le guerre, le invasioni e le carestie.

Adesso dovrei andar via per qualcosa che non posso nemmeno vedere?

L’inizio della 1×04 presenta subito l’eterna distinzione tra il fare ciò che si desidera e il fare ciò che deve esser fatto. Il discrimine è sospeso tra queste due soluzioni ed è il bene comune. “The Happiness of All Mankind” è il titolo dell’episodio che per buona parte mostra gli effetti del disastro nucleare visti dagli occhi dei cittadini reclutati come liquidatori. Più di mezzo milione di uomini impegnati nella decontaminazione della zona di esclusione.

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Mentre a Kiev, quattro mesi dopo la morte di suo marito, Lyudmilla entra per la prima volta nel suo nuovo appartamento col pancione e lo sguardo provato, rivolto fuori dalla finestra. Così com’era nel pilot al momento dell’esplosione, vista dalle fenditure della sua casa e all’ospedale di Mosca con Vasily in fin di vita (ne abbiamo parlato nella recensione del terzo episodio).

Legasov e Shcherbina, ancora nei pressi della centrale nucleare, si trovavano a dover elaborare un piano per liberare il tetto dello stabilimento dalla grafite. Operazione necessaria e propedeutica alla costruzione di una copertura per il nocciolo, ancora esposto all’aria a quattro mesi dall’esplosione.

C’erano dodicimila Roentgen l’ora sulla porzione di tetto della centrale di Chernobyl più a ridosso del vuoto causato dall’innesco fatale.

Una quantità di radiazioni sufficienti a dimezzare l’aspettativa di vita di chi ne è esposto in soli tre minuti. In piena Guerra Fredda, le alte sfere sovietiche non avrebbero mai accettato di chiedere in prestito agli Stati Uniti una tecnologia in grado di liberare il tetto dalla grafite. Allo stesso modo, impiegare degli esseri umani in un lavoro del genere appariva impensabile.

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Non siamo riusciti a portare un uomo sulla Luna almeno riusciremo a tenere un uomo lontano da un tetto!

Alla pronuncia di queste parole Shcherbina non era consapevole che nessuna tecnologia, né i rover lunari né i robot utilizzati dalla polizia dell’ovest della Germania avrebbero potuto completare il lavoro. Solo l’uomo poteva farlo. La brevità dei turni di lavoro sulla porzione di tetto descritta come il luogo più pericoloso del mondo e soprannominata Masha, erano l’unica soluzione per non condannare a morte quegli uomini.

Dunque 90 secondi per uscire sul tetto e gettare blocchi di grafite che arrivavano a 50 kg di peso giù nel nocciolo scoperto della centrale, con il solo ausilio di una pala. Un piano sequenza di 90 secondi ci racconta la difficoltà dell’operazione, la frenesia e il terrore. Un minuto e mezzo di un tempo che sembra essere dilatato all’ennesima potenza, scandito sempre dall’incalzante suono metallico dei contatori geiger.

Una scena da brividi, che lascia col fiato sospeso come nei migliori film horror.

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Ma è la realtà di quanto avvenuto. Una realtà che non smette di straziare. Attraverso il reclutamento del giovane e inesperto Pavel tra i liquidatori infatti, veniamo a conoscenza di un’altra categoria di mansioni relative alla decontaminazione della zona di esclusione. Quando nel quarto episodio di Chernobyl il veterano della guerra in Afghanistan Bacho spiega al giovane di cosa si dovrà occupare, ci si può sentire pervasi da un moto di orrore.

Una parte dei liquidatori infatti, si occupava delle operazioni di evacuazione, un’altra del disboscamento e un’altra ancora della caccia.

Gli animali sono radioattivi. Devono morire. Ma non sarà difficile perlopiù sono animali domestici. Sono felici di vederti, ti vengono incontro.

Ci viene mostrata una delle parti più dure della tragedia di Chernobyl. Alcuni militari infatti erano stati chiamati per aggirarsi nei villaggi evacuati con l’ordine di uccidere ogni animale presente. Quelli che in un passato drammaticamente vicino erano stati compagni di vita di qualcuno, rappresentavano ora una minaccia. Così come altre creature libere che vivevano nei boschi circostanti.

Fare ciò che si deve, fare ciò che si desidera.

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Prima di sparare il primo colpo della sua vita, Pavel aveva ceduto al desiderio di tirarsi indietro. Con dei versi maldestri aveva tentato di scacciare un cane per non essere costretto a sganciare quel colpo. Quando però l’animale ha iniziato ad abbaiare Pavel ha fatto ciò che doveva fare: gli ha sparato.

Gli era stato ordinato così. Ma l’animale non è morto sul colpo e la sua esitazione prima di finirlo ha reso quegli istanti ancor più terribili. Bacho lo aveva avvisato:

Non farli soffrire, o ti ammazzo…

Così era arrivato lui a finire il lavoro, chiaramente assuefatto alla sua brutalità ma non per questo indifferente. Il penultimo episodio di Chernobyl ha evidenziato come dopo l’esplosione del reattore 4 della centrale si siano susseguiti una serie di drammatici effetti collaterali. Orrori che non avremmo mai immaginato.

La scena in cui Pavel trova dei cuccioli di cane nascosti in un appartamento con la loro madre è angosciante e drammatica.

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Sarà di nuovo Bacho a finire il lavoro per lui. La loro missione era “La Felicità di tutto il Genere Umano”. Perché tutti stessero bene era necessario. Sentiamo solo degli spari, mentre Pavel si avviava fuori dal palazzo con lo sguardo basso e sofferente. Bacho aveva fatto ciò che doveva fare. Altro cemento fresco stava per ricoprire i corpi di quei poveri animali.

Intanto Ulana Khomyuk continuava la sua ricerca della verità. In una pubblicazione del 1976 sul funzionamento dei reattori RBMK la scienziata aveva scoperto che alcune pagine erano state strappate. Ma l’indice non era stato modificato e il tentativo di secretare le informazioni contenute in quelle righe era riuscito solo per metà. Il puzzle della realtà cominciava a prendere forma.

Così quando nel dicembre 1986 Legasov, Shcherbina e Khomyuk si sono confrontati sugli sviluppi del disastro, le cause dell’esplosione del reattore iniziavano ad essere chiare. Dyatlov, Fomin e Bryukhanov sarebbero stati processati. Erano sicuramente stati colpevoli di imperizia e negligenza. Ma non era tutto lì. La verità faceva paura, i Servizi Segreti Sovietici avrebbero fatto di tutto per impedire che venisse a galla il malfunzionamento di quel tipo di reattore (in uso in altri stabilimenti nucleari in Unione Sovietica).

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Legasov e Ulana lo sapevano. Ma mentire sarebbe potuto essere il primo passo verso un’altra Chernobyl.

Il finale di questo quarto episodio di Chernobyl accompagna lo spettatore verso la piena comprensione dei fatti. La sensazione è che l’ultimo episodio chiarirà completamente gli avvenimenti della notte del 26 aprile 1986. Ma negli ultimi minuti della 1×04 c’è ancora spazio per la sofferenza. A Kiev Lyudmilla ha dato alla luce una bambina, ma tramite le parole della dottoressa Khomyuk scopriamo che la piccola è sopravvissuta per sole quattro ore dopo la nascita.

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Aveva assorbito tutte la radioattività alla quale la sua mamma si era esposta per rimanere vicino al suo papà nei suoi ultimi istanti di vita. La donna sentiva di fare ciò che andava fatto rimanendo mano nella mano con Vasily. Questo coincideva con quello che desiderava fare, ma non sapeva quanto alto fosse il prezzo da pagare. Un’altra esistenza consumata dalle radiazioni. Un altro dolore sotto il cielo cupo di una nazione che non tornerà mai più la stessa.

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