Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » Black Sails » L’importanza di Black Sails nella storia delle Serie Tv

L’importanza di Black Sails nella storia delle Serie Tv

Sembra passata una vita dall’utima volta che abbiamo solcato i mari di Black Sails e, a pensarci bene, era il 2017 quando la serie tv prequel di L‘isola del Tesoro di Stevenson ammainava definitivamente le sue bandiere nere. Di anni, quindi, ne sono passati, ma se guardiamo indietro è simbolico come nulla del ricordo della serie tv sia andato corrotto ma, anzi, si sia impreziosito con il tempo. Alla pari di quel galeone spagnolo Urca de Lima che i nostri protagonisti cercano disperatamente e con avidità per soddisfare ognuno i propri desideri, così, anche per noi, Black Sails assume i tratti di un tesoro inestimabile che acquista valore con il tempo.

Per molti dei nostri lettori queste parole introduttive sembreranno sicuramente esagerate ma chi ha visto sa, e chi sa ricorda. Insomma, fare parte del fandom di Black Sails è un po’ come essere membri di una setta esclusiva, senza tutte quelle accezioni poco simpatiche che di solito ci vengono in mente quando si parla di setta. Ecco, facciamo che è come essere membri di un club esclusivo e non se ne parli più. In primis, perché non proprio tutti in Italia conoscono Black Sails e quindi parlarne ci rende un po’ dei conoscitori seriali di un certo livello. In secondo luogo, perché nella vasta vasca piena di pesci-prequel che nuotano pigramente, lo show Starz è stato uno squalo di ferocia. Ultimo ma non ultimo, la serie tv creata da Jonathan E. Steinberg e Robert Levine ha finalmente dato dignità al genere piratesco.

Black sails
Long John Silver e il Capitano Flint (640×360)

In un’epoca Disney-centrica, in cui la figura di Jack Sparrow si è sedimentata nell’immaginario collettivo come quella del “Pirata”, Black Sails cambia le carte in tavola.

La realtà storica si intreccia indissolubilmente all’immaginario letterario del romanzo d’avventura di Robert Louis Stevenson. Così troviamo Calico Jack e Charles Vane accanto al capitano Flint, Long John Silver e Billy Bones ma non solo, tutti all’inseguimento dello stesso tesoro ma per ragioni diverse. Realtà e fantasia si mescolano e si confondono, fino a non sapersi più ben distinguere l’una dall’altra. Ma poco importa, perché dopo solo due episodi siamo già talmente immersi nell’avventura da non porci più di tanto il quesito se quello che stiamo guardando sia accurato o meno. Il coinvolgimento è totale. La storia di Black Sails, per quando inverosimile, ci sembra assolutamente plausibile, perché i protagonisti non sono mostri marini, creature leggendarie e bucanieri macchiette ma pirati, fuorilegge, banditi e assassini che ci appaiono più veri che mai.

L’Urca de Luma è la quete che unisce i cammini dei personaggi verso un’unica direzione. In questa massa di anime dannate, spicca Flint (Toby Stephens). Il personaggio, solamente accennato nel libro di Stevenson, ha finalmente la possibilità di dire la propria, di raccontare la sua storia a modo suo. E che modo. Nell’arco di quattro stagioni, la figura di Flint non smette mai di evolversi fino ad assumere il simbolico valore di titano in lotta contro gli dei. Flint è il residuo di un mondo che sta scomparendo, inghiottito dalla modernità. Un momento storico realmente avvenuto, in cui, a un certo punto, la pirateria viene annientata e con essa un intero immaginario sanguinoso ma anche, profondamente, libero.

black sails
Anne Bonny e Jack Racham (640×325)

A un’occhiata superficiale, Black Sails potrebbe apparirvi solo come un’altra storia sui pirati. Ma vi sbagliate di grosso.

Black Sails è una sinfonia di intenti (resa chiaramente da quell’opening da brividi orchestrata da Bear McCreary), in cui la narrazione e la costruzione dei personaggi diventano il vero tesoro su cui mettere le mani. Per ogni James Flint assetato di vendetta e distrutto dal dolore, esiste un John Silver ambizioso e senza scrupoli. Per ogni Charles Vance selvaggio e primordiale, esiste un Calico Jack ingegnoso e caparbio. Così anche le donne sono molteplici: lascive, perturbanti, scaltre, sincere, leali e indipendenti.

Eppure, alla fine di tutte queste avventure, esiste una morale ben più profonda. Noi siamo le storie che diventiamo. Se Black Sails è davvero un prequel di L’isola del Tesoro, a cosa dobbiamo dare più credito? Diciamo che è come se la serie tv ci stesse dicendo “questa è la storia vera, quell’altro è solo finzione”. Alla luce di questa interpretazione, i personaggi vengono smitizzati, scendono dal piedistallo e ci appaiono in tutta la loro vulnerabile umanità. Sono le storie che raccontiamo a tramandare il ricordo di chi abbiamo conosciuto e, magari, amato. Non è forse così anche per tutti noi? Sono i ricordi, siano essi a voce o scritti, che permettono a un individuo di vivere, davvero, per sempre.

Barbanera (640×360)

Perché dunque Black Sails rimane una perla nera preziosa e inestimabile nel panorama seriale? Per tutti i motivi già detti nell’introduzione e per molto altro ancora. Ogni visione dello show nasconde un’ulteriore chiave e di lettura e, badate, se ci si limita a un binge-watching si tratta comunque di una serie tv da tripla A. Black Sails rompe le regole e riscrive il gioco come piace a lei. Così non si tratta solo di un prequel ma di una storia con un’identità ben distinta, non si tratta solo di fantasiosi pirati dai modi eccentrici ma di un passato pericoloso e reale a lungo dimenticato, non si tratta solo di avventure ma di un viaggio nelle tumultuose passioni umane.