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Be Right Back ci fa soffrire tremendamente ogni volta che la rivediamo

Prima di rivedere questa puntata ho esitato parecchio. Sapevo già come sarebbe andata la storia, quale sarebbe stata la fine, ma chissà perché sentivo il bisogno di rivederla. Con Black Mirror non è mai semplice, ma qui è stato come se mi fossi dovuta immergere di nuovo in una brutta storia e doverci restare bloccata per 50 minuti per poi smettere l’apnea.

È una delle puntate più tristi e al contempo strane della serie. Sfrutta un tipo di dolore che tutti sperimentano e che nessuno è mai riuscito ad allontanare. Neanche chi sembra vivere il dolore meglio di chiunque altro, come Sara che dà inizio a un’esagerazione che ha però del senso. La sua appropriazione indebita del dolore dell’altro permette alla protagonista, e a noi di rimando, di avere un’idea di quello che potrebbe accadere, della felicità artificiale e di come potrebbe essere vivere il presente con la chiave di un passato che si riaffaccia.

L’ambientazione che viene utilizzata mantiene chi sta vivendo e chi guarda in un limbo costante. I colori, la calma apparente, tutto è devastante ma in maniera subdola. Come un messaggio subliminale che rimane lì, un sottofondo che ti investe in profondità senza mai rivelarsi come feroce. E l’isolamento da una società inesistente, a cui non viene dato neanche un attimo di notorietà, se non telefonicamente o nella figura della sorella di Martha. Può non essere fondamentale, ma importante, non avere nessun tipo di relazione se non a chilometri di distanza. La società inesistente che si palesa solo negli eventi che portano a quello che viene considerato uno sbaglio, l’Ash sbagliato.

Black Mirror

È la manifestazione più angosciante e terrificante della solitudine forzata di Martha. Costretta a non avere con lei la persona che ama, solo ricordi di un uomo ormai svanito. Tutto quello che è stata la persona a cui tiene è parte della sua idea di lei, ogni dettaglio è legato al suo ricordo. E ognuno di questi dettagli è fondamentale affinché riesca a sentirsi al sicuro.

Ed ecco perché a volte nella tristezza riusciamo a essere felici, riusciamo a tornare indietro per un attimo dimenticandoci, o non prestando attenzione, all’assenza reale di un qualcosa che effettivamente manca. Siamo Martha quando vuole smettere di sentire dolore, copia i suoi ricordi e ne costruisce un altro, perfetto, una copia severa e totale di ciò che c’era prima. Sembra non sentire più dolore, ma non è umano, non è accettabile essere schiavi di una copia della felicità, e così subisce la perdita in maniera continua e costante. Si adegua al rumore di fondo del suo stesso stato di limbo. Cerca di capire come si faccia a imparare a soffrire, ricorre alla tecnologia, proprio ciò da cui Ash è ossessionato, può sostituire le persone, ma la morte è ancora troppo grande, troppo strana e decisa per essere demonizzata e sconfitta in questo modo.

Quello che questa puntata è. Solo un attimo del tempo che passiamo a pensare, a riflettere su quello che abbiamo perso, su come potremmo riuscire a ricostruirlo attraverso i ricordi e la storia passata. Perché è quello che ci resta, l’unica cosa su cui possiamo contare. Eppure il tempo continua a passare e gli attimi vengono registrati da tutti e anche da noi, ogni storia continua a diventare ricordo, basta che il tempo passi, scorra. Black Mirror ci ha sempre messi davanti a una realtà futuristica, distopica, ma così tanto probabile da essere inquietante.

Black Mirror

La prima puntata della seconda stagione però non dà inquietudine, ma lascia il segno, diventa la costruzione artificiale di un tema che ci invita a riflettere. Ma non per un semplice obbligo che solitamente abbiamo verso una bella puntata di una serie, ma come una storia che non è la nostra ma che ci tira in ballo spontaneamente.

Senza sotterfugi e senza artefatti, Black Mirror diventa parte del nostro dolore.

Solo un semplice, costante rumore di fondo, che da inizio puntata fa da pentagramma a tutta la trama. Guidata dal tempo e rotta in alcuni punti dalla pretesa legittima di non essere più soli. Di avere qualcosa indietro e di non lasciarselo scappare più.
Ma poi la linea in picchiata si riprende, ci si sveglia da quell’attimo in cui abbiamo creduto che tutto venisse cancellato, che il software dalle sembianze fin troppo umane potesse realmente morire.
È comunque di Black Mirror che stiamo parlando, dev’esserci il finale che non ti aspetti e che fa tremare. C’è anche alla fine di questa storia. E c’è la paura di vedere come va a finire veramente.

Proprio nel momento in cui la puntata si conclude, in questa storia più che in tutte le altre, ci si chiede quanta paura abbiamo dell’assenza e quanto lottiamo per non essere soli.

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