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Black Mirror 5×03: Eppure, siamo sempre e solo noi al centro della distopia

Black Mirror non è mai stato un attacco alla tecnologia. Non lo è stato nei primissimi episodi in onda su Channel Zero in cui il mondo, il nostro di mondo, pur nel dominio tecnologico, aveva la sua distopia in altro. Non lo è neppure nella 5×03 dove i mezzi virtuali diventano nient’altro che riflesso di qualcos’altro.

Il vetro rotto che Black Mirror ha sempre posto come riferimento costante sulla sua copertina non riflette nient’altro che noi stessi. Siamo sempre e solo noi al centro della distopia. I racconti proposti sono racconti umani, racconti di sofferenza, rancore, degrado e disumanizzazione.

5x03

Già, disumanizzazione. La tecnologia si anima di vita propria, reagisce agli orrori del suo creatore solo in Metalhead, episodio in cui l’umanità, come abbiamo già sottolineato, è ormai sconfitta. Ma prima, prima di questo Dominio della Tecnica, c’è stato l’uomo. O meglio il disumano.

La crisi nei rapporti umani, la paura della morte, i problemi etici e morali.

In altre parole c’è stato l’uomo coccolato e assecondato nei suoi bisogni più distopici dalla tecnologia. L’uomo che cerca di farsi Dio, come riassunto perfettamente in Black Museum, puntata che rappresenta una sorta di summa del progressivo degrado dell’umanità.

Rachel, Jack e Ashley Too“, la 5×03 di Black Mirror, è ancora un volta questo. La storia di un rapporto umano che si fa mostruoso. Rachel ricorre alla tecnologia solo perché soffre la solitudine relazionale (come già era accaduto in Torna da me). Si aliena nel morboso rapporto con un oggetto, l’unico che pare dargli quel sostegno di cui ha bisogno.

Non è la tecnologia che corrompe l’uomo. Ma è l’uomo che asseconda i suoi desideri di successo, amore, felicità attraverso la tecnologia, come già visto nella 5×01. In quella circostanza i due amici trovano l’amore non in un rapporto fisico, reale, ma nella finzione ludica. Lo stridore è appunto in questo, nell’incomunicabilità umana che si acuisce grazie a una tecnologia che ormai, spintasi così avanti, può dar conforto di fronte a tutte le paure umane.

Non c’è la morte in San Junipero, e neanche la malattia.

Non c’è la solitudine qui, sconfitta da un amico robotico. Se da un lato la tecnologia si fa sollievo stagnante che accartoccia l’uomo in se stesso, dall’altro diviene mezzo orrorifico dell’avidità. Così è per la manager di Ashley O, Catherine, che nella tecnologia trova uno strumento per “mungere” la creatività della pop star come e quando vuole.

Black Mirror

Charlie Brooker gioca così sulla meta-rappresentazione ironica, usando Miley Cyrus come espressione di un’esteriorità superficiale e melensa, fatta di positività spicciola e banale. Dietro a tutto questo si nasconde invece la complessità umana, la rabbia, la volontà espressiva di Ashley, scevra dai vincoli imposti dalla sua immagine di diva dei teenager.

La sua bambola, liberata dal “limitatore della personalità”, si fa immagine della vera Ashley: sboccata, aggressiva e testarda. La tecnologia, insomma, è il prodotto dell’uomo. L’etichetta morale da applicare sul mezzo virtuale, vuol far intendere Brooker, dipende dall’uso che se ne fa. Nella 5×02 era stato l’uso dei social a condurre alla tragedia. Ora è l’utilizzo dello scanner cerebrale a portare all’orrore.

Ashley è un oggetto per Catherine.

Nient’altro che un pozzo di guadagni da cui attingere liberamente. Non ha bisogno di lei, ma solo della sua creatività. Quello che avrebbe potuto essere un incredibile progresso della scienza, capace di stabilire una comunicazione perfino nel coma, diventa invece strumento di sfruttamento.

È tutto qui il senso di Black Mirror, il significato che la serie ha avuto fin dai suoi esordi. Rachel, Jack e Ashley Too non è sicuramente l’episodio più riuscito. Manca di verve e di capacità di spiazzare ma è Black Mirror. È l’immagine riflessa dell’uomo, il vetro infranto di un orrore umano che trova sfogo a ogni sua perversione in una tecnologia ormai capace di assecondarlo in ogni suo istinto più degenerato.

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