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La quarta vita di Jimmy McGill, Saul Goodman e Gene Takovic

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 6×10 di Better Call Saul

Scivolare ancora, fino a farsi assolvere pure nell’aldilà. Dopo aver attraversato il purgatorio dell’anonimato, ben più greve della morte.

Stop, rec: questa l’avevamo già scritta qualche giorno fa, prima dei titoli di coda.

Oppure no, scivolare ancora per farsi assolvere da se stesso. Vivere un giorno ancora. Usare Saul, il bastone. E Slippin’ Jimmy, la carota. Vivere un altro giorno da Gene con l’idea di viverne mille altri da chissà quale Jimmy, accettarsi, riabbracciare se stessi, avere il lieto fine che nessuno sembra aver voluto scrivere. Un giorno da Gene per i mille del nuovo Jimmy, diverso da quello di prima. L’ennesima identità, l’ennesima vita. Un nuovo capitolo, il meno infelice, del camaleontico sopravvissuto. James Morgan McGill, il trasformista dai tratti pirandelliani che avevamo evocato nella recensione dello scorso martedì, sembra esser pronto a una transizione che potrebbe schiacciare passato, presente e futuro su un unico piano. Una sola dimensione temporale, un solo uomo. Un ultimo atto, prima di restituire la propria identità all’immortalità. Un’epoca in cui dominare se stesso invece di farsi assorbire, essere più che sembrare. Vivere, davvero. Dopo esser stato uno scimpanzé pure in Nebraska, per necessità. Armato con una mitragliatrice.

Stop. Facciamo chiarezza, sennò non ci capiamo niente. Nell’indimenticabile decimo episodio della sesta stagione di Better Call Saul, Nippy, è andata in scena la morte più importante tra tutte. Una dipartita malinconica, non cruenta. Non improvvisa, ma costante. Persino delicata e poetica, iconica e teatrale. In questa puntata, infatti, ci ha lasciato Saul Goodman, morto e sepolto da Gene Takovic sotto un cumulo d’abiti lussuosi e sgargianti. In silenzio, senza dire una parola, dopo esser stato usato per l’ultima volta. Ucciso con la cooperazione di Slippin’ Jimmy, perché il machiavellico piano che ha portato Gene a liberarsi (per ora) del minaccioso taxista è figlia dell’anima frammentata di Jimmy. Inserita in un contesto apatico e incolore, quel che resta di Jimmy ha fatto irruzione in scena, all’improvviso, per restituire un’anima a chi un’anima sembrava non averla più.

Rec. La truffa ideata per fregare le guardie del centro commerciale di Omaha e consentire ai suoi complici di rubare della merce dallo store d’abbigliamento, infatti, assume fin da subito i toni morbidi dei vecchi tempi. Più pesanti, eppure ancora abbastanza leggeri.

Jimmy indossa l’anello dell’amico Marco, torna quello degli anni di Cicero, ritrova un timido sorriso, dimentica per un momento di essere un uomo infelice, sente l’adrenalina scorrergli nelle vene, porta a termine l’articolato piano e spezza il loop che lo soffocava. Per poi restituire il palcoscenico a Saul, l’amorale criminale senza scrupoli di Breaking Bad, nel momento in cui svela il suo vero fine: mettere nel sacco l’uomo che aveva minacciato la sua sicurezza, ricattarlo e indossare la maschera dello spietato lupo. Gene, in quel momento, ha usato Saul Goodman per l’ultima volta: come avevamo sottolineato nell’approfondimento a cui abbiamo fatto riferimento in apertura, Gene s’era aggrappato a quel che rimaneva di lui per sopravvivere, sentirsi ancora qualcuno, respirare dentro una vita che non poteva in alcun modo essere la sua. Saul, dopo aver fagocitato Jimmy, albergava ancora nell’anima di Gene, ma Gene non è più Jimmy. Non lo è mai stato, se non per necessità. E non è mai stato davvero nemmeno Saul, se non per necessità.

Da qui la sua uccisione, concretizzata nel momento in cui rimette a posto gli abiti sgargianti che prende in mano al termine dell’episodio: mentre affrontava un viaggio nei ricordi in quella che potrebbe esser stata l’ultima truffa della sua vita, all’interno di una narrazione esteticamente vicina a quella dei film d’un tempo da lui tanto amati, Gene ha salutato minuto dopo minuto Saul. E l’ha fatto accarezzando alcuni elementi ricorrenti nel suo passato, manco fossimo finiti dentro un series finale. Non solo l’anello di Marco, ma anche il tipico gesto con le mani , l’interazione truffaldina con una donna anziana, la pittoresca conta numerica ricorrente nelle serate del bingo e la rapina nel suo complesso, dai toni farseschi tipici delle prime stagioni di Better Call Saul. Gene riabbraccia Jimmy per ammazzare Saul, prima di riprendere in mano uno zainetto dei Kansas Royals, affatto casuale. Solo un altro personaggio, infatti, s’è associato più volte a loro nel microcosmo di Better Call Saul, e quella persona altri non è se non Kim Wexler.

Cosa possiamo dedurne? Entrare nella testa di un uomo che si nutre dei silenzi, più che delle parole, non è semplice, ma tutto sembra portare nella direzione di un sogno mai sopito: incontrarla, per un’ultima volta. La scelta di risolvere il problema Jeff senza ricorrere ancora all’intervento del venditore di aspirapolvere assumerebbe così un senso diverso: come avevamo sottolineato in un pezzo di qualche anno fa, la città d’origine di Kim è vicinissima, 200 miglia circa, a Omaha. E non possiamo escludere che Jimmy pensi ancora di poterla ritrovare, in qualche modo. Jimmy non sarebbe stato pronto a confrontarsi con lei, dopo quello che è successo al povero Howard Hamlin. Per non parlare del dissoluto Saul che abbiamo intravisto nel time skip del nono episodio e vissuto negli anni di Breaking Bad. Ma Gene non è Saul e nemmeno Jimmy: è un uomo che si è dissolto nell’anonimato, ricostruito pezzo dopo pezzo nella banalità e poi ritrovato, flebilmente, nella luce di un ultimo inganno. Un uomo nuovo che, con lei, potrebbe ritrovare ritrovare i toni di colore svaniti nel bianco e nero di una vecchia cassetta, usata per un’infinità di volte.

Da qui il senso di una criptica sigla che in sei stagioni s’è distorta, consumata, deteriorata come si è deteriorata la bussola morale di Jimmy. Consumata e infine riscritta, nell’ultimo episodio. Stop, rec: una nuova registrazione, con Saul e Jimmy alle spalle mentre Kim si affaccia all’orizzonte. Una nuova identità dall’infelicità mal sopita, alla ricerca di un equilibrio percepito solo tra le sue braccia. Non sappiamo cosa succederà e nemmeno chi potrebbe trovarsi di fronte Gene Takovic, ma temiamo allo stesso che questa storia possa non concludersi nel migliore dei modi. La storia di Breaking Bad e Better Call Saul, d’altronde, ci insegna che uscire dal “gioco” sia sempre piuttosto complesso e nella stragrande maggioranza dei casi impossibile. Ogni azione ha una conseguenza, una reazione, un danno collaterale. Un prezzo da pagare. E Gene, quel prezzo, sembra non averlo ancora pagato davvero. Omaha, d’altronde, è il suo purgatorio, non il suo inferno. Ma cosa succederà? Non abbiamo alcuna certezza né ipotesi davvero fondate: solo una suggestione, estremamente affascinante e inquietante.

Sembra assurdo pensarlo ora e forse lo è, dopo aver visto quello che abbiamo visto in Nippy, ma tra le infinite soluzioni narrative che daranno anima e corpo agli ultimi tre episodi di Better Call Saul, l’ultimo “villain” che Gene potrebbe trovarsi a dover affrontare rischia d’essere l’ultimo personaggio che verrebbe in mente: Marion, la tenera nonnina, madre di Jeff. Sappiamo ancora poco di lei, ma sappiamo per certo che ricomparirà nei prossimi episodi (perché?), è interpretata da un’attrice monumentale che ha fatto la storia (Carol Burnett) a cui par difficile pensare non possa esser stato dato un ruolo di grande peso, ha avuto un minutaggio importantissimo nella decima puntata che desta qualche sospetto, ha già fatto accenno al torbido passato del figlio ad Albuquerque, luogo in cui sembra suggerire abbia vissuto a sua volta (questo fa pensare che possa aver riconosciuto Saul, onnipresente in tv e nei cartelloni pubblicitari disseminati in tutta la città), ha una forte personalità, una spiccata tendenza all’autonomia, una notevole attenzione ai dettagli e potrebbe rappresentare in tutto e per tutto il contrappasso ideale nella vita di Gene, proprio nel momento in cui sembra voler dire addio al “gioco”.

Reddit, anche esagerando, s’è scatenato negli ultimi giorni con le teorie più disparate: qualcuno ha ipotizzato addirittura che possa essere collegata a Ed, oppure essere l’ex moglie di Mike Ehrmantraut, la madre di Kim Wexler o di Walter White, giusto per citare alcune tra le più assurde e molto poco verosimili. Ma quella più credibile, seppure al momento non particolarmente solida, potrebbe collegarla invece al famigerato caso Sandpiper, chiudendo così il cerchio aperto nei primissimi episodi della prima stagione.

A quel punto sì, la figura di Marion assumerebbe i contorni di un intenso scherzo del destino, degno della scoperta del libro che incastrò Walter White: dopo aver passato una vita a truffare il prossimo, Gene, sfuggito all’ira dei più sanguinari narcotrafficanti messicani e a pericoli d’ogni genere, potrebbe esser truffato o punito a sua volta (in difesa del figlio, riportato sulla strada sbagliata) da una donnina apparentemente innocua, forse fregata in passato da Jimmy, in conseguenza paradossale di uno dei rari casi intentati dall’avvocato con fini (più o meno) nobili. Al momento, ripetiamo, sembra assurdo pensarlo e forse lo è sul serio, ma rientrerebbe perfettamente nel modus operandi di Gilligan e Gould, ci regalerebbe una conclusione che nessuno avrebbe potuto in alcun modo prevedere e darebbe a Gene, alias Saul, alias Jimmy, quello che meriterebbe. Spezzando sul nascere un nuovo percorso, punendolo come sempre l’ha punito in ogni momento abbia rigato dritto e non abbia preso una scorciatoia. Sconfitto, in una rara occasione in cui non ha agito per vincere. Staremo a vedere, fin dal prossimo episodio. Ma al di là di ogni possibile speculazione, Marion sembra avere ancora qualcosa d’importante da raccontarci. E il finale di Better Call Saul non potrà non mettere Jimmy di fronte alle sue responsabilità, in qualche modo. Stop, rec: dopo tutto questo, forse non avremo un lieto fine.

Antonio Casu