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Alias Grace è l’adattamento televisivo dell’omonimo romanzo di Margaret Atwood, autrice di The Handmaid’s Tale, diventato anche quest’ultimo una serie tv. L’autrice si è ispirata a fatti realmente accaduti, ma ci regala un’interpretazione personale immaginando le vicissitudini della ragazza, presentandola come una possibile spietata assassina o come una vittima, incapace di compiere atti simili.

Ma di cosa parla esattamente Alias Grace?

Grace Marks, una giovane donna di origine irlandese espatriata in Canada, è stata accusata, insieme a James McDermott, del duplice omicidio di Thomas Kinnear e della sua governante Nancy Montgomery avvenuti nel 1843. I due lavoravano presso la tenuta, Grace come cameriera e James come stalliere. Il giovane viene giustiziato, mentre Grace è condannata al carcere a vita, sebbene le prove non siano sufficienti e le accuse le sono state mosse solo da James. Dopo essere stata trasferita nel carcere di Kingston, Grace entra in contatto con il giovane medico Simon Jordan, il quale visiterà regolarmente la giovane cercando di comprendere la sua colpevolezza o innocenza. Attraverso il dialogo e l’interesse crescente di Simon per la giovane, Grace racconterà la sua vita, ricordando la morte della madre durante la migrazione in Canada, gli abusi subiti da parte del padre, l’amicizia con Mary e la sua conseguente morte, le molestie e le ingiustizie che ha sempre subito. Attraverso la sua storia, lo spettatore non può far altro che empatizzare con la protagonista, fino ad arrivare al punto in cui i ricordi di Grace cominciano a sfiorire, fino a non ricordare se abbia compiuto davvero il duplice omicidio o se sia stata “l’altra Grace”, il suo alter-ego incarnato dalla defunta amica Mary.

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Ma perché guardare Alias Grace?

Ci sono svariati motivi per i quali consiglierei di vederla. Innanzitutto, per una riflessione sulla condizione della donna. Margaret Atwood, nei suoi romanzi, è solita a presentare le donne come vittime della società patriarcale, una società che non lascia libera scelta alle esponenti del gentil sesso, che decide per loro cosa bisogna fare, dire e come comportarsi, de-personalizzandole. Sono donne sacrificate che vivono in funzione delle aspettative di genere, in funzione ai bisogni dell’uomo e guardano con rammarico la loro impossibilità di essere sé stesse. Alias Grace ci parla – anche – di questo: di come la donna viene vista in società.

Siamo così sicuri che la condizione femminile odierna sia completamente diversa?

Viene presentata una visione binaria della donna, la quale non può essere semplicemente una persona con mille sfaccettature, ma deve rientrare in una delle due possibilità che da sempre ci vengono presentate: donna angelicata o incarnazione del male e della lussuria. Le conseguenze delle scelte sono fin troppo chiare, la regola è che bisogna scegliere solo una delle due condizioni. Per poter parlare di questa polarità, prima di procedere, bisogna fare un inquadramento culturale: questa visione della donna, è un retaggio religioso. La donna nella Bibbia è considerata un derivato dall’uomo (viene infatti creata dalla sua costola) e quindi è subordinata a lui. Per questo la donna è rappresentata o come la Madonna (donna angelicata) oppure come Maria Maddalena (incarnazione della lussuria).

Questa dicotomia fa parte della mentalità collettiva e non solo dalle persone religiose: è un retaggio culturale. Aver dato un ruolo alla donna ha permesso di sostituire la sua identità, facendola coincidere con quello imposto dalla società. Fa così parte di noi che è naturale per chiunque pensarla in questo modo ed è per questo che permane. Nonostante il trascorrere del tempo, stereotipi e aspettative di genere permangono anche nella società odierna.

alias grace

Margaret Atwood è una di quelle donne che vuole dar voce a tutte le altre.

Ma per lei, non è questione di femminismo: la disparità tra uomo e donna è talmente evidente che non ha alcun senso appartenere a qualche sorta di movimento. Più volte, infatti, ha rinnegato di essere femminista. Grace incarna perfettamente la polarità a cui le donne sono legate da secoli, sopratutto attraverso gli occhi del dottor Simon Jordan che la immagina come una donna angelo, vittima, ma sessualmente attraente. La sua ossessione per la ragazza crescerà ogni giorno di più, fino a compromettere la diagnosi, punendola per non aver ceduto alle sue sottili avance. La protagonista dimostra poco a poco una scaltrezza disarmante nel fingere di accettare la sua condizione femminile per il quieto vivere ma, allo stesso tempo, mantiene segretamente i suoi pensieri, le sue opinioni, manipolando dolcemente le persone a lei vicine e, alla fine, riuscendo a ottenere in parte ciò che desidera. Dopo le “numerose maree” che Grace dovrà affrontare nella serie, finalmente la vedremo vivere l’esistenza che ha sempre desiderato: abitare in una casa di campagna occupandosi personalmente dei lavori domestici, possedere due cavalli e vivere senza subire altre disgrazie.

Anche la migrazione di Grace e la sua famiglia in cerca di un futuro migliore può essere ricollegato ai nostri tempi.

Sono temi attuali che devono essere sempre ripresi e valutati. Un altro tema che ci deve far riflettere è quello dei progressi della psichiatria e la stigmatizzazione delle malattie mentali. Nella serie, Grace pare che soffra di un disturbo dissociativo dell’identità. Verso la fine degli episodi, il dottor Jordan prova una sorta di ipnosi e la giovane parlerà con un tono di voce completamente diverso, dicendo cose che in teoria, Grace non direbbe. L’altra Grace sarebbe Mary, la quale avrebbe “deciso di aiutare l’amica ad ottenere ciò che voleva, essere libera e vendicarsi dei più potenti”. Durante la seduta, Mary dice che Grace è sempre stata in un angolo remoto a guardare l’amica compiere atti che lei non avrebbe mai osato fare. Nonostante la confessione dell’altra Grace, le persone che assistono alla seduta (compreso Simon Jordan), non credono minimamente all’esistenza di un alter-ego, sostengono che sia impossibile e che dietro gli omicidi e le scappatelle con i diversi amanti, c’è sempre stata solo Grace. Questa convinzione, oltre all’ossessione del dottore verso la protagonista, rappresenterà un ostacolo. Gli strumenti a disposizione della psichiatria a quei tempi erano davvero limitati: c’erano scarse conoscenze dell’ambito psicologico dei soggetti e il dottor Simon Jordan era inesperto. La psichiatria attuale ha certamente fatto passi in avanti, anche se le malattie mentali vengono ancora qualche volta stigmatizzate.

Il finale è certamente un altro motivo per cui guardare questa serie.

La serie si conclude con la domanda rivolta allo spettatore: Grace è davvero colpevole o innocente?

Grace non sarà mai libera di dire la sua esperienza e la sua verità. Tutti (spettatore compreso), non faranno altro che domandarsi se abbia commesso quegli omicidi o meno.

Vedere la trasposizione seriale dell’opera della Atwood significa assistere a un confronto tra passato e presente, un percorso di introspezione.

Necessitiamo ancora oggi di figure femministe, di una denuncia contro le aspettative di genere e una riflessione in merito alla stigmatizzazione delle malattie mentali.

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