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White Collar è un microcosmo dai mille sottotesti

Ci sono quelle serie che non invecchiano mai, che si solidificano nel tempo come una delle colonne portanti del loro genere e mantengono la loro qualità nonostante il tempo, inesorabile e più delle volte ingiusto.
Proprio come un buon vino d’annata o un’opera d’arte inestimabile White Collar entra in questo discorso senza risultare un’intrusa, ancor più quando vini e arte sono cosi ricorrenti in essa.
Una serie da conoscere, guardare dall’inizio alla fine e apprezzare per le vette raggiunte e la profondità proposta.

Negli ultimi anni, in particolare nel 2020 c’è stato un ritorno in auge del programma scritto da Jeff Eastin a causa delle innumerevoli reunion avute proprio nel periodo di massima difficoltà della pandemia; White Collar sembrava pronta a ritornare in scena per un’ulteriore stagione ma come succede spesso in questi casi le chiacchiere si sono dissolte nel vento, non se n’è più fatto nulla e la temperatura è scesa gradualmente fino ad attestarsi sotto lo zero.

81 episodi divisi in 6 stagioni dal 2009 al 2014; White Collar viene descritta agli inizi come un classico poliziesco, l’ennesimo in un periodo storico che abbondava di detective carismatici e scene del crimine da analizzare.
Proprio per questo motivo Jeff Eastin decise di rimescolare le carte in tavola e incentrare gran parte della storia sul criminale e sul suo punto di vista, accentuando la componente psicologica dei personaggi e la continua lotta interiore del protagonista.
L’avventura sviluppata durante gli anni viene diluita all’interno delle puntate cercando un costante equilibrio tra il “caso quotidiano” al centro dell’episodio e la sotto trama principale, sempre presente ma mai ingombrante, proprio come un filo rosso volto a collegare ogni evento tra di loro.
Non è una novità ma uno degli schemi base di ogni serie tv che si basa sulla continuità degli eventi, tuttora è usata e basta aprire un catalogo di una qualunque piattaforma di streaming per trovarne di simili.

Il protagonista principale di White Collar e fulcro portante del racconto è Neil Caffrey.
Un bellissimo, affascinante e intelligente criminale interpretato dal perfetto Matt Boomer, l’attore ideale per il ruolo designato che a 32 anni trovò la svolta nella propria carriera da attore.
Una versione moderna del ladro gentiluomo, quel Lupin di Maurice Leblanc da cui Neal sembra attingere cosi tanto, a partire dall’amore per l’arte e il furto fino alla riluttanza per ogni tipo di violenza.
Non sappiamo davvero se lui abbia mai letto qualche racconto dello scrittore francese ma data la sua cultura sopra la media e la grande capacità intellettiva ci sono ottime possibilità che parte del suo charme e delle sue abilità siano frutto di uno studio attento di uno dei ladri più famoso dei libri.
Sempre al limite senza mai porsi limiti, questa è la frase che potrebbe riassumere alla perfezione Neil e il suo stile di vita oltre le proprie possibilità, a caccia del prossimo colpo senza conoscere freni.
Psicologicamente complesso anche a causa di un passato turbolento, trova nell’arte del furto il proprio talento e nelle emozioni il suo punto debole principale.


Un criminale rispettato ma dietro le sbarre, costretto a un accordo con la sezione White Collar di New York per poter riassaporare la libertà, seppur vigilata, sotto la strettissima supervisione del detective Peter Burke, interpretato dallo sbalorditivo Tim DeKay.

To solve the hardest crimes, hire the smartest criminal

Per i crimini peggiori serve il criminale migliore


La tag line del poster della prima stagione è il divisorio perfetto tra il personaggio di Neil e quello di Peter per segnalare una divisione netta tra il criminale e la giustizia, tra chi rappresenta la legge e chi la evade.

Peter come accennato è un detective di New York della sezione crimini d’arte ma non solo: è l’unico poliziotto a essere in grado di arrestare per la prima volta uno dei criminali più ricercati del mondo, Neil Caffrey.
L’esempio del poliziotto americano modello è tutto nella figura di Peter: sposato con una moglie che ama, un bellissimo cane, dedicato al proprio lavoro e al rispetto delle leggi e soprattutto convinto fino al midollo del sistema giudiziario del paese, di fare le cose seguendo alla lettera il protocollo.
Non potrebbe esistere una persona più diversa di Neil giusto? Eppure la coppia funziona, è la migliore del dipartimento e il duo diviene presto iconico.
Gli opposti si attraggono è risaputo, White Collar ha dimostrato anche che si completano.
Quando la legge non è sufficiente a risolvere un caso o catturare un ricercato la mente del criminale riesce ad aggirare i classici paradigmi della giustizia e a compiere l’opera, quando è invece l’illegalità a fallire nell’intento la luce della polizia è pronta a illuminare la situazione.

Il successo della loro collaborazione non è solo nei diversi approcci ma nella fiducia che si è creata tra i due, diventati amici dopo esser stati prima rivali e poi colleghi forzati.
Un’amicizia che non ha appiattito le evidenti divergenze ma che ha dimostrato come si possa convivere con esse senza eliminarle dall’equazione.
Perché Neal era e sarà sempre affascinato dal crimine, dalla possibilità di rendere la propria vita imprevedibile e facile, interpretando la legge secondo il suo volere o scordandosi del tutto dell’esistenza di quest’ultima.
Peter d’altro canto non volterà mai le spalle al lavoro della sua vita, alle implicazioni che esso comporta e all’equilibrare le ambizioni sfrenate del proprio compagno.

White Collar riesce in questo, nel presentarci due personalità contrastanti e unirle grazie a uno sviluppo psicologico importante, mischiandole quando necessario e esplorando in entrambi dei lati difficili da immaginare prima della visione.
Chi avrebbe mai pensato di vedere uno dei criminali più famosi del mondo lavorare fianco a fianco con la polizia, affascinato dalla risoluzione dei casi e legato emotivamente al proprio partner tanto da varcare zone a lui impensabili pur di compiere buoni azioni.
No, Neal non è Sherlock Holmes e ha sempre una propria agenda da seguire, la propria crescita però lo porterà a compiere scelte difficili e a renderci testimoni della sua vera natura: buona e gentile verso il prossimo.

Resta un criminale? Certo ma è nostro compito quello di leggere oltre il personaggio, capire il perché dietro determinate scelte e soprattutto accettare come una volta che White Collar inserisce i colori bianco e nero, il grigio non può che essere l’unico risultato ottenibile.
La serie si prende il proprio tempo e ne concede a noi per conoscere meglio i due schieramenti, sottolinea le nette divisioni presenti e poi le mischia, mostrandoci come nessuno possa rimanere per sempre attaccato alle proprie convinzioni e che è possibile superare determinate zone anche andando contro se stessi, entrando proprio in una zona grigia dove il fine giustifica i mezzi.

Neal e Mozzie
Neal e Mozzie

È chiaro a tutti come questa serie sia molto più che un semplice poliziesco e la fine di questo articolo sarà dedicata a un membro del cast fondamentale, al mentore e al primo vero amico che Neal abbia avuto nella sua vita, Mozzy.
Interpretato da Willie Garson, è passato da guida a braccio destro del truffatore impersonando al massimo delle proprie capacità il distaccamento emotivo del ladro dalla vita, l’abbandono dei rapporti in favore di una carriera in movimento senza legami ma con un nuovo colpo sempre in mente.
Mozzy è il diavolo sulla spalla di Neal, la sua voce risolutiva nei momenti complicati e dimostrazione vivente nel corso della serie del cambiamento che chiunque può avere, criminali inclusi.

La perdita di Willie Garson è enorme e ha inevitabilmente bloccato drasticamente ogni possibilità di revival, perché senza Peter Neal sarebbe stato ancora il ricercato numero uno ma senza Mozzy sarebbe stato un semplice criminale da quattro soldi e White Collar un semplice poliziesco.

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