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Una brutta recensione di What/If

Avete visto What/If su Netflix?

Il cast è di tutto rispetto. Prima di tutto, c’è il premio Oscar Renée Zellweger, di cui voglio parlare più avanti, ma non solo. C’è Jane Levy, che ricordiamo in Castle Rock, Blake Jenner da Glee e perfino Keegan Allen da Pretty Little Liars.

C’è anche una storia complicata, che è una via di mezzo tra Proposta Indecente, film cult del 1993 con Demi Moore e Robert Redford e una soap opera intricata e piena di colpi di scena, a volte improbabili.

La trama parte da un ideale, quello della protagonista Lisa che, come scienziata, vuole trovare una cura al cancro per vendicare la morte prematura della sorellina. La società di Lisa, piena di belle speranze e di nobili motivazioni, si scontra con la realtà delle grandi potenze farmaceutiche.

Lisa, d’altro canto, ha una vita felice: è sposata col fascinoso Sean (un Blake Jenner che non è altro che un’evoluzione del personaggio che interpretava in Glee), un uomo dolce e innamorato, un paramedico che, dopo un gesto eroico, diventa un potenziale pompiere.

E che nasconde un segreto inconfessabile.

What/If
What/If – Un Blake Jenner sempre uguale a se stesso

Il sogno di Lisa sembra a un passo dall’evaporare quando, dopo una serie di fortuite circostanze, incontra Anne Montgomery, una ricca donna d’affari che ama manipolare le vite altrui.

Anne accetta di finanziare la società di Lisa, a patto che le presti il marito per una notte.

Se in Proposta Indecente Demi Moore e Woody Harrelson accettano il patto per un milione di dollari, qui le cifre sono molto più alte.

Venti milioni di dollari.

Niente di meno.

Sean passa la notte con Anne e, da quel momento, la vita dimessa, ma felice della coppia non sarà più come prima, perché, tra le clausole del contratto che i due sottoscrivono, c’è quella che Sean non potrà mai rivelare ciò che è accaduto quella notte tra lui e Anne.

Infatti, da lì in avanti, una lunga serie di intrighi, menzogne, sotterfugi e imbrogli cambieranno la vita di tutti, in un susseguirsi di comportamenti discutibili, problematici, censurabili.

What/If è un calderone con troppa carne al fuoco: ci sono coppie in crisi, una donna di mezz’età che non accetta il passare del tempo e, per ingannarlo, questo tempo, gioca alla burattinaia con le vite degli altri, ci sono intrighi aziendali, un suicidio/omicidio, ricordi controversi del college, un genitore violento, l’adozione, il tradimento… e chi più ne ha, più ne metta.

What/If – Renée Zellweger irriconoscibile

La storia principale, quella di Lisa e della sua società, del crollo dei suoi ideali, dei compromessi a cui è disposta a sottomettersi, cade quasi in secondo piano, sopraffatta da una serie di sottotrame che fa molto “Vorrei essere Big Little Lies, ma non posso”.

C’era del potenziale, in questa storia?

Certo che sì: non era una novità assoluta, quella del sacrificio della propria morale per perseguire un ideale, ma sarebbe potuta essere sviluppata meglio, recitata meglio, non essere soffocata da espedienti pseudo-shock che hanno davvero poco senso, vedi il trip lisergico di Marcos.

Fino a qui, niente di particolarmente scioccante: Netflix sforna serie pazzesche e What/If non lo è: pazienza, ce ne faremo una ragione.

Quello che davvero fa restare la sottoscritta a bocca aperta è l’involuzione del diamante di punta di questa serie: Renée Zellweger.

Attrice versatile, in grado di passare dai ruoli comedy a quelli drammatici (per chi vuole un suggerimento, cito solo due titoli: Il diario di Bridget Jones e Ritorno a Cold Mountain), grazie all’espressività del suo viso.

Non una bella nel classico senso del termine: non è Charlize Theron, né Nicole Kidman, ma aveva una bellezza particolare che riusciva a essere credibile sia quando perdeva peso, sia da “cicciottella”, mi si passi il termine. Volitiva, solare, buffa e credibile, Renée Zellweger aveva un viso imperfetto, ma espressivo: questo era la sua forza.

What/If – Renée Zellweger all’opera

In What/If è una maschera di chirurgia plastica mal riuscita, senza espressione o credibilità. In alcune scene è quasi irriconoscibile e anche la sua recitazione sente il peso degli errori commessi in sala operatoria. È rigida, ingessata, sgradevole da tutti i punti di vista. Insomma, è diventata uno dei tanti casi in cui il suo abuso di bisturi ha avuto la meglio sul buon senso.

Il suo personaggio in What/If rasenta il ridicolo: è la versione femminile di Christian Gray senza nemmeno l’attrattiva del BDSM, è fastidiosa, verbosa e inconcludente, nel doppiaggio ha una voce irritante e una perfidia che, spesso, è immotivata.

È elegante, sexy, sicura di sé, affronta la maturità senza battere ciglio, sì, lo abbiamo capito tutti, è una donna forte, al comando.

È gradevole? No.

È simpatica? Assolutamente no.

Si fa amare, nel corso degli episodi? Beh, no.

What/If rimane un esercizio sterile di colpi di scena, trame intricate, pettegolezzi e segreti nascosti da tempo e, in fondo, non si riesce ad aggiungere molto altro.

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