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Westworld ha molto in comune con Stanley Kubrick. E lo capiremo presto

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 1×01 di Westworld

La bomba è già esplosa, e ha fatto un botto inimmaginabile. La messa in onda del pilot di Westworld, fiore all’occhiello della programmazione autunnale dell’HBO, ha scatenato una reazione su scala globale che è andata ben al di là di ogni più rosea aspettativa. Non mancavano le premesse, sia chiaro, ma si è andati oltre. Ben oltre. Westworld, dopo un solo episodio, ha creato dipendenza, al punto da lasciar spazio ad interpretazioni molteplici e teorie sui possibili sviluppi dei prossimi nove episodi.

Non è semplice farlo fin da ora, perché si tratta comunque di un pilot e attendere due mesi e mezzo per definirlo un capolavoro è un obbligo imprescindibile, ma ci vogliamo provare lo stesso. I testi della 1×01 hanno detto tanto, i sottotesti leggibili tra le righe dicono molto di più. E ci fanno capire che la filmografia di Stanley Kubrick sarà un cardine grazie al quale verrà costruita la nuova opera. Perché? Prendiamoci un po’ di tempo per parlarne.

Di padre in figli(o) 

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Kubrick è ovunque, e se c’è un Nolan di mezzo è quasi una naturale conseguenza. Jonathan Nolan, fratello minore di Christopher, è l’autore di Westworld, nonché regista del pilot andato in onda domenica scorsa e dell’episodio che chiuderà la prima stagione. Una naturale conseguenza, si diceva: Christopher Nolan è considerato il figlio artistico del genio newyorkese, e anche nelle opere di Jonathan richiami, omaggi e influenze sono fin troppo evidenti.

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Westworld rappresenterà probabilmente l’ultimo esempio in ordine di tempo, uno dei più limpidi ed evidenti nella sua forza. Nel pilot si sono intravisti i primi germi, a partire da due elementi apparentemente a se stanti: il latte e i Rolling Stones. Il latte, prima di tutto, e il pensiero corre subito ad Arancia Meccanica. Nel corso della 1×01, una delle icone primordiali e innocenti dell’origine e della crescita è stata associata alla violenza più brutale che ha trascinato con sé alcune delle sequenze più intriganti del primo atto di Westworld. Immaginarci all’interno del Korova Milk Bar in compagnia di Alex DeLarge e i suoi compagni è questione di un attimo. Ad un certo punto, inoltre, sono partite delle note a noi familiari, rivisitate magistralmente in chiave sinfonica. Siamo all’interno di un contesto western e i Rolling Stones, grazie all’immortale Paint It Black, hanno legato Westworld a Full Metal Jacket attraverso un filo neanche troppo sottile.

Stiamo parlando di semplici omaggi? Probabilmente no, e ora proveremo ad immaginare il perché.

La violenza, punto d’origine e d’arrivo 

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Sintetizzare la mole infinita di spunti che hanno offerto i capolavori di Kubrick è pressoché impossibile, ma individuare un filo conduttore che abbia attraversato in lungo e in largo la sua carriera è possibile. La violenza, qualunque sia l’epoca e la tipologia di personaggio che l’ha incarnata, è un elemento centrale in tutti i suoi film. Un concetto banale, all’apparenza. Un punto d’origine e un obiettivo finale nel rappresentare il fulcro centrale dell’essere uomo, in realtà. In Kubrick, come in Westworld. Alex DeLarge e il misterioso uomo in nero interpretato da Ed Harris potrebbero avere tantissimo in comune.

La scelta dell’ambientazione western, prescindendo dal film del 1973 dal quale la serie tv trae spunto (con finalità totalmente differenti), è pienamente funzionale. Stanley Kubrick non ha mai diretto un film western, ma c’è un momento in cui ha girato delle scene che potrebbero quasi esserlo. Pensiamo a 2001: Odissea nello Spazio. Il capolavoro è tutto meno che un western, eppure le celeberrime sequenze iniziali, nelle quali vediamo un mondo popolato da scimmie in lotta tra loro per la sopravvivenza, instradate in un percorso che le porterà a diventare degli uomini, rappresentano un mondo western, per certi versi. Un mondo nel quale tutto è in discussione e dove tutto è concesso. L’affermazione della propria identità passa attraverso le violenza, un po’ come accadeva nel Far West e un po’ come dovranno fare, per forza di cose, gli host per prendere atto della propria coscienza e slegarsi dal disegno dentro il quale sono stati originati. Dovranno uccidere le mosche per scrivere la propria storia e abbandonare ogni copione. E dovranno ribellarsi ai propri creatori, per sopravvivere.

Sono sempre più simili ai newcomers, d’altronde. Nei gesti, nelle espressioni, nei piccoli dettagli che associano pericolosamente gli automi agli umani. La simulazione si sta trasformando in una dissimulazione necessaria, un film western in un nuovo Far West nel quale indiani e cowboy lasciano spazio a host ed esseri umani. La violenza, forma primordiale di autodifesa che plasma la natura dell’uomo, è il passaggio imprescindibile per emanciparsi e trasformarsi in esseri viventi nel senso più ampio del termine. Delle tre leggi della robotica di Isaac Asimov non resterà altro che un pallido ricordo.

L’uomo è diventato una macchina, la macchina è diventata un uomo. Ma fino ad un certo punto

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Non finisce qui, affatto. Il mondo che sta costruendo Westworld è sfaccettato e avrà nella coralità un punto di forza. Tanti personaggi, tante storie, tanti spunti. Parlare del rapporto che si innesca tra l’intelligenza umana e quella artificiale è un’occasione per dare un’idea della natura più sincera dell’uomo. Ma siamo macchine fino ad un certo punto. E le macchine non saranno uomini.

Per chiarire meglio il concetto, è necessario menzionare ancora una volta 2001: Odissea nello Spazio e il suo personaggio più iconico, Hal 9000. Nel capolavoro di Kubrick, la macchina si evolve al punto da acquisire una coscienza e arrivare a difendere se stesso anche a discapito degli uomini. Si innesca una mera lotta per la sopravvivenza tra pari: uomini e macchina parlano la stessa lingua, sono generati da una ribellione nei confronti delle proprie origini e hanno nella natura violenta un tratto distintivo imprescindibile. Lo spazio lontano e il Far West vengono rappresentati attraverso gli stessi meccanismi di base. Un passato solo apparentemente chiuso in se stesso sfonda ogni parete e si fionda nel futuro più imprevedibile. Ma questo non vuol dire che uomini e macchine abbiano le stesse esigenze, affatto. A parte sopravvivere.

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Gli host hanno trovato il loro monolite nero, rappresentato dal dottor Robert Ford, noi no. Ci siamo sostituiti ad un creatore perché non sappiamo che forma abbia. I robot hanno a portata di mano delle risposte che gli uomini non avranno mai. Loro possono arrivare alle risposte sulla loro origine, noi no. E non si può escludere che i fronti che si apriranno in Westworld vedranno i robot contro gli umani, i robot alla ricerca delle origini, gli umani contro la propria natura e, incapaci di avere delle risposte sicure, portati a sostituirsi a Dio come creatori. L’uomo è portato in questo senso dall’evoluzione. Viviamo in un modo che non è stato plasmato da noi e che stiamo cercando di adattare pienamente alle nostre esigenze, arrivando a plasmarlo di nuovo. Non sarà la natura violenta a distinguere gli uomini dagli host, ma la necessità di sostituirsi ad un creatore in assenza di un creatore. Loro non hanno questa esigenza, noi abbiamo una storia diversa e tendiamo a questo, quasi fossimo delle divinità greche. Cerchiamo un Dio in noi stessi, in fondo. E la ribellione dei robot è figlia della natura dei loro creatori: una necessità diretta, non un frutto di un’evoluzione dettata dall’anarchia.

È iniziata una grande sfida 

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Se la prima stagione terrà fede ai presupposti esplosivi creati con il pilot e svilupperà sapientemente gli spunti offerti finora, Westworld sarà un capolavoro. È ancora presto per affermarlo ed è ancora presto per capire quanto sarà influente la memoria di Stanley Kubrick, ma quanto detto sopra porta a pensarci che sarà così. Game of Thrones, a quel punto, avrà trovato un degno erede e l’HBO avrà a disposizione una nuova miniera d’oro da sfruttare per almeno cinque anni, senza correre il rischio di tirare eccessivamente la corda.

L’HBO, d’altronde, ci ha abituato a non avere mezze misure: realizza dei capolavori assoluti, capaci di rivoluzionare periodicamente il florido linguaggio seriale trasformandolo in arte, oppure incappa in flop clamorosi. Se andrà nella seconda direzione avrà perso una grandissima occasione, ma probabilmente non andrà così. Uno dei film più famosi di Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore, presentava questo sottotitolo: “Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba”. Noi non siamo preoccupati, e amiamo già ora la bomba appena esplosa.

Antonio Casu

Un saluto agli amici di Westworld Italia!