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Quando mi sono approcciato a The Office avevo una frase che mi rimbombava in testa. L’avevo sentita o letta un po’ ovunque, ed ero molto curioso a riguardo. “Michael Scott è uno dei personaggi più cattivi di sempre”. Ero pronto a vedere all’opera quest’uomo che mi ero immaginato come uno dei capi più crudeli della storia, probabilmente idealizzando quelle frasi lette ovunque e aggiungendoci un pizzico di fantasia. Ma alla fine no: non è granchè vero. Chiariamo, Michael Scott non è propriamente un buono Disney e ha tanti, tantissimi difetti. Ma più che un cattivo, Michael Scott è un bambino. Magari un bambino cattivo, sì, ma principalmente un bambino.

Mettere a capo di un gruppo di adulti una persona con un’età mentale che spesso e volentieri non va oltre i 10 anni può non essere una buona idea. Ma in fondo, funziona. Michael dovrebbe essere il porto sicuro in cui i suoi dipendenti possono rifugiarsi nei momenti di difficoltà, la spalla su cui appoggiarsi per un consiglio professionale, talvolta il leader carismatico rispettato che riporta l’attenzione alta ove di attenzione non ce n’è (e nell’ufficio di Scranton accade spesso). Ma non succede praticamente mai niente di tutto questo. Michael finisce la maggior parte delle volte con l’essere accudito dalle stesse persone che lavorano per lui, e non certo il contrario.

Eppure, funziona.

Funziona perchè quello di Scranton è un microcosmo paradossale, in cui è la stessa disfunzionalità a funzionare. Fuori da Scranton, Michael non funzionerebbe mai come capo. Funzionerebbe probabilmente come venditore, una caratteristica che si vede avere nel sangue. Ma un conto è vendere, un altro è comandare. Michael non sa farlo, è evidente. Non è un tipo che sa prendere delle decisioni, si lascia spesso trasportare dai suoi sentimenti così aridi ma al contempo così puri, immediati. E non arriva quasi mai al punto, finendo col far fare il lavoro sporco al fido e crudo Dwight, quando ce n’è bisogno. Mentre lui si nasconde in un angolo, sperando che il momento no passi e nessuno lo accusi di aver imbrogliato giocando a nascondino. Come un bambino, appunto.

Michael affronta da bambino tutto: le relazioni, che costruisce spesso più nella sua testa che nella realtà. I rapporti di amicizia, che si fondano prettamente sul suo costante bisogno di approvazione più che sulla costruzione di delle sane, proficue e approfondite conoscenze. E anche il lavoro stesso, fatto di continui scherzi, video imbarazzanti, feste in cui lui si rende ridicolo e tutti quanti intorno stanno a osservarlo, battendogli le mani e sorridendogli per fargli capire che sì Michael, sei stato bravo, va tutto bene.

Micheal è tante cose terribili. Razzista, sessista, omofobo e chi più ne ha più ne metta. Ma in fondo nessuno riesce davvero a volergli male. Proprio perchè tutti si rendono conto che, in fondo, non è del tutto colpa sua. E’ un pargolo nel corpo di un uomo adulto che non è mai riuscito davvero ad adattarsi alla società, a capire come viverci e come viverla. Sa intimamente che alcune cose che fa e dice sono sbagliate, prova a rimediare in maniera impacciata, finisce quasi sempre col peggiorare le cose. Avrebbe bisogno di dei genitori che gli ripetano all’infinito: “No Michael, questo non si fa, questo non si dice”, in modo tale che le cose gli entrino in testa. Ma Michael è un capo, sulla carta, e allora nessuno gli dice quello che deve fare. Chi sta attorno a lui semplicemente si adegua, sapendo che nonostante le atrocità che gli escono dalla bocca ogni giorno, in fondo non c’è mai davvero malizia. Solo una puerile e mai risolta inconsapevolezza.

E alla fine, finisce pure per intenerirti. Perchè Scott è uno che piange per la morte di un uccellino e prova a resuscitarlo nonostante ormai non ci sia più nulla da fare. Piange a dirotto mentre tutti intorno lo consolano e gli dicono che no Michael, la morte fa parte della vita, devi accettarlo.

The Office: Michael Scott, il capo di The Office. The Office US, il remake di The Office UK

Ti suscita un misto di pena e profonda tenerezza quando davanti ai suoi dipendenti fa vedere quando, da bambino, finì in televisione.

“Avrò 100 figli, così avrò 100 amici”. Detto con uno sguardo triste che non può non spezzarti il cuore.

Alla fine dei conti, non si può non empatizzare con un personaggio del genere, nonostante lui sia totalmente anti-empatico.

Perchè quella frase lì è il cruccio della sua vita. Michael vorrebbe piacere a tutti, costruire dei rapporti belli e puri con tutti, solo che non ha la minima idea di come farlo. E’ quasi come se mancasse di un’educazione sentimentale, come se fosse un essere umano allo stato embrionale.

Michael è dispettoso, dice un sacco di bugie e non sa tenersi i segreti. Se racconti una cosa a Michael Scott, stai pur sicuro che nel giro di 20 minuti lo saprà tutta la città. Eppure, la gente continua a fidarsi di lui. Perchè nonostante la sua totale inaffidabilità, in Michael Scott quasi chiunque ci vede del buono. Una purezza da cui si rimane in qualche modo attratti, anche sapendo che è profondamente sbagliato e pericoloso farlo.

Una delle sue caratteristiche migliori e conclamate, guarda caso, è quella di saperci fare con i bambini. Ogni volta che ci sono dei bambini nei dintorni, Michael sa sempre come intrattenerli, divertirli, coccolarli. Forse sono gli unici momenti in cui sembra essere davvero a suo agio, davvero nel suo habitat naturale. Perchè è come loro, solo un po’ più esperto.

In fondo in fondo, Michael Scott non è altro che un uomo solo. Irrimediabilmente mai cresciuto, irrimediabilmente rimasto a un’età in cui tutto era concesso e niente era irrimediabile. Dove gli errori si potevano fare sempre, senza che ci fossero poi delle conseguenze più pesanti di uno scappellotto o una sgridata. Aiutato dal contesto e da un improbabile promozione a capo per mancanza di alternative, Michael continua a fare semplicemente quel che ha sempre fatto da oltre 40 anni a questa parte: giocare. In maniera più triste e intimamente meno scanzonata di un bambino medio, perchè poi negli occhi di Michael c’è sempre quel malcelato velo di tristezza e latente consapevolezza del fatto di essere profondamente sbagliato.

Ma Scranton è il suo asilo, e finchè gli danno una palla in mano, lui ci gioca. A volte la tira in faccia agli altri, altre volte se la tira in faccia da solo e si fa un male cane. Piange, viene consolato, e ricomincia. Nessuno vorrebbe essere come lui, forse nessuno vorrebbe davvero averci a che fare ma tutti, in fondo in fondo, gli vogliamo un sacco di bene. Perchè una contraddizione vivente così finisce per confonderti, ti istiga a non farti troppe domande. E vorresti solo abbracciarlo e dirgli: sei stato bravo Michael, va tutto bene.

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