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Una delle cose che avrebbe potuto rendere The OA un capolavoro è proprio la sua purezza. Il suo coraggio nel voler essere qualunque cosa essa sia. La fierezza con la quale avanza una narrativa attraverso metodi tutto fuorché convenzionali. È un rischio, certamente. Ma d’altro canto un capolavoro non deve rispondere a un prerequisito di ascolti per essere tale.

I problemi iniziano quando The OA accantona questa purezza per cercare disperatamente di enfatizzare quanto sia profonda.

La Serie è stata a volte definita “pretenziosa”, “arrogante”. Possiamo capire il perché.

A un’estetica spesso francamente mozzafiato, The OA di tanto in tanto decide di forzare un simbolismo cromatico sottile quanto un Baobab.

A questo si aggiunge la difficoltà a relazionarsi con il personaggio principale se non come narratore. Prairie spesso diventa talmente il Guru che vuole impersonare che finisce con l’interessarci solo nella misura in cui il suo racconto continua. Ciò predispone a non sequitur eclatanti, spesso fastidiosi, che minano la percezione della Serie molto più del suo ambiguo finale.

Prairie ce la mette davvero tutta per sembrare questo extraterrestre pronto a salire sul palco di TED. Tuttavia, in diversi momenti ciò risulta con l’essere solo forzato. Ad esempio, nel primo episodio Prairie accetta di aiutare Steve per provare a convincere l’insegnante a non espellerlo dalla scuola. Prairie riesce nel suo intento con la tesi della pecorella smarrita, dopo aver dedotto un lutto familiare dell’insegnante.

the oaQuesto dovrebbe essere un momento chiave (perché segna un cambiamento sia nel personaggio dell’insegnante sia per quello di Steve). Eppure non funziona proprio benissimo. Il dialogo risulta un po’ un’accozzaglia di clichés. Lo stesso personaggio di Prairie sembra imporsi come l’unica punta bianca in un universo di personalità scure e più o meno insensibili. E qui, francamente, Prairie sembra più una manipolatrice che una guida spirituale.

Ma un problema ancora più grande di The OA è il bipolarismo con cui dipinge il mondo. Traccia una linea fra chi è incapace di comunicare e la condivisione narrativa, come se fossero blocchi unici rappresentativi del bene e del male.

Sicuramente l’invito a raccontarsi e al saper sentire il racconto degli altri è importante. Ma ai fini della Serie finisce col sembrare troppo semplicistico. Soprattutto alla luce del momento cruciale che segna il suo finale. Non la possibile/certa morte di Prairie. Ma la “sparatoria ex machina“.

L’errore più grande, e oseremo dire quasi grossolano, è costituito proprio da questo finale. E non perché sia poco chiaro. Non perché lasci allo spettatore l’onere di chiudere il cerchio secondo le sue inclinazioni, desideri, ragionamenti, considerazioni.

Da quando l’arrivo del 5° membro del gruppo soddisfa un’attesa quasi messianica ma si rivela completamente inutile a un avanzamento convincente della trama, The OA inizia a scivolare verso un baratro narrativo catastrofico.

Risoluzioni frettolose, quasi pigre. Troppo facili. E la sorpresa del finale si carica più di un messaggio del tipo “che cosa stava succedendo mentre ascoltavamo questa storia”. Il senso si perde, insieme alla bellezza del racconto. Non tanto perché l’incomunicabilità non sia una concomitante in atti di violenza simile. Né perché trattare di molestie e rapimenti sia un tema più leggero. È la modalità narrativa che entra in gioco qui.

The OA si era finora tenuta in equilibrio fra il fantastico e il concreto. Era riuscita a dare a i due piani abbastanza equidistanza e stesso valore. A ciò si accompagnava la lunga esplorazione delle dinamiche che collegavano Prairie a Hap. Ciò consentiva a The OA una sintonia interna tutta sua.

Quando il piano del fantastico incontra quello del concreto da un punto di vista metanarrativo, l’effetto funziona.
Tuttavia, il finale scopre carte troppo reali, troppo serie, troppo dolorose perché il piano del fantastico possa incantarci nuovamente.

Il momento culminante della realizzazione della premonizione di Prairie sembra voler chiudere il cerchio in modo che il mistico possa superare il fantastico e agire sul reale. Il problema è che ciò che aveva funzionato bene in The OA era proprio la linea sfumata fra questi due poli. Il mistico era fantastico potenzialmente reale. E dalla concretezza del racconto, il mistico poteva accedere al reale per informarlo. Per arricchirlo. Il finale rompe questa armonia.

Per tutta la sua bellezza e il suo valore, The OA non era pronta a trattare in termini così reali di un simile orrore. E certamente non aveva costruito abbastanza perché potessimo accettarne la risoluzione attraverso il misticismo.

Gli episodi di sparatorie all’interno delle scuole superiori in America sono parte dell’angolo più tetro della cronaca d’oggi. Aprono squarci su storie drammatiche. E su una realtà molto seria. E The OA semplicemente non ci ha dato abbastanza, non ci ha trascinato abbastanza nel suo personalissimo senso di spiritualità perché la tragedia legata a ciò che segna l’apice della trama non superi enormemente il valore che abbiamo imparato a dare al racconto/verità di Prairie.the oaNon è che trattare di certi temi non si possa fare. Non è neanche che ci sia bisogno di aver creato un contesto in cui questo tipo di violenza possa essere “naturalizzato”, per nostra comodità intellettuale e sensibile. Anzi. Il problema è di coerenza interna al tipo di prodotto che si è creato.

The OA ha tutto il diritto di offrire la sua sulle sparatoie nei licei o sul terrorismo o sul genocidio degli Armeni (qualcuno dovrà pur farlo). Il problema è che l’escalation finale di The OA ci sta un po’ come ci stava il finale rivelatorio del film Remember Me di Allen Coulter. Malissimo.
Ottiene sicuramente il suo impatto a prima vista. Soprattutto prima che tutto quello che la Serie sembrava aver costruito venisse ridotto a “imbarazzante danza interpretativa dai poteri mistici”. Ma è una di quelle scene che più la si guarda, a cui più si ripensa, più viene solo voglia di gridare “no”.

La scena finale sminuisce la sensibilità e la bellezza con cui The OA aveva approcciato certe dinamiche. Rifiuta di prendersi le responsabilità che derivano dal fatto che quando si toccano determinati temi, si dice sempre qualcosa su di loro. Ma The OA su questo getta un velo semi-fantastico che cozza con il suo contesto al punto da risultare ridicolo, e impone un gelido finale. Titoli di coda che iniziano in silenzio. E, semplicemente, non è abbastanza.

Non solo questo, ma con la sua rivelazione finale sulla premonizione di Prairie The OA fa apparire la conclusione che aveva costruito con tanta pazienza, il premio per aver rispettato il contratto e averla seguita fino alla fine, semplicemente ridicola. “Strana” e solo “vagamente imbarazzante” a vedersi per quelli che ci hanno voluto credere più di quanto l’agente Mulder di The X-Files abbia mai creduto agli alieni.

Con il suo finale The OA distrugge la sua magia. E così facendo, sgretola se stessa.

The OA aveva le potenzialità per essere un capolavoro perché pur imponendo delle regole tutte sue, pur impostando uno stile narrativo unico nell’ambito delle Serie Tv, sembrava rispettare le sue stesse regole. Anzi, gli elementi che la contraddistinguono potevano certamente aiutarla a raggiungere l’apice.

Eppure, alla fine, sembra che l’unico messaggio che sembra riuscire a comunicare efficacemente è meta-testuale. Certamente ciò non significa che la Serie non meriti di essere guardata e che non possa piacere.

Ma per parlare di vero “capolavoro” avremmo dovuto vedere meno problemi interni. E, soprattutto, avremmo dovuto vedere un finale diverso.

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