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The Night Of e l’analisi del sistema giudiziario americano

Colpevole o innocente? È questa la prima domanda che ognuno di noi si pone alla conclusione della visione del primo episodio di The Night Of. Una domanda che, però, lungo tutta la serie non verrà quasi mai posta a Nasir, il giovane protagonista accusato dell’omicidio dell’affascinante Andrea.

La verità sembra non avere nessuna importanza, né per gli agenti, né per il procuratore, né per gli avvocati. La giustizia è solo una macchina piena di burocrazie e carte da compilare, in cui tutto ciò che conta è la verità giudiziaria, quella che si può dimostrare, quella che può sembrare più convincente o più entusiasmante per la giuria.

È questa la complessa e cruda realtà che The Night Of tenta di spiegarci nell’arco dei suoi 8 episodi, in una serie che trova il suo fulcro nel racconto della storia di un uomo rimasto imprigionato nel contorto meccanismo giudiziario americano, incastrato nelle strette maglie di una burocrazia che presenta molti più limiti di quelli che potremmo immaginare.

Luci e ombre del sistema giudiziario americano vengono messe in evidenza in The Night Of, in un racconto che non ha lo scopo di fornirci delle risposte, ma solo di porre domande, di farci immergere in un mondo dominato dall’incertezza e dalla paura e di mostrarci le tragiche conseguenze che una morte brutale causa nella vita di tutti i soggetti coinvolti.

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Quando la giovane Andrea viene trovata morta nella sua camera, brutalmente massacrata da numerose coltellate afflitte con ferocia, per Nasir Khan ha inizio una lunga odissea destinata a cambiare per sempre la sua vita.

Accusato dell’omicidio per una serie di elementi indiziari, Nasir viene etichettato come socialmente pericoloso, separato dalla famiglia e rinchiuso immediatamente in carcere, senza possibilità di difendersi, non sul serio perlomeno.

Condannato prima ancora di essere processato, Naz perderà ogni libertà e ogni diritto alla presunzione d’innocenza, finendo intrappolato in un sistema pronto a ingabbiarlo sempre di più, fino a trasformarlo nell’uomo che viene accusato di essere.

The Night Of non è una serie facile da guardare, non è il racconto di un omicidio e di un assassino, ma è il crudo resoconto di una realtà a noi sconosciuta e complessa, di una macchina pratica e priva di umanità quale è quella della giustizia americana.

Ogni scena in questa serie è costruita per lasciare allo spettatore la possibilità di immergersi dentro le sensazioni di Nasir, di guardare con i suoi stessi occhi spaventati il susseguirsi degli eventi, incapaci di agire o reagire, incapaci di fuggire a un destino che sembra ormai scritto.

Percepiamo il sentimento di ingiustizia che percuote il protagonista, nonostante in realtà non conosciamo la verità sull’omicidio. The Night Of ci porta, però, a fidarci di Nasir, a credere a quella innocenza che sembra traspirare da tutti i pori, nel suo sguardo gentile ed educato, nel look da bravo ragazzo, nella timidezza di ogni gesto.

Nasir è un concentrato di sentimenti ed emozioni, laddove invece gli agenti, gli avvocati e tutti coloro che incontra alla stazione di polizia, trasudano freddezza e distacco.

Per i poliziotti presenti sul luogo quel caso di omicidio non è altro che l’ennesimo lavoro da risolvere il prima possibile, nella speranza di poter finalmente tornare a casa, godersi una tranquilla serata in famiglia e dimenticare i problemi del lavoro.

Un omicidio, d’altronde, è una bella gatta da pelare per un’agente. Ci sono documenti su documenti da compilare, indagini da svolgere, scene del crimine da esaminare. E per un lavoratore che avrebbe dovuto finire il proprio turno già ore prima, un crimine del genere può trasformarsi in un vero incubo.

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Una scocciatura: è questo che l’omicidio di una giovane donna rappresenta per quegli agenti, è questo che rappresenta per loro Nasir. Non c’è tempo, non c’è voglia di impegnarsi a trovare la verità su quanto avvenuto, non c’è interesse nel tutelare la vita di un ragazzo che potrebbe essere ingiustamente sottoposto a un calvario giudiziario forse immeritato.

Quando un uomo come Nasir arriva in stazione, la potenziale arma del delitto in tasca e una fuga colpevole della scena del crimine alle spalle, rimane poco su cui discutere: quegli indizi sono sufficienti per la legge per poter trattenere l’uomo, per potersi sentire a posto con la coscienza nel considerare il caso chiuso e rimandare i fascicoli al giudice. Che la verità sia veramente quella in fondo a nessuno interessa.

Se ne rende conto immediatamente Nasir, che tremante e impaurito aspetta nella sua sedia il verdetto sul suo destino, mentre coglie le battute annoiate degli agenti, intenti a parlare di lui come di una scartoffia da archiviare il prima possibile.

Vorrebbe parlare Nasir, vorrebbe urlare la sua verità. Ma in tutta la stazione non sembra esserci nessuno davvero disposto a sentire la sua voce.

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Ed è così che Nasir arriva ad essere imputato di omicidio, chiuso insieme ai peggiori criminali, in attesa di un processo che deciderà le sue sorti.

Nel frattempo, però, ad attenderlo vi è un trattamento da vero e proprio omicida. Il carcere, giungla spietata in cui i criminali vengono lasciati in balia di se stessi, arriva prima ancora della condanna, perchè se l’innocenza è presunta fino a prova contraria, dietro le sbarre non c’è posto per ascoltare la verità di nessuno, si è solo numeri, reietti della società, rinchiusi a scannarsi a vicenda per poter sopravvivere.

E in quell’ambiente Nasir è costretto a cambiare se stesso pur di non andare alla deriva, di trasformarsi nell’uomo che tutti, anche sua madre, sono ormai convinti lui sia. Lo si percepisce nel cambio, radicale e repentino, che il suo look subisce. Tatuaggi, capelli rasati, muscoli in vista: dettagli che sostituiscono fino a celare l’identità di Naz.

Dentro il carcere Nasir si trasforma nella peggior ombra di sé stesso, abbandonato all’interno di una realtà che non gli appartiene e in cui nessuno sembra disposto a difenderlo.

Verità e pregiudizio iniziano a confondersi, fino a lasciare lo spettatore completamente travolto dall’apparenza, tanto da non riuscire più a credere all’innocenza di Naz, quell’innocenza che lui stesso ormai non riesce più a dichiarare con la stessa convinzione dell’inizio.

Potente e d’impatto è la scena della testimonianza di Naz che The Night Of ci offre, tra le scene più sconvolgenti della serie, in cui il protagonista, ormai vessato e assorbito da un sistema che l’ha travolto fino a distruggerlo, arriva persino a mettere in dubbio se stesso, confessando di non sapere più quale sia la verità su quella notte.

Si sente sporco Nasir, si sente colpevole, perchè è questa la sensazione che essere trattato ogni giorno come tale comporta. Per la legge egli è ancora innocente, ma per tutto il mondo è solo un assassino feroce capace di uccidere a coltellate una donna. E chi è Nasir per contraddire il mondo intero? Come può sentirsi certo di non aver commesso ciò di cui viene accusato se non ricorda assolutamente nulla di quei minuti in cui Andrea è stata uccisa?

Forse la follia omicida è sempre stata parte di lui, come dichiarano quegli avvocati dell’accusa che tanto sembrano credere nella sua colpevolezza, forse un lapsus di pazzia l’ha davvero portato a compiere un gesto così estremo e a rimuoverlo del tutto, come se non fosse mai avvenuto.

Nasir non sa più nulla, ma in fondo forse nemmeno più gli importa di scoprirlo.

Eppure tra quella folla inferocita pronta a chiedere la sua testa, esiste un uomo, uno solo, che ancora sembra avere fiducia nella giustizia e in Nasir. È John Stone, il brillante avvocato difensore che costituisce uno dei personaggi più affascinanti e amabili di The Night Of.

Quell’uomo spezzato dalla vita, considerato anch’esso un rifiuto esattamente come Nasir e i criminali che difende, è l’unico a credere ancora sul serio nel potere più puro e sincero della legge.

Vuole scoprire la verità, lo vuole a tutti i costi, ma soprattutto vuole salvare quell’ingenuo ragazzo di cui ancora riesce a vedere la bontà. Lui che in quell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” usato quasi come una formula magica all’interno di ogni processo ci crede ancora davvero, non riesce ad arrendersi all’idea che un uomo probabilmente innocente possa essere condannato solo per la pigrizia di degli agenti poco disposti a cercare la verità.

Non ha certezze, non sa cosa sia successo veramente quella notte, ma conosce la legge, crede fortemente nei suoi brocardi. Se è vero che Nasir non può essere dichiarato innocente, è vero anche che non esistono prove sufficienti per considerarlo un criminale e questo, secondo la legge, è sufficiente per lasciarlo libero.

Nel discorso che John pronuncia davanti alla giuria a conclusione del processo, troviamo tutta la verità di un sistema che finge di basarsi sulla legge e sulle prove, ma che invece è fondato e radicato nel pregiudizio, lo stesso che ha portato Nasir ad essere giudicato senza nessuna vera prova della sua colpevolezza, solo sulla base di un’indagine affrettata e pigra.

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Quando è stato arrestato ha perso tante cose. Ha perso la libertà di tornare a casa dalla sua famiglia, di tornare a scuola e al lavoro notturno con cui si pagava gli studi. Ma ciò che non ha perso, perchè nessuno di noi può perdere, sono i suoi diritti costituzionali ad avere un avvocato, ad avere un giusto processo da parte vostra, i suoi pari, e al diritto alla presunzione della sua innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio. Una parola pronunciata molto spesso. Ma che significa veramente? Qual è la sua definizione? In realtà non ne ha una. È ciò che pensiamo, ma più che ciò che pensiamo ciò che proviamo. E quello che proviamo, quello che voi provate, determinerà quello che succederà al resto della vita di questo giovane uomo.

John Stone – The Night Of, 1×08

Alla giuria spetta l’ultima parola sulla sorte di Nasir, un insieme di civili chiamati a giudicare la vita di un uomo e a stabilirne il futuro. A loro, John ricorda la responsabilità a cui sono chiamati, quella stessa responsabilità che avrebbe dovuto guidare i passi degli agenti, del procuratore e di tutti gli altri professionisti chiamati a indagare sul caso.

Ma lì dove la giustizia ha fallito, dimostrando con un’indagine frettolosa e annoiata tutte le falle di un sistema che non ha davvero interesse a cercare la verità, la giuria può ora supplire a ogni mancanza, dimostrando di capire il vero senso della legge e il suo valore.

E, sorprendentemente, la giuria ci riesce. Incantati e stupiti dalle parole di quell’avvocato così imperfetto, ma altrettanto tenace, la giuria si rinchiude con la piena consapevolezza di ciò a cui viene chiamata.

Il criminale che sono chiamati a giudicare, torna in quel momento ad essere uomo: un essere vivente come loro, che gode dei loro stessi diritti, a cui deve essere concesso il beneficio del dubbio. Un dubbio che in questo caso è troppo penetrante, troppo incombente per poter essere ignorato.

E così la giuria decide di non decidere, dichiara stallo, si arrende di fronte alla consapevolezza di non poter supplire a un sistema che si è dimostrato incapace e assente. Nasir forse non è innocente, ma non è certamente definibile colpevole oltre ogni dubbio e, pertanto, merita la possibilità di dimostrare la propria verità.

Esattamente come Andrea, quella vittima dimenticata che è il fulcro del processo, ma anche la più grande assente dello stesso. Cosa si è fatto per assicurarsi davvero di prendere il suo assassino? Quante strade sono state percorse ed esaminate prima di giungere a una conclusione che vede in Nasir il colpevole dell’omicidio?

Nessuna, o quantomeno non abbastanza. E allora la maschera che fino a quel momento aveva coperto tutto il sistema cade inesorabilmente, sconfitta di fronte a una cruda realtà che spaventa ogni uomo che in quel meccanismo ci ha sempre voluto credere. La giustizia è solo una finzione, una bugia raccontata per renderci più tranquilli. Perché la giustizia, quella vera, non sarebbe mai stata disposta ad accettare un colpevole qualsiasi, non si sarebbe mai spinta verso un processo in cui non credeva, solo per lavarsene le mani, dimenticando che con ogni suo gesto stava trasformando e modificando il destino di un uomo capitato forse per caso tra le sue mani.

Di fronte a questa sconcertante verità, persino il procuratore fatica a rimanere in piedi. Non trova il coraggio di assumersi la responsabilità di crocifiggere un uomo per la seconda volta, non di fronte a quella superficialità che sa di aver adoperato durante tutte le indagini. Così sceglie di non procedere, lasciando Nasir di nuovo libero, seppur senza concedergli una sentenza o delle scuse in grado di porre veramente fine alla vicenda.

Il caso viene archiviato, come se non fosse mai esistito, e la vicenda diventa solo un lontano ricordo, mentre ognuno torna alla sua vita. Il carcere si popola di nuovi uomini, i giudici si siedono a presiedere nuovi processi, e tutto ritorna a girare esattamente come ha sempre fatto.

Ma per Nasir ormai è troppo tardi. Ciò che ha vissuto, ciò che ha passato, è troppo grande per lui. L’uomo che era entrato nella stazione di polizia all’inizio della storia non esiste più. È stato ucciso, brutalmente distrutto esattamente come Andrea, lasciando il posto a un nuovo essere: un drogato senza più identità nè certezze, un possibile criminale e forse persino assassino, abbandonato dallo stato e dalla legge.

Il carcere lo ha cambiato per sempre, e alla fine dei fatti non ha più importanza che lui fosse o non fosse l’assassino di Andrea. Il sistema non si è posto questa domanda quando doveva e non lo ha fatto nemmeno alla fine, perchè la verità non è mai stata una priorità, era solo una variabile, millesimale, insignificante, in un gioco che di fatto non ha nessun interesse a perseguire la vera giustizia.

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