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Negli ultimi anni, Netflix ha costruito gran parte del proprio successo sull’immediatezza e sull’abbondanza. Nello specifico, su un tipo di produzione originale che spazia tra i generi con una versatilità che spesso è anche sinonimo di dispersione. I thriller, i true crime, i teen drama e le commedie romantiche costituiscono da tempo l’ossatura del suo catalogo. Ma esiste un’altra categoria narrativa che la piattaforma ha saputo esplorare con crescente maturità: la dramedy. E The Four Seasons – che potete trovare qui – serie ideata da Tina Fey, Lang Fisher e Tracey Wigfield, ne è forse una delle prove più convincenti e, francamente, inaspettate. Dramedy è un termine che può apparire vago, quasi un compromesso. Ma in realtà definisce un equilibrio molto preciso tra il tono emotivo e quello leggero. Tra la risata e il pianto, tra la leggerezza narrativa e la profondità di temi.
The Four Seasons è un esempio riuscito di quanto si possa ottenere quando una piattaforma come Netflix decide di puntare su un racconto che non ha paura di rallentare e lasciare spazio all’imperfezione.
Il titolo non è solo una metafora: The Four Seasons si sviluppa in quattro atti. Ognuno di essi corrisponde a una stagione dell’anno, ma anche a una fase emotiva della vita dei protagonisti. La trama segue un gruppo di amici di lunga data. Sono tutti adulti, con esistenze apparentemente stabili, e si ritrovano ciclicamente per trascorrere qualche giorno insieme in vacanza o in occasioni particolari. Il ritmo del racconto è volutamente scandito dal passare del tempo e delle quattro stagioni, e con esso anche i cambiamenti sottili – e a volte drammatici – che avvengono nei rapporti. Ogni episodio sembra fatto per sedimentare, non per stupire. I cliffhanger non sono acrobatici. Ma hanno la forza di chiudere un ciclo ben scandito e invogliare lo spettatore a continuare a scoprire lo sviluppo delle vite dei protagonisti. The Four Seasons, per questo motivo — e per la sua sottile ironia — è una serie che si fa guardare tutta d’un fiato, seppur con leggerezza.
E’ proprio in questa scelta stilistica che risiede il punto di forza della serie. The Four Seasons non ha l’urgenza di intrattenere a tutti i costi, quanto piuttosto quella di raccontare con sincerità i movimenti impercettibili dell’animo umano. Il grande merito degli sceneggiatori è quello di aver trovato un equilibrio narrativo. Equilibrio che riesce a far convivere momenti di pura tenerezza e scambi intrisi di sarcasmo e ironia, senza mai sacrificare la coerenza dei personaggi. La dramedy, per essere davvero tale, non deve alternare sketch comici e lacrimevoli monologhi drammatici. Deve far convivere entrambi gli elementi all’interno della stessa scena, se non addirittura della stessa battuta. In The Four Seasons dolore e risata non sono opposti, ma strumenti diversi per affrontare lo stesso vuoto. Le battute taglienti dei personaggi non sono semplici comic relief, ma modi di difendersi dalla malinconia e dal passare del tempo.
Il tema centrale della serie (qui trovate la nostra recensione) è proprio l’acquisizione, da parte dei protagonisti, della consapevolezza che nessuna relazione, per quanto solida, è immune al logoramento.
È anche in questo che la serie dimostra una maturità rara: sa parlare dell’amicizia con uno sguardo adulto. L’obiettivo non voluto dei personaggi è quello di imparare a comprendersi all’interno delle coppie e dei rapporti di amicizia. Osservare come i legami più duraturi non siano necessariamente quelli più semplici o più felici, ma quelli che resistono alle intemperie, proprio come le stagioni. Un altro aspetto da sottolineare è la forza interpretativa del cast. A guidare il gruppo troviamo attori di grande esperienza. Tina Fey e Steve Carell, ma anche il recente candidato all’Oscar Colman Domingo, Will Forte e un eccezionale Marco Calvani. Nessuno dei personaggi è scritto per essere il protagonista assoluto: si tratta di un vero ensemble. Ogni figura ha il suo spazio, il suo momento di crisi e verità, ma anche la sua presa di coscienza definitiva.
Sebbene i protagonisti appartengano a una generazione precisa – quella di chi ha attraversato gli anni Novanta da giovane adulto e oggi si confronta con la mezza età – The Four Seasons riesce a parlare a tutti. Per quanto la nostalgia sia un elemento nevralgico all’interno del racconto, si tratta di un tipo di nostalgia universale e non indirizzata a un’unica generazione. La paura del cambiamento, il confronto con la malattia, le fratture familiari, i fallimenti professionali, la solitudine, il tradimento e il perdono. Sono tutti temi che vengono ampiamente sdoganati ma trattati senza facili — e soprattutto banali — soluzioni, quanto più con un realismo che lascia ampio spazio alla riflessione. The Four Seasons non dà risposte definitive, ma suggerisce che ciò che conta davvero sono i dettagli. I piccoli gesti di cura, l’accettazione dell’imperfezione altrui e propria. E soprattutto, ci ricorda che l’amicizia non è un’entità statica, ma un organismo vivo, che ha bisogno di manutenzione.
Con The Four Seasons, Netflix sembra aver indirizzato il proprio rapporto con le dramedy verso una direzione sempre più consapevole (qui trovate 5 dramedy più comiche che drammatiche)
Con questa serie, Netflix dimostra ancora una volta di saper intercettare i desideri di un pubblico adulto, ma soprattutto colto e in cerca di storie significative. Negli ultimi anni, titoli come Master of None, After Life e Russian Doll avevano già indicato una direzione chiara nella produzione di dramedy capaci di rompere le convenzioni. The Four Seasons prosegue su questa scia con una voce ancora più matura e riflessiva. La scelta di produrre una serie con questo tono e questo respiro, con una narrazione lenta e profondamente umana, è anche una sfida all’algoritmo e all’immediatezza compulsiva dello streaming. Per quanto sia una serie che si presta anche al binge-watching, richiede un certo tipo di visione. The Four Seasons è una serie che si prende cura dello spettatore.
Non con la spettacolarità o con i colpi di scena, ma con la delicatezza di chi sa raccontare la vita per quella che è: complicata, imperfetta, ma comunque degna di essere vissuta. È un invito a fermarsi, ad ascoltare, a guardare chi ci sta accanto con occhi nuovi. In un panorama televisivo sempre più dominato dal rumore, dalle accelerazioni narrative, dalle serie usa-e-getta, The Four Seasons è un’opera che fa della delicatezza il suo punto di forza. E nel farlo, dimostra che Netflix sa ancora scommettere su contenuti di qualità, anche quando non gridano per farsi notare. La dramedy, se ben scritta, è quanto di più vicino ci sia all’arte in termini di serialità. E The Four Seasons ne è la prova, e non soltanto per il suo titolo evocativo.