Vai al contenuto
Home » The Bear

The Bear – La sofferenza, l’uomo, la redenzione: questo è Richie Jerimovich

The Bear

Ogni giorno proviamo a raccontare le serie TV con la stessa cura e passione che ci hanno fatto nascere. Se sei qui, probabilmente condividi la stessa passione anche tu. E se quello che facciamo è diventato parte delle tue giornate, allora Discover è un modo per farci sentire il tuo supporto.

Con il tuo abbonamento ci aiuti a rimanere indipendenti, liberi di scegliere cosa raccontare e come farlo. In cambio ricevi consigli personalizzati e contenuti che trovi solo qui, tutto senza pubblicità e su una sola pagina. Grazie: il tuo supporto fa davvero la differenza.

➡️ Scopri Hall of Series Discover

Nel panorama delle serie contemporanee, The Bear ha avuto il merito di scavare con rara autenticità nell’anima dei suoi personaggi. Ma se c’è una figura che più di tutte incarna lo spirito della trasformazione, della fragilità e della resilienza, quella è Richie Jerimovich. A interpretarlo, un Ebon Moss-Bachrach semplicemente monumentale, capace di trasmettere un’intera esistenza anche solo con uno sguardo. Richie non è solo un personaggio. È un urlo che cerca di diventare voce, un errore che vuole imparare a essere possibilità.

Chi è Richie Jerimovich?

Richie è l’ombra di un passato che non riesce a diventare presente. È il vecchio amico di Mikey, fratello di Carmy (interpretato dal talentoso Jeremy Allen White) rimasto impigliato nei giorni andati e incapace di leggere il futuro. È la voce dissonante, l’anello debole, ma anche il più resistente, della catena che collega “The Beef” a “The Bear”. Nel caos metodico della cucina di Chicago, Richie è il tassello che non combacia, ma senza il quale il puzzle non si chiude.

La sua è una figura profondamente umana: rabbiosa, inadeguata, spesso goffa. Ma anche leale, piena d’affetto, con un cuore che pulsa sotto la scorza dura. La sua presenza nel gruppo è ingombrante quanto indispensabile: è il cugino che non ha un posto fisso ma è sempre lì, nei momenti più critici. La perdita del fratello di Carmy, il divorzio, la paternità vissuta a metà, sono elementi che lo schiacciano e lo spingono a urlare, sbraitare, negare. Ma sotto la superficie, Richie cerca disperatamente un modo per essere visto, ascoltato, accolto.

The Bear

Una grande crittura: stratificazione, non esposizione

La grande forza della scrittura di Richie in The Bear sta nella sua gradualità. Non c’è esposizione forzata, nessuna voce fuori campo a spiegarci chi è. Richie ci viene mostrato, un dettaglio alla volta. I suoi gesti dicono più delle sue parole, i suoi silenzi raccontano più dei suoi urli. È un personaggio costruito con la pazienza di chi sa che la verità di una persona non si coglie mai al primo incontro.

Il processo di scrittura rifugge gli stereotipi: Richie non è il “maschio tossico” da cui prendere le distanze, ma neanche il clown da compatire. È un uomo in crisi, punto. E la crisi non viene risolta con miracoli o epifanie, ma con fatica, resistenza, e piccoli, insignificanti cambiamenti. La sua parabola narrativa è una delle più raffinate della televisione recente. Non c’è mai un momento in cui Richie cambia completamente; piuttosto, evolve. E quando lo spettatore se ne accorge, il cambiamento è già avvenuto.

L’episodio “Forks” della seconda stagione è un esempio magistrale di questo percorso. Ambientato in un contesto diverso, elegante, quasi antitetico al mondo del Beef, Richie si trova a dover apprendere un nuovo linguaggio fatto di precisione, gentilezza, empatia. E lo fa con esitazione, poi con stupore, infine con fierezza. Lì, più che in ogni altro momento, vediamo cosa significa davvero “scrivere” un personaggio: lasciargli spazio per esistere.

the bear

Recitazione: oltre il realismo, dentro l’anima

Ebon Moss-Bachrach non interpreta Richie. Lo incarna. Lo fa con una fisicità febbrile, con un uso della voce nervoso, ma soprattutto con una gamma espressiva che trasforma ogni sguardo in un micro-dialogo interiore. La sua è una recitazione che non ha bisogno di urlare per farsi sentire, ma quando lo fa, ti strappa dalla poltrona. L’attore riesce in un compito quasi impossibile: rendere Richie sia repellente che adorabile, fastidioso ma necessario. In ogni scena riesce a far convivere incertezze e improvvise accensioni, goffaggine e intuizione. La sua performance è diventata una lezione di recitazione su come rendere tridimensionale un’anima ferita. I due Emmy Awards ricevuti non sono semplici riconoscimenti, ma conferme di una verità già evidente a ogni spettatore: Moss-Bachrach ha dato a Richie un cuore vero, un cuore stanco, ma ancora capace di battere con forza.

The Bear: Richie, il cuore della serie

Carmy è il genio schiacciato dal trauma, Sydney è la tecnica che cerca una via per emergere. Ma Richie è l’umanità che sanguina. È il caos che, puntata dopo puntata, impara a diventare ordine. È il cuore emotivo della serie, perché porta dentro di sé i temi più universali e difficili: la perdita, la dignità, il bisogno disperato di essere accettati nonostante gli errori.

La sua evoluzione agisce come una lente di ingrandimento sulla fragilità dell’età adulta: Richie è costretto ad affrontare se stesso in un mondo che lo ha sempre considerato marginale. Le sue reazioni scomposte sono il sintomo di chi non è mai stato preparato alla tenerezza, alla vulnerabilità, alla possibilità del cambiamento. Ma è proprio in questo scontro tra ciò che è e ciò che potrebbe essere che si gioca la sua vera grandezza narrativa. Non è l’uomo che riesce, ma quello che tenta. E in questo tentativo, che è lotta e sforzo continuo, Richie diventa lo specchio di milioni di adulti imperfetti che cercano di salvarsi a modo loro.

the bear 3

Richie e la bellezza imperfetta dell’adulto fragile

Viviamo in un’epoca che idolatra i personaggi cool, infallibili, scritti per piacere al primo colpo. Richie, invece, è l’opposto: ti respinge, ti mette alla prova. Ma se decidi di seguirlo, episodio dopo episodio, scoprirai qualcosa che va oltre la televisione: scoprirai un pezzo di te stesso. Il personaggio di Richie è un inno alla possibilità. Possibilità di migliorarsi, di trovare un proprio centro anche quando sembra troppo tardi, di essere amati pur non essendo perfetti. E tutto questo viene raccontato senza didascalie, con una delicatezza che lascia il segno.

La sua figura racchiude un messaggio potente: si può essere disfunzionali e meritare amore, si può essere imperfetti e restare centrali nella vita degli altri. Richie ci insegna che il cambiamento vero non è spettacolare, ma quotidiano. È una scelta lenta, spesso invisibile, ma inarrestabile. E questo lo rende uno dei personaggi più veri, più necessari e più profondamente umani della televisione contemporanea. Non un eroe. Non un villain. Solo un uomo, e tanto basta. Noi vi lasciamo con la nostra Recensione della quarta stagione.

Vuoi navigare su Hall of Series senza pubblicità, ricevere contenuti esclusivi e soprattutto scoprire nuove serie tv da vedere che fanno al caso tuo senza dover aspettare ogni volta che ti capiti un articolo, un post o un video? Ti aspettiamo su Hall of Series Discover