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Stranger Things 2 – Diverse linee narrative, stesso risultato

La seconda stagione di Stranger Things sta gradualmente (ma neanche troppo) conquistando i cuori e le menti dei suoi fan da quando, lo scorso 27 ottobre, Netflix ha rilasciato come di consueto le 9 puntate tutte in un giorno. Questo sequel aveva l’arduo compito di confermare una prima stagione che ha lasciato il mondo a bocca aperta, creando un vero e proprio fenomeno di massa inaspettato e, come spesso accade, esagerato sotto alcuni punti di vista. Uno dei motivi per cui la prima stagione dei fratelli Duffer era stata così apprezzata era l’unione tra linee narrative chiare e il mistero che si cela dietro determinati personaggi ed eventi; in particolare, la figura di Eleven era quella più affascinante e da scoprire, e rappresentava una sottotrama autonoma rispetto al resto della storia. In Stranger Things 2 le cose, invece, sono un po’ diverse.

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In questa stagione, invece, notiamo che i percorsi narrativi tracciati sono diversi ma soprattutto più numerosi; abbiamo infatti quello dei ragazzini col nuovo entrato Max; quello di Eleven con Hopper; quello di Nancy e Jonathan e, all’inizio, tra Nancy e Steve; l’improbabile accoppiata di Steve con i ragazzini (ma prima solo con Dustin); infine quello di Will con sua madre e in generale il rapporto con il laboratorio di Hawkins.

Quello che avevamo notato nella prima stagione è un tentativo di avere diverse linee narrative ma, sostanzialmente, cercare di farle congiungere il più presto possibile. In questo constatiamo una notevole differenza in questa seconda stagione di Stranger Things, visto che l’indipendenza delle storylines è molto più durevole rispetto alla stagione precedente.

Verrebbe quasi da dire, in realtà, che in questi 9 episodi le storie ci mettano troppo tempo per congiungere nella risoluzione finale degli eventi. Questo è anche attribuibile al fatto che, come fatto notare poco sopra, gli intrecci sono numerosi e quindi più difficili da snodare (la famosa “troppa carne al fuoco”). Ad ogni modo, questo è ciò che attiene allo sviluppo.

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Che dire, invece, dell’esito? Qui il discorso cambia, nel senso che Stranger Things ottiene in questa stagione lo stesso risultato che aveva conquistato nella precedente. L’unione delle linee narrative, infatti, porta ad avere in Eleven l’epicentro risolutivo dei guai e dei pericoli corsi dagli altri protagonisti (come era avvenuto nella 1×08); inoltre, entrambe le stagioni si concludono con un lieto fine a metà: nella prima, infatti, il salvataggio di Will è turbato dalla sua visione del Sottosopra una volta andato in bagno; nella seconda, il delizioso e dolce Snow Ball è invece molestato, nel Sottosopra, dalla presenza del Mind-Flayer, evidentemente solo messo in fuga e non completamente sconfitto da Joyce, Nancy e Jonathan.

A proposito di Eleven, in merito a questa seconda stagione è necessario fare un’osservazione. La sua storyline è talmente separata che ad un certo punto della storia possiamo tranquillamente dimenticarci della sua presenza; paradossalmente, se da un certo punto di vista questa è una nota negativa per la sceneggiatura, in realtà produce un effetto di ingresso in scena più imponente vista la dinamica allontanamento-riavvicinamento con la sua realtà di Hawkins. Rimane, tuttavia, a tratti, un’assenza pesante che gli sceneggiatori cercano di compensare dedicandole completamente un episodio (il settimo).

Forse sta proprio in questo episodio aggiuntivo la differenza con la prima stagione che, personalmente, ho (seppur di poco) preferito alla seconda. Quest’ultima, tuttavia, è un ottimo sequel dal punto di vista della gestione e della dinamicità della trama, che si conferma (al netto di alcune domande senza risposta) il punto forte, insieme alle atmosfere, di questa Serie.

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Stranger Things, insomma, continua per la sua strada senza perdere il brio e la vivacità della prima stagione, ma aggiungendo pericolosamente materiale che inevitabilmente non sarà sempre facile da gestire. Ma per ora va bene così.

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