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Cosa ha funzionato in The Mandalorian che invece non ha funzionato in The Book of Boba Fett?

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sui due spin-off di Star Wars

Entrambi appartenenti alla galassia lontana lontana di Star Wars, The Mandalorian e The Book of Boba Fett sono, in ordine temporale, gli ultimi due prodotti targati Disney. Tuttavia, la storia del mandaloriano Din Djarin sembrerebbe aver avuto più fortuna del personaggio interpretato da Temuera Morrison. Ci siamo chiesti perché, cosa ha funzionato in The Mandalorian che in The Book of Boba Fett non ha trovato la quadra?

Prima di tutto partiamo dicendo che sono due serie molto diverse, perché lo è il concetto di base: la storia di Mando è scritta per presentare un nuovo personaggio nell’universo di Star Wars, quella di Boba Fett è pensata per far rinascere una figura storica che nella trilogia originale di Lucas è molto in ombra. Gli approcci utilizzati per le due produzioni sono abbastanza differenti e lo vediamo già dal primo episodio di entrambe scritte dalla stessa mano, quella di Jon Favreau.

The Mandalorian, la prima serie live action di Star Wars.

Din Djarin è un cacciatore di taglie fedele all’antica via che evolverà nel corso della serie mostrando un ruolo a tutto tondo che coinvolge lo spettatore. Quello interpretato da Pedro Pascal è un eroe nuovo, per cui gli sceneggiatori hanno avuto carta bianca, con tutti i rischi che ne sarebbero derivati. È facile fallire quando si propone una figura diversa in un universo già ben delineato come quello di Guerre Stellari. La bravura di Favreau, già ben nota, è ancora più marcata se pensiamo a questo aspetto. The Mandalorian è una serie di facile comprensione e anche partecipativa: a conti fatti, Din Djarin si muove in un’ambientazione che ricorda il genere western chiara e definita creando un turbinio di emozioni negli spettatori che partecipano attivamente alle sue avventure. Siamo di fronte ad un personaggio molto carismatico che preferisce i fatti alle parole.
La produzione ci spiega sin dall’inizio la realtà dei cacciatori di taglie nella galassia ma anche cosa è accaduto dopo la caduta dell’Impero. E si fa interessante già dalla prima puntata in cui incontriamo, in ordine cronologico: il capo della Gilda (Greef Karga), un mentore che insegna a Mando come cavalcare i Blurrg (Kuiil) e un compagno di viaggio che cambierà nel profondo lo stesso Din Djarin, Grogu o Baby Yoda.

Viste le premesse, i punti a favore di The Mandalorian sono diversi.

Partiamo dalla relazione tra Grogu e Mando, così autentica e ricercata da coinvolgere il pubblico fino a un finale epico quanto strappalacrime. Il loro rapporto è il collante della serie, mai banale. Ovviamente la scena meravigliosa a cui assistiamo (ma non facciamo spoiler) non esisterebbe se non ci fosse stato un solido percorso precedente. L’iter relazionale così stretto si crea grazie a un Pedro Pascal che riesce a emozionarci anche senza mostrare il suo volto, coperto dal casco, e a un Favreau che decide di svelare qualcosa in più su Grogu man mano che la serie procede. Tant’è che nella seconda stagione di The Mandalorian viene creato un vero e proprio background del piccolo esserino verde, responsabile di aver stregato Mando e fan, attraverso informazioni centellinate puntata per puntata. Altro plus della storyline è senza dubbio l’introduzione di Grogu. Soprannominato Baby Yoda dai fan, ha avuto un successo planetario che nemmeno Disney credeva di ottenere. La serie così, ha guadagnato non solo il consenso dei fedelissimi ma anche nuovo pubblico che si è affezionato al piccolo mangia rane. Tuttavia, oltre al bellissimo legame, quasi paterno, che fa da perno centrale nella serie, The Mandalorian ha altri assi nella manica.

Uno è la coerenza. Pensiamo, ad esempio, alle puntate filler della prima stagione. Queste ultime vengono riprese nella seconda per rendere la storia una grande narrazione complessa che si apre per fare spazio anche ad altri nomi noti. Gli appassionati conoscono bene, infatti, Cobb Vanth, Bo-Katan, Luke Skywalker, Ashoka e, naturalmente, Boba Fett. La seconda parte di The Mandalorian è a tutti gli effetti, quindi, una rampa di lancio per allargare il grande universo di Star Wars e creare spunti per nuove serie (ne uscirà, ad esempio, una su Ashoka già confermata). La bravura della scrittura sta, inoltre, nel fatto di aver saputo intersecare una trama verticale, basata sulle avventure del mandaloriano, ad una orizzontale che porta avanti la narrazione attraverso dei riferimenti ad altre produzioni dello stesso universo. Lo schema da cui hanno tratto ispirazione è chiaramente quello della Marvel Cinematic Universe.

Per quanto riguarda The Book of Boba Fett, invece, l’esordio è decisamente in salita.

Nonostante ci si aspettasse un lavoro più facile, dato che Boba è un personaggio conosciuto e consolidato nell’universo di Star Wars, la produzione sin da subito si mostra troppo complessa. La prima puntata, infatti, è piena di riferimenti per gli appassionati e un po’ troppo prolissa. Questa caratterizzazione probabilmente penalizza la ricerca di nuovo pubblico che Disney porta avanti da qualche tempo. Probabilmente sarebbe necessario caratterizzare meglio il personaggio, che in Star Wars ha tutt’altra caratura, per dargli quel pathos che manca, specialmente se paragonato a Din Djarin. Basterebbe confrontarli per capire come il carisma di Mando sia nettamente superiore a quello di un Boba che preferisce fare discorsi piuttosto che agire. Bisognerebbe, inoltre, creare una storyline che possa coinvolgere tutti, anche i non appassionati. Quindi, cos’è di The Book of Boba Fett che potrebbe essere rivisto? Partiamo dall’intreccio narrativo che non si presenta fluido e omogeneo. I capitoli, infatti, sono divisi seguendo due linee temporali: una incentrata sul presente che ci mostra un Boba Fett cambiato alla prese con la ristrutturazione del vecchio impero di Jabba the Hutt e una ambientata nel passato che racconta della sua trasformazione. Boba Fett, infatti, da mero cacciatore di taglie senza scrupoli, dopo essere stato a contatto con una tribù dei Tusken, diventa un personaggio con una propria morale.

Uno spin off di Star Wars che la critica ha definito nel complesso lenta, incostante e frammentaria

La storyline fa fatica a decollare, specie nei primi quattro episodi, e quando cerca l’insolito, anche per velocizzassi un po’, non riesce a realizzarlo in maniera soddisfacente. Pensiamo ai giovani criminali punk che sfrecciano per le strade di Mos Espa a bordo di speeder colorati che sembrano Vespe. I personaggi sono fuori luogo per abbigliamento e presentazione, l’inseguimento è lento e caratterizzato da inquadrature statiche. Ricorda quasi l’episodio di Scrubs in cui vediamo Carla, JD e Turk in motorino. Quindi, The Book of Boba Fett dai recensori, ma anche dai fan, è additato come deludente e un po’ noioso almeno fino al quinto capitolo, quando appare un personaggio che risolleva la produzione: Mando.

Capitolo 5: “Il ritorno del Mandaloriano”

Da qui il ritmo, rispetto alle prime puntate, sale e anche di molto. La narrazione diventa magicamente in grado di tirare in ballo tutte le trilogie e la serie animata, ma solo dopo aver messo da parte il protagonista. È chiaro a questo punto come Boba Fett sia uno spin-off di The Mandalorian e, specialmente nelle ultime puntate, sembra addirittura un riempitivo che fa da ponte in attesa della terza stagione delle vicende del pistolero con il Bambino. La produzione non ha vita propria. Boba, infatti, è una maschera e non un personaggio.

Il prodotto appaga emotivamente solo in alcuni episodi utilizzando la tecnica del fan service: si dà al pubblico ciò che vuole vedere.

A dimostrazione di ciò, i capitoli iniziali sono dedicati ai fan storici, a coloro che apprezzano e forse attendono riferimenti generali all’universo di Star Wars. Dal quinto capitolo in avanti, invece, la scrittura cerca di attirare nuovi appassionati giocando su coloro che hanno amato Mando e Baby Yoda e che sono costretti così a guardare The Book of Boba Fett per sapere su cosa verrà basata una terza stagione della coppia più tenera della galassia.

In conclusione, la storia in sé potrebbe anche funzionare, peccato che non sia quella del protagonista che dà il nome alla narrazione.

The Book of Boba Fett è un omaggio al western, ancor più di The Mandalorian. Si è cercato di mostrare la parte più concreta e bellica di Star Wars sacrificando quella mistica da sempre presente in questo tipo di prodotto. Inoltre, quando Favreau decide di cavalcare l’onda della popolarità di Grogu e Mando dando spazio ai loro destini (forse troppo presto) sacrifica i personaggi dei capitoli iniziali, in primis Boba Fett e poi la sua coprotagonista Fennec Shand. Dopo aver elencato ciò che probabilmente non ha funzionato, non possiamo esimerci dal dire che comunque è un prodotto che è riuscito egregiamente in due aspetti: scrivere bene la digressione sui predoni Tusken, sui loro usi e costumi, e dare la possibilità di allargare ulteriormente l’universo, perché si sa, la galassia è davvero grande.

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