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Non è mai troppo tardi per capire quanto sia stata importante Spartacus

È passata ingiustamente in sordina Spartacus, una delle serie tv più sottovalutate di sempre nonostante sia stata capace di influenzarne tantissime. Per dirne una su tutti, Game of Thrones. Ispiratosi inevitabilmente al Gladiatore, amato da una nicchia di fan e sconosciuto ai più, lo spettacolo incentrato sullo schiavo ribelle più famoso della storia è riuscito a portare una ventata di novità nel panorama seriale. A cominciare dal comparto tecnico. Perché non si era mai visto un prodotto televisivo con un’estetica di questo tipo. Ruvida e cruda, come lo sono i suoi personaggi e la sua trama.

Dagli sfarzosi banchetti e le superficiali vanità dei ricchi – con le matrone coronate da meravigliosi vestiti e bellissime parrucche – alla miseria sporca e fangosa dei poveri, passando per una Capua lontana dallo splendore originale, ogni cosa nello show è riprodotta fedelmente. In più, quando guardiamo Spartacus, sembra di essere catapultati all’interno di un fumetto, in un perfetto omaggio alla scenografia e fotografia di 300 di Frank Miller. La serie di Steven DeKnight e Robert Tapert ne ricrea le atmosfere cupe e intense, aumentandone però il sangue e la violenza.

Ed è proprio l’elemento che ha penalizzato Spartacus, ovvero la tanta violenza, a essere non solo necessario, ma anche uno dei sui punti di forza.

L’azione è cruenta, brutale, con teste mozzate e arti che volano in ogni direzione; cascate di sangue miste a sabbia che si muovono in slow motion; giochi di forza bruta, di potere, di maestria elegante. Del resto, è pur sempre una serie tv che si basa sulle battaglie dei gladiatori, contro loro simili e contro i Romani, trasportandone sul piccolo schermo l’epicità. Basti pensare allo scontro finale tra Spartacus e Crasso, il più temibile avversario dello schiavo.

Spartacus

Nel corso della serie, il Trace affronta antagonisti che crescono d’intelligenza e arguzia, mai stereotipati o banali, difficilmente odiabili e percepiti come persone reali. Il primo step è il lanista Batiato, subdolo e arrivista, ma più umano di quanto mostri. Il secondo è il pretore Glabro, disposto a tutto per catturare il ribelle che ha frenato la sua carriera politica, anche a sacrificare quell’Ilizia ambiziosa, devota e da cui è stato per tanto tempo spronato. Si giunge a Crasso, uomo di grandi valori e, nonostante siano nemici, rispettoso di Spartacus e delle sue imprese. E per catturarlo si fa aiutare da Giulio Cesare, il quale mostra il suo genio strategico-militare e cerca di dirigere i pensieri di Crasso, mai facilmente manipolabile, verso i suoi obiettivi.

L’avvincente confronto tra Spartacus e Crasso, prima di essere fisico, è psicologico.

Si scontrano due menti astute ed estremamente fedeli ai propri ideali. Da un lato c’è un uomo talmente consacrato a Roma da ricambiare con il sangue chi osi minacciarla, anche a costo della sua vita o di quella del figlio. Dall’altro uno schiavo ribelle che combatte non solo per sé o per la sua libertà, ma per creare un mondo migliore dove nessuno debba essere messo in catene o privato dei suoi diritti. Due visioni che si mixano nella frase:

 “La giustizia non esiste, non in questo mondo.”

Lì trovano il loro punto d’incontro; lì comprendiamo che ognuno dei due lotta per ciò che ritiene giusto, ne ha pieno diritto e libertà. Perché non esiste una giustizia universale. E l’apice del loro scontro, che da strategico diviene poi fisico, viene raggiunto già quando Spartacus provoca la caduta da cavallo di Crasso con la tecnica di Crisso. Finiscono lontano dal caos della guerra, su quella collina dove, precedentemente, il Trace gli aveva promesso la morte, ingaggiando una lotta nel quale speravamo davvero che la storia si ribaltasse. Per una volta. Però, come Crisso, lo schiavo viene attaccato alle spalle, l’unico modo per fermarlo, con quelle lance che ne sentenziano la caduta.

Parlando di Crisso, il rapporto che instaura con Spartacus è una delle colonne portanti della serie tv. Da rivali per il titolo di Campione di Capua, diventano alleati, capi di un esercito con un solo scopo: capovolgere Roma e raggiungere la libertà. Unione che si scioglie all’inizio della terza stagione, ricongiungendoli però nello stesso destino: la morte. Quella di Crisso è dolorosa, commovente, e l’ultimo sguardo è rivolto alla sua Nevia, guerriera impavida, quasi come le volesse dire che questa non è la fine, perché:

“Presto saremo ancora insieme, in questa vita o nell’altra”.

Il prequel ci ha permesso di approfondire il Gallo e di scoprire il Celta. Gannicus è colui che, più di tutti, cresce nel corso dello spettacolo e, crocifisso, diviene quel martire che mai avrebbe voluto essere. Perché lui rifiuta di essere un leader della rivola fino alla fine, cambiando idea solo all’indomani della battaglia contro Crasso. E la sua redenzione è ancora più straziante, soprattutto nel momento in cui, prossimo alla fine, rivede il fantasma di Enomao, sente il suo perdono, ascolta di nuovo la folla nell’Arena acclamare il suo nome.

Più che l’amore, è l’amicizia a salvare il Trace durante il suo periodo da Batiato. E anche dopo.

Senza Varro, non avremmo avuto Spartacus. Tutti gli voltano le spalle nella scuola di gladiatori; tutti eccetto Varro. Quest’ultimo lo sostiene, lo spinge a combattere, lo incita a non arrendersi mai di fronte a niente e nessuno. E diviene suo fratello. Pagando questo rapporto con la morte, per mano di un’Illizia che si vendica nei confronti del nuovo Campione di Capua. Gettando Spartacus nella disperazione più totale: nel suo dormitorio, infatti, ha una reazione violenta, rabbiosa, mentre spacca ogni cosa.

Spartacus

E poi c’è lui, il protagonista. Uomo con principi forti, determinato a tornare dalla sua Sura in ogni modo, che tratta tutti con rispetto ed è disposto a morire per chi ama. Furente, impetuoso, bellissimo, energico, passionale e carismatico, che non l’avrebbe seguito? Soprattutto il primo Spartacus, quello del compianto Andy Whitfield, così perfetto nell’interpretare la parte dell’eroe ribelle e idealista che fa male pensare al suo crudele destino. La malattia non gli ha lasciato scampo e, allora, è subentrato Liam McIntyre, che soffre troppo nel confronto con il suo predecessore. E forse è uno dei motivi per cui la serie e il suo cast sono stati sottovalutati, nonostante gli ottimi e famosi interpreti.

Eppure, la scrittura dello spettacolo è talmente elevata da renderlo speciale e sopperire a quest’unica mancanza.

Essendo ambientata nell’antica Roma, i dialoghi rispecchiano il modo di parlare in latino. Le scene romantiche sono delle autentiche poesie; i discorsi dei gladiatori sono coinvolgenti, emozionanti e ritmati. Spartacus, poi, sa sempre cosa dire, anche quando sembra che le parole di conforto o di coraggio siano finite. Come lui, tutti i personaggi chiacchierano in maniera aulica, rendendo eleganti e seducenti gli inganni, le manipolazioni, i ricatti. Slittando da un registro all’altro senza tradirsi, alternando momenti di violenza ad altri romantici o di cronaca, ogni pezzo va brillantemente al proprio posto in questo meraviglioso puzzle di nome Spartacus.

Una serie tv all’avanguardia, in particolare per come tratta l’amore, raccontandolo in ogni sua forma, etero e gay che sia. E non manca il sesso, coerente con ciò che è rappresentato e con la storia in generale. Spartacus azzarda nel mostrare equamente e indistintamente nudi integrali maschili e femminili, arrivando quasi a superare chi della nudità ha fatto un marchio di fabbrica, ovvero Game of Thrones: quest’ultima, infatti, indugia troppo sulla rappresentazione di un sesso sbagliato, senza però riceverne le stesse critiche.

Ecco perché Spartacus è così importante. Non è solo sesso e sangue. È un dramma storico che intreccia mito e leggenda, che fa riflettere come pochi, che si evolve e fa evolvere con sé lo spettatore, che mixa così tante situazioni da unire ogni tipo di pubblico. Soprattutto, è la ricerca della libertà da parte di un uomo che ha lasciato un segno indelebile sull’umanità. E pur morendo, vince con quel messaggio profondissimo contro la schiavitù, arrivato fino ai giorni nostri. Perché, in un certo senso, tutti siamo Spartacus. Perché, come dice a quella goccia di pioggia che cade per accoglierlo nella morte, non c’è trionfo migliore che lasciare questo mondo da uomo libero.

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