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Sherlock vs Elementary: chi incastrerà meglio il pubblico?

In principio fu il tridente Ritchie – Downey Jr – Law a risvegliare l’anima di Mr Holmes dall’armadio polveroso in cui era stato inserito da tanti, troppi anni. Nel 2009 esce appunto Sherlock Holmes, pellicola con Robert Downey Jr nei panni dell’investigatore inglese e Jude Law in quelli di John Watson.
Nel 2010 quelli della BBC – non proprio gli ultimi arrivati – riadattano le vicende del detective firmato Conan Doyle, dando così inizio al fenomeno mediatico Sherlock. A interpretare i due protagonisti sono chiamati Benedict Cumberbacht e Martin Freeman.
Nel 2012 i CBS Television Studios e la Timberman-Beverly Productions decidono di sottoporre al grande pubblico un’ulteriore versione di Holmes e Watson e danno vita a Elementary, serie liberamente ispirata ai soggetti di Conan Doyle, ma con differenze sostanziali rispetto al canone classico. Il più incisivo è il sesso di Watson, che nella versione targata CBS è una (bellissima) donna interpretata da Lucy Liu. Holmes è un rinato Johnny Lee Miller.

Nel seguente pezzo passeremo sotto la lente di ingrandimento le due serie televisive, l’una inglese e l’altra americana, cercando di focalizzarci sulle varie sfaccettature che compongono una tv story.

TRAMA

Nella serie BBC si segue un canone holmesiano più marcato. Sherlock Holmes è un brillante detective londinese che più di una volta ha collaborato con Scotland Yard e l’ispettore Lestrade. John Watson, medico di guerra, ritorna a Londra dopo un conflitto che lo ha segnato in modo indelebile dal punto di vista psicologico e non riesce a trovare un posto nella società attuale. L’incontro tra i due protagonisti darà vita a una convivenza e una fruttuosa collaborazione finalizzata alla risoluzione dei casi più efferati della Londra dei giorni nostri.

In Elementary Rob Doherty capovolge quasi del tutto il soggetto di Conan Doyle. I protagonisti sono sempre Holmes e Watson, ma il primo vive a New York in quanto il padre lo ha spedito nella Grande Mela per resettare la sua vita dopo i problemi di dipendenza da stupefacenti avuti a Baker Street; Watson è invece una donna, un chirurgo che ha lasciato la professione per motivi oscuri e che adesso lavora come assistente di riabilitazione. Il suo cliente, coincidenza, è proprio l’arma segreta di Thomas Gregson, personalità a capo del NYPD.

Per quanto la trama di Elementary sia effettivamente intrigante, il dubbio che sorge è il seguente: se i due protagonisti non si fossero chiamati Sherlock Holmes e John Watson, la serie avrebbe avuto comunque successo? La risposta è sì, parliamo di un prodotto di qualità, ma che sbanda (non poco) nel momento in cui stravolge un canone preciso e chiaro, attirandosi critiche dai detrattori, convinti che Doherty abbia fatto riferimento a Doyle solo per una questione commerciale e di audience.
Insomma, per farla breve, Sherlock 1, Elementary 0.

SHERLOCK HOLMES

Benedict Cumberbach dà vita a un Holmes intellettualmente sopraffino, dall’aria infastidita e severa. Il protagonista modellato dalla BBC è un sociopatico dai lati macabri e ironici, con una consapevolezza del proprio genio spinta all’inverosimile, un’autostima che a tratti si trasforma in un’arroganza luccicante che riesce a dar vita a dialoghi memorabili e scene dall’alto contenuto ironico.

In Elementary è Johhny Lee Miller a sobbarcarsi il peso del ruolo del detective. Lo Sherlock della CBS ha dei punti in comune con quello della BBC (stessa arroganza, stessa supponenza e intelligenza acuta), ma al contempo differisce mostrandoci un Holmes meno macchina da guerra e più umano. Nella serie americana una buona parte della trama è votata a risolvere il problema dipendenza da cui il protagonista è affetto. L’incontro con Moriarty (anche lei donna…) fa poi precipitare il consulente investigativo in una spirale di ricordi e dubbi che rendono Sherlock problematico e intenso, seppur molto differente dal personaggio originale.

Lo Sherlock Holmes programmato dalla BBC è senza dubbio quello che ho apprezzato di più perché maggiormente votato alla risoluzione di casi polizieschi con metodi asettici e impersonali, molto simili a quelli utilizzati all’interno dei libri. Tuttavia ritengo opportuno precisare che l’Holmes di Miller è una rappresentazione che tende la mano al telespettatore e lo invita a entrare nel proprio mondo, una scelta narrativa interessante e, a mio modesto parere, perfettamente riuscita.

JOHN WATSON

Martin Freeman è un dottore modellato su un uno schema classico. Nonostante ciò il suo personaggio è esente da stereotipi e riesce a evolversi, a rinnovarsi stagione dopo stagione, talvolta rubando la scena al suo compagno di avventure. L’imprinting dato al personaggio è quello di un character con molte fragilità e incertezze, ma dotato di coraggio e senso dell’avventura, un uomo ordinario e ordinato che riesce a proporsi come valida alternativa all’eccentricità di Holmes, creando dal punto di vista narrativo un contrasto piacevole e accattivante.

Lucy Liu è una Joan(!) Watson tormentata dal passato, una donna forte e orgogliosa, che sembra tuttavia necessitare di una guida. L’intesa con Holmes è evidente fin da subito e i fan della coppia si sono addirittura mobilitati per chiedere alla CBS un finale di serie degno della pseudo storia platonica creata tra i due.

Chi è dunque il migliore? Per doti recitative, per quanto Liu sia un gioiellino, Freeman le è superiore. Lo Watson del nativo di Aldershot è delicato, sensibile, umano, duttile e dalla caratura nobile e signorile, una versione del vero Watson trapiantata nella complessa e moderna società attuale.
Chapeau.

SCENEGGIATURA E CASI

La sceneggiatura di Sherlock è nettamente più silenziosa e, quando il dialogo si accende, esso è vivace, pimpante, veloce e spiazzante. Le deduzioni sono logicissime e orchestrate dal protagonista in maniera impeccabile; la terminologia usata da Sherlock Holmes è semplice, ma votata al puro e semplice senso deduttivo; il tono è saccente e impenetrabile e le movenze sono rapide, graffianti ed essenziali.
I casi si presentano complessi, ma non impossibili da risolvere, e – cosa importante per una serie gialla con una trama orizzontale – i misteri relativi alla main plot sono risolti anche a distanza di più episodi l’uno dall’altro.

I casi di Elementary sono improntati su un modello di police procedural atipico. La polizia partecipa attivamente alle indagini (molto più che in Sherlock), ma la finalizzazione spetta, come è giusto che sia, all’Holmes di Miller, che riesce, con una parlantina degna del miglior principe del foro, a inchiodare i criminali con estrema naturalezza. I casi del serial hanno però due piccole imperfezioni: la prima è che a volte appaiono ripetitivi e nettamente più orientati all’indagine dinamica che a quella razionale, scelta strana se parliamo di una serie incentrata su Holmes; il secondo è che il colpevole, a volte, non è protetto dalla trama e dunque non è raro che al minuto venti dell’episodio (che dura quaranta minuti) il quadro inizi a delinearsi fin troppo chiaramente, facendo perdere mordente e suspense alla storia.
In quanto alla sceneggiatura, nulla da dire: i dialoghi appaiono naturali e mixati alla perfezione e le vicende si susseguono senza particolari forzature, sia quelle relative alla trama verticale, sia quelle riguardanti il rapporto Holmes&Watson.

Il seguente articolo non vuole assolutamente fungere da giudizio negativo per una serie ben scritta come Elementary. La volontà è quella di offrire un confronto razionale su due serie che fanno uso dello stesso cast narrativo e delle stesse tematiche e non è poi così sporadico incontrare holmesiani che preferiscono la versione CBS a quella BBC.
Scorrendo la barra notizia di Google News, intanto, i fan del detective più eccentrico e geniale del Regno Unito possono stare tranquilli: Elementary è stato appena rinnovato per una terza stagione e la CBS è in procinto di produrne un’altra, mentre Sherlock è in fase di produzione per regalare ai propri fan una quarta stagione indimenticabile.
Non importa chi lo faccia, l’importante è che si mostri Holmes.
Sembra quasi una battuta, invece è la didascalia che accompagna il successo mediatico di uno dei personaggi più straordinari della letteratura.