2) Arrowverse

C’è stato un momento, a cavallo tra la fine degli anni 2010 e l’inizio dei ’20, in cui la televisione generalista americana si è ritrovata a costruire qualcosa che, fino a poco prima, sembrava prerogativa esclusiva del cinema. Un universo supereroistico coerente, popolato, interconnesso.
Questo universo era l’Arrowverse e anche se oggi vive in parte nel ricordo delle serie tv, chi ci è entrato non l’ha mai davvero lasciato.
Tutto comincia con Arrow, nel 2012. Sembra una serie quasi isolata, più vicina a Batman Begins che a un progetto corale. Oliver Queen, naufrago trasformato in vigilante, lotta con i villain e con sé stesso. Non ha superpoteri, ma solo le frecce al suo arco e una lista di nomi. È cupa, cruda, più interessata alla redenzione che all’eroismo. Oliver si carica il peso di Starling City sulle spalle, e inizia a costruire attorno a sé una squadra, una famiglia.
Poi arriva The Flash. Ed è subito chiaro che l’universo sta cambiando. Barry Allen è tutto ciò che Oliver non è: solare, ingenuo, ottimista. Il trauma che si porta dietro – la morte della madre, l’ingiusta accusa al padre – non lo indurisce, anzi lo accende. Con The Flash, l’Arrowverse esplode. Non solo perché entrano in scena viaggi nel tempo e i multiversi. Ma perché si capisce che questo mondo può contenere toni diversi, anime diverse, e restare comunque coeso.
Le serie tv di questo universo espanso si moltiplicano, attraverso molteplici spin-off.
Supergirl porta con sé il mito di Krypton e un’energia tutta sua. Kara Danvers è costantemente in bilico tra l’essere umana e l’essere un simbolo. Legends of Tomorrow prende un gruppo di outsider – antieroi, reietti, comparse di altri show – e li trasforma in viaggiatori del tempo. È una serie imperfetta, bizzarra, ma capace come poche di sorprendere e affezionare. Batwoman, Black Lightning, Superman & Lois, ognuna aggiunge un tassello al mosaico colorato dell’Arrowverse. Con gli anni, alcune serie hanno perso slancio, altre si sono chiuse in silenzio. Il ciclo si è esaurito, com’è naturale che sia. Ma l’Arrowverse non è fallito. È stato, anzi, uno dei progetti seriali più ambiziosi della televisione americana.
3) Buffyverse

Alla base della serie tv e dello spin-off creato da Joss Whedon, c’era un’ intuizione molto potente: prendere il linguaggio del fantastico e usarlo per parlare di ciò che fa più male quando si è giovani.
Il liceo come bocca dell’inferno. L’amore come condanna. Il corpo che cambia, la morte che arriva troppo presto, la solitudine anche in mezzo agli amici. Tutto nel mondo della prescelta era una metafora, oltre a un modo diverso per dare forma all’invisibile. Buffy, Willow, Xander, Giles, Angel, Cordelia sono diventati, con il tempo, specchi, frammenti di noi. La ragazza forte che vorrebbe solo essere normale. L’amica intelligente che scopre il potere (e la rabbia) che ha dentro. Il ragazzo che non ha poteri ma resta, sempre. L’osservatore che è padre senza esserlo. Il vampiro che ama con un’anima a metà. Ogni personaggio del Buffyverse è scritto con una tenerezza spietata e in pieno stile anni Novanta.
E proprio da uno di quei mostri nasce la seconda anima dell’universo: Angel.
È più noir, più disillusa, più matura. Angel, con la sua colpa eterna, cerca redenzione in una Los Angeles sporca e spietata, dove il male è spesso strutturale, radicato nel potere e nella corruzione. Se Sunnydale era l’inferno sotto il liceo, L.A. è l’inferno della realtà quotidiana. Ma anche qui, tra battaglie epiche e missioni impossibili, ciò che conta è il legame. Angel non promette salvezza, ma mostra la bellezza di chi continua a lottare anche quando sa che non vincerà.
Una delle forze più grandi del Buffyverse è il modo in cui evolve con il suo pubblico. Le stagioni di Buffy crescono insieme agli spettatori. E anche fuori dallo schermo, il Buffyverse è continuato nei fumetti, che ne hanno esteso la mitologia, nei romanzi, nei giochi, nelle comunità online che ancora oggi discutono e analizzano dettagli dello show. È sopravvissuto ai suoi stessi creatori, alle controversie, ai limiti tecnici dell’epoca, perché la sua forza era nei personaggi.